JOSEFA VANNÍNI (Judite Adelaide Vanníni), Beata
Em Roma, a Beata JOSEFINA VANNÍNI (Judite Adelaide Vanníni) virgem, que fundou a Congregação das Filhas de São Camilo, para a assistência aos enfermos. (1911)
LUÍS MZYK, Beato
Em Poznam, Polónia , o
Beato LUÍS MZYK presbitero da Sociedade do Verbo Divino e mártir, que, durante a ocupação militar da sua pátria por sequazes de uma nefasta doutrina hostil à dignidade humana e à fé cristã, foi assassinado pelos guardas do quartel militar, dando testemunho de Cristo até à morte. (1942)
VICENTE FRELICHOWSKI, Beato
No campo de concentração de Dachau, perto de Munique, na Baviera, Alemanha, o Beato VICENTE FRELICHOWSKI presbitero que, durante a mesma guerra nos vários cárceres em que andou deportado nunca desistiu do fervor da fé nem do ministério pastoral e, atingido pela enfermidade contraída na assistência aos doentes, depois de longos sofrimentos chegou finalmente à visão da paz eterna. (1945)
e ainda...
ALERINO REMBAUDI, Santos
Alerino, della nobile famiglia Rambaldi, fu il cinquantottesimo vescovo di Alba, la stessa città che gli diede i natali. Abbracciò fin da giovane la vita religiosa, fu canonico della cattedrale e, alla morte del vescovo Giacomo, designato da papa Martino V come suo successore. Il suo episcopato durò ben trentasette anni, durante i quali furono molti gli avvenimenti che il beato visse testimoniando virtù non comuni. Il 31 gennaio 1429 fu ritrovato il corpo del b. Teobaldo Roggeri di cui, sebbene sepolto in cattedrale, si era persa la memoria della sepoltura. Alla scoperta delle reliquie Alerino fece suonare le campane a festa e il popolo accorse festante; per l’occasione fu posta una lapide. Nel 1434 tenne un sinodo durante il quale, tra l’altro, si stabilono alcuni provvedimenti per salvaguardare il patrimonio della diocesi. Si fece un censimento, faticando non poco per recuperare le rendite usurpate in passato da prepotenti o alienate malamente. Il Rambaldi chiamò in diocesi gli Agostiniani e affidò loro la chiesa di S. Giovanni. Il 13 maggio 1446 pose invece la prima pietra del Monastero di S. Maria Maddalena presso l’ex convento, ormai soppresso, degli Umiliati. Vi entrarono le Domenicane con la b. Margherita di Savoia che, vedova del marchese del Monferrato, rifiutò ogni nuovo matrimonio per farsi monaca. Nel 1453 Alerino consacrò la monumentale Chiesa di San Francesco annessa al Convento dei Frati Minori, oggi non più esistente. Il 27 aprile 1455, l’anno prima della sua morte, vedendo in stato pessimo la badia di s. Frontinano e in pericolo le reliquie lì venerate, le fece traslare solennemente in duomo facendovi erigere un altare in onore del Santo. In tale data si fissò la festa dei Santi patroni della città. Carico di meriti, morì in concetto di santità il 21 luglio1456. Molti autori lo descrissero come il pastore dalle grandi virtù, zelante nel promuovere il bene spirituale dei suoi fedeli.
GIOVANINNA FRANCHI, Beata

La Serva di Dio Giovannina Franchi nacque a Como il 24 giugno 1807, secondogenita di 7 figli (5 sorelle e due fratelli) dei coniugi Giuseppe, magistrato del Tribunale cittadino e Giuseppina Mazza di famiglia nobile, benestanti e molto religiosi. Battezzata il giorno dopo la nascita, ricevette il Sacramento della Cresima soltanto all'età di 11 anni, come usava a quei tempi. Passò l'infanzia tra le pareti domestiche (1807-1814) e l'adolescenza nell'educandato del monastero di S. Carlo delle Visitandine di Como per 10 anni (1814-1824). Rientrata in famiglia si dedicò alla cura dei genitori, all'insegnamento del catechismo in parrocchia e partecipò ad associazioni cattoliche. Dopo una breve esperienza di fidanzamento, conclusasi con la morte del fidanzato nel 1840 quando Giovannina aveva 33 anni, decise di consacrarsi totalmente al Signore. Dal 1846 si pose sotto la direzione spirituale del pio e dotto canonico penitenziere della Cattedrale di Como don G. Abbondio Crotti, il quale svolgeva apostolato anche tra gli ammalati e i carcerati. Sopraggiunta anche la morte dei genitori, la madre nel 1849, il padre nel 1852, la Serva di Dio intensificò l'assistenza dei malati a domicilio.
Il 27 settembre del 1853, con altre tre compagne, Nina Luigia Allegri, Lucrezia Schiavetti e Anna Maria Poletti, fondò la Pia Unione delle Sorelle Infermiere di Carità. Il gruppo, guidato dal canonico Giovanni Abbondio Crotti, faceva vita comune in un immobile acquistato dalla Serva di Dio in via Vitani. Per concessione di Pio IX ottennero anche di poter avere un oratorio privato. Nel 1858 Giovannina indossò per prima l'abito religioso e il 21 novembre fu seguita dalle compagne.
Le Pie Infermiere, secondo il progetto originario di s. Francesco di Sales per le Visitandine, assistevano gli ammalati a domicilio e le donne nel carcere di S. Donnino. La Serva di Dio compose per sé e le Sorelle il Metodo di vita, approvato il 16 luglio 1862 dal vescovo di Como mons. Marzorati. Una Regola di vita molto semplice, ma basata su alcuni principi fondamentali prediligere i malati gravi e moribondi, perché più soli e più vicini all’incontro con Dio; considerare la viva presenza di Cristo nell’Eucaristia e nella persona sofferente; mostrarsi “coraggiose ed umili nel tempo stesso, pazienti e cortesi nelle maniere, amanti del silenzio e della fatica, ben disposte all’assistenza degli infermi ed a qualunque opera di carità senza eccezione di alcun ufficio comeché faticoso e ributtante”. La Serva di Dio arriva a raccomandare alle Sorelle”non lascino di esercitarsi nell’officio al quale vengono indistintamente chiamate, fosse pure quello di scopare le stanze, lavar le scodelle, ripulire le malate, mostrando in quello una santa allegrezza e consolazione, cortissime di compiere un’azione molto nobile e preziosa agli occhi di Dio”. Tutto il carisma della Serva di Dio si può riassumere in una sua espressione «La carità del prossimo sia nelle Sorelle un amore universale che tutti abbraccia nel Signore e non esclude nessuno» (Metodo di vita, n. 1).
Nell'estate del 1871, mentre a Como il vaiolo nero (secondo alcuni il colera) seminava morte, la Serva di Dio si prodigava nell'assistenza a persone colpite dal male. Contagiata dal vaiolo (o dal colera) si avviò rapidamente verso la conclusione della sua vita morì alle ore 5,30 del 23 febbraio 1872, 4 mesi prima di compiere 65 anni di età in concetto di santità. I funerali si svolsero la mattina del 24 febbraio ma furono umili e silenziosi, cioè senza concorso di popolo per precauzione a causa della temuta diffusione dell'epidemia in atto. Il 27 settembre 1994 mons. Alessandro Maggiolini, Vescovo di Como, aprì il processo diocesano, conclusosi il 27 settembre 1995.
Il 20 dicembre 2012 il Santo Padre Benedtto XVI ha riconosciuto l'eroicità della sue virtù, dichiarandola Venerabile.
Autore: Francesco Antonelli
La Venerabile Serva di Dio Madre Giovannina Franchi nacque a Como il 24 giugno 1807, secondogenita dei sette figli di Giuseppe e Giuseppa Mazza. La famiglia era una delle più facoltose di Como, ma conduceva uno stile di vita sobrio, alieno dalla mondanità, improntato ad una pratica cristiana sincera e fedele, alla carità, all’impegno sociale e civile. A sette anni, come le sue sorelle, venne posta dai genitori nell’educandato della Visitazione, come esigeva la tradizione delle famiglie della buona società. In questo monastero, che in quegli anni viveva un momento di straordinario fervore, Giovannina imparò ad conoscere ed amare il fondatore s. Francesco di Sales, e il suo primitivo progetto di fondare una famiglia religiosa senza clausura, dedita alla cura degli infermi a domicilio e al sollievo di ogni tipo di infermità: la Visitazione, appunto, dove le Suore sarebbero state sollecite a visitare i malati e i bisognosi come lo fu la Madonna nel rendere visita a s. Elisabetta. Un progetto troppo ardito per la concezione che si aveva nel 1600 della vita religiosa femminile e che s. Francesco dovette accantonare. Tuttavia la Serva di Dio non sembrò orientarsi verso la scelta della vita religiosa, come invece fece la sua migliore amica che divenne appunto Visitandina. Nel 1824 rientrò in famiglia e si dispose, come le sorelle, a preparasi al matrimonio, occupandosi dei poveri, dell’insegnamento del catechismo ed affiancando il padre e i fratelli nell’amministrazione dei beni di famiglia. Si fidanzò ed era ormai prossima alle nozze, convinta che la sua vocazione fosse quella di formare una famiglia cristiana e santa. La morte del fidanzato mise fine a tale progetto e per lunghi anni, nella riflessione, nella preghiera e nelle riservatezza della vita domestica, Giovannina si chiese cosa Dio volesse da lei. La risposta le venne tramite la direzione spirituale del pio e dotto sacerdote canonico Giovanni Abbondio Crotti, molto impegnato in opere di carità ed assistenza. Libera ormai da legami familiari, essendosi accasati fratelli e sorelle e morti i genitori, Giovannina acquistò una vasta casa nel cuore della Cortesella, il quartiere più antico e più povero di Como. Qui il 27 settembre 1853 con alcune compagne diede inizio alla Pia Unione delle Sorelle Infermiere di S. Nazaro, dedite alla cura degli ammalati e dei poveri nelle proprie abitazioni. La Pia Casa era aperta all’accoglienza di ogni genere di povertà e necessità: malati, anche mentali, donne sole e povere, persone provvisoriamente senza casa. Le Sorelle si recavano anche nel carcere cittadino ad insegnare il catechismo ed assistere le donne malate lì rinchiuse. Per i rimanenti diciannove anni della sua esistenza terrena, Giovannina vive una vita molto semplice ritmata da una Regola da lei stessa scritta e da un orario che contemplavano la preghiera e il servizio, ma senza avvenimenti eclatanti, nessun riconoscimento pubblico, nessuna personalità di rilievo che abbia mai visitato la Pia Casa. Fedeltà quotidiana al servizio della carità; ogni giorno, i medesimi gesti di amore verso i sofferenti, i modesti ma preziosi servizi da offrire a chi soffre, le parole di conforto, l’aiuto a pregare, la vicinanza affettuosa a chi sta per lasciare la vita. Giorno dopo giorno, nella eroica fedeltà alla chiamata di Dio, si consuma la vita di madre Giovannina, fino al 23 febbraio 1872, quando muore contagiata dal vaiolo contratto curando un malato a domicilio. La sua spiritualità si caratterizza per una profonda vita interiore, incentrata sull’Eucarestia e sulla contemplazione del Cristo sofferente, del quale gli ammalati sono l’immagine più viva. Il binomio amore per Dio e amore per il prossimo, fino al sacrificio della vita, è motivo portante della fisionomia spirituale di Madre Franchi e dell’esempio che lascia tra le consorelle.
La Congregazione da lei fondata che assunse la denominazione di Suore Infermiere dell’Addolorata, continua a vivere con fedeltà il carisma di madre Giovannina in Italia, Svizzera, Argentina: “curare gli infermi, ma con gran cuore”, perché essi sono l’immagine viva del Cristo sofferente. Il 20 dicembre 2012 il S. Padre Benedetto XVI ha firmato il decreto attestante l’esercizio eroico delle virtù da parte della Serva di Dio Giovannina Franchi alla quale può essere attribuito il titolo di Venerabile.
SENHORA DO DIVINO PRANTO ou
MADONNA DEL DIVINO PRANTO
Cernusco sul Naviglio è una cittadina a circa venti chilometri da Milano. Una delle sue glorie maggiori consiste nell’essere il luogo di fondazione dell’Istituto delle Suore di Santa Marcellina, popolarmente dette Marcelline. Monsignor Luigi Biraghi, dottore della Biblioteca Ambrosiana e direttore spirituale nel Seminario di Milano (Beato dal 2006), nel 1838 diede corpo a un’intuizione che aveva già da due anni: fondare un istituto religioso femminile, le cui aderenti, mediante l’educazione della gioventù e in particolare delle ragazze, avrebbero contribuito a ridare basi solide alla famiglia.
Il collegio delle Marcelline di Cernusco venne successivamente adibito a casa di riposo per le suore anziane e a ricovero per quelle ammalate. Nel 1922 vi venne condotta una giovane ventisettenne, suor Elisabetta Redaelli, colpita da un male sconosciuto: aveva frequenti emottisi, era impedita nelle sue funzioni più elementari e, in aggiunta, divenne progressivamente cieca.
Il 6 gennaio 1924, tuttavia, avvenne un fatto che cambiò il corso della sua esistenza. Verso le 22.30, le suore che la vegliavano in infermeria credettero di sentirla parlare nel sonno; in realtà, come riferì loro, era sveglia. Aveva visto una bella Signora che l’aveva consolata: «Prega, confida e spera; tornerò dal 22 al 23». Come facesse ad aver “visto” pur avendo perso l’uso degli occhi, le consorelle non lo capivano.
Il mese dopo, il 3 febbraio, suor Elisabetta fu trovata in lacrime: aveva capito che la Signora sarebbe tornata dal 2 al 3 del mese seguente alla sua prima visita, quindi temeva che non si fosse ripresentata perché lei non era stata «abbastanza buona», come ripeté alle altre suore. Alle 23.45 del 22 febbraio, giornata in cui il medico aveva ormai dichiarato disperata la sua condizione, ella rivide la visitatrice soprannaturale, riconoscendola come la Madonna. Indossava un mantello celeste e teneva stretto al cuore Gesù Bambino, sul cui volto scorrevano grosse lacrime. Non piangeva, però, a causa dei peccati della veggente: «Il Bambino piange – disse la Vergine con un sorriso mesto – perché non è abbastanza amato, cercato, desiderato anche dalle persone che Gli sono consacrate». Nonostante suor Elisabetta avesse richiesto di essere portata in Paradiso, perché ormai si riteneva un peso per le consorelle, la celeste interlocutrice rispose: «Tu devi rimanere qui, per dire questo!». Improvvisamente, l’ammalata si sentì spinta a chiedere un segno per essere creduta: «Ti rendo la salute!», rispose la visione, poi disparve.
Poco dopo, l’ammalata prese a prese a gridare come in preda a un grande dolore fisico. Suor Emilia Gariboldi, che aveva assistito alla scena insieme a una consorella infermiera, pur non vedendo nulla e sentendo solo le parole pronunciate da lei, l’afferrò al volo prima che saltasse giù dal letto: «Sono guarita!», le rispose. L’intera casa di Cernusco venne presa da un turbine di gioia per l’avvenuto miracolo, la cui notizia si sparse presto anche in paese. La diretta interessata, stupita per il trambusto, commentò: «Ma la Madonna sa fare questo e ben altro!».
Suor Elisabetta, per sfuggire alla curiosità della gente, venne destinata alla Casa Madre di via Quadronno a Milano, dove per lunghi anni si dedicò alle ragazze che frequentavano la scuola. Quando qualcuno le faceva delle domande sugli eventi che l’avevano coinvolta, sviava abilmente il discorso, fedele all’impegno di non raccontare più nulla. In ogni caso, chiedeva che non si parlasse tanto di lei, quanto piuttosto della Madonna. Morì il 15 aprile 1984, dopo essere stata riportata a Cernusco.
La stanzetta dell’infermeria dov’era accaduta la seconda apparizione venne trasformata in cappella, dove fu collocata una statua che, esattamente come santa Bernadette definì quella dell’Immacolata di Lourdes, era molto somigliante, ma non identica alla visione. In basso, protetto da un vetro, è visibile il punto preciso in cui la Vergine posò i piedi. Sull’arcata della cappella, che è liberamente visitabile previo contatto con le suore, si staglia invece la sagoma di un albero che porta dei frutti singolari: dei cuori d’argento, simboli di grazie ricevute. L’apparizione fu denominata «Madonna del Divin Pianto», perché a piangere non fu lei, ma il Bambino che teneva tra le braccia.
Quanto all’approvazione ufficiale, il Beato cardinal Alfredo Ildefonso Schuster, quando venne informato dell’accaduto, commentò che la Madonna si sarebbe fatta strada da sé. Poco dopo l’ottantesimo anniversario, il cardinal Carlo Maria Martini autorizzò l’intitolazione di una parrocchia di Cernusco con quel nome, che attualmente è parte della Comunità Pastorale Famiglia di Nazaret (esiste anche la parrocchia di Nossa Senhora do Divino Pranto a San Paolo del Brasile). Queste dichiarazioni rappresentano per le Marcelline un’approvazione autorevole e indiretta, benché non formale, di quegli eventi soprannaturali.
Ogni anno la Comunità Pastorale e le suore ricordano l’evento con una serie di celebrazioni. Il 22 febbraio, alle 23, si svolge una commemorazione dell’apparizione. L’indomani, al mattino, è celebrata una Messa solenne presso la chiesa parrocchiale della Madonna del Divin Pianto, seguita nel pomeriggio da un Rosario itinerante con la statua della Madonna, con partenza dal collegio delle Marcelline e arrivo al Divin Pianto.
MILÃO DE BENEVENTO, Santo
riundo dell'Alvernia,studiò a Parigi, dove fu avviato al sacerdozio, divenendo in seguito canonico della cattedrale e decanodel capitolo. Gli venne affidata l'educazione dis. Stefano de Muret, allora dodicenne, che dovevapoi divenire il fondatore di Grandmont.
La fama delle sue virtù e del suo sapere varcòpresto i confini della Francia, a tal segno che Benevento lo scelse come vescovo, ma egli poté reggerela diocesi per poco tempo, perché mori due annidopo, nel 1070, o nel 1076 secondo Ughelli.
E festeggiato il 23 febbraio e il 25 maggio
PRIMIANO DE ANCONA, Santo
Il culto nella città di Ancona per s. Primiano, cominciò nel 1376, quando una pia donna di nome Cecola, disse di averlo sognato in abiti vescovili e che gli indicava il posto dove era sepolto, nella antica chiesa di S. Maria in Turriano, nei pressi del porto.
Sempre nel sogno, il santo narra che era stato ucciso per la fede in Gesù Cristo e che da più di mille anni, alcuni naviganti avevano trasportato il suo corpo ad Ancona, prelevandolo da un luogo abitato dai pagani.
L’iscrizione rinvenuta sul suo sepolcro, nel luogo indicato nel sogno, lo classifica come greco e vescovo; il culto aumentò man mano al punto che la chiesa fu poi dedicata allo stesso san Primiano.
Alcuni studiosi e scrittori lo considerano come primo vescovo, oppure tra i primi vescovi di Ancona, mentre altri lo escludono, considerandolo piuttosto un vescovo martire orientale, il cui corpo, per sottrarlo alle devastazioni barbariche, era stato messo al sicuro in questa città.
Dopo la scoperta della tomba, la chiesa venne ricostruita e il corpo del santo ebbe una decorosa sistemazione presso l’altare maggiore; fu ancora restaurata negli ultimi anni del ‘700, per essere poi completamente distrutta sotto i bombardamenti dell’ultima guerra mondiale e le reliquie di s. Primiano andarono disperse; rimane solo un frammento conservato nella cripta della cattedrale, fra le altre dei Santi Protettori della città.
ROMANA, Santa
Romana era figlia di Calfurnio, prefetto di Roma. Abbracciata la fede cristiana rinunciò ad ogni agio e comodità che il suo rango le avrebbe consentito. Seguendo la sua vocazione religiosa fuggì di casa, all’età di 10 anni raggiunse sul monte Soratte San Silvestro per farsi battezzare. All’interno della chiesa di Santa Romana sul Soratte (montagna della Sabina) c’è la seguente iscrizione: " 23.FEBEUARII ^ TUDERTI ^ S. ROMANE VIRGINIS QUE A S. SILVESTRO BAPTIZATA IN HANC ANTRI ET SPELUCIS CELESTE VITA DUXIT ET MIRACULORV.GLORIS CLARUIT ". Ai nostri giorni è quasi illeggibile. Santa Romana sul monte Soratte visse in un eremo; volle vivere proprio in quella grotta forse perché si sentiva vicina a Papa Silvestro di cui ne ammirava la santità. Ed ecco che nasce proprio in questi luoghi un rapporto leggendario fra il Santo e la sua devota, che lo raggiungeva in cima al monte, forse utilizzando qualche passaggio segreto, incuneandosi nelle viscere del monte. Silvestro ogni volta l’ammoniva ed una volta gli disse: “ora ritornerai quando saranno fiorite le rose.” Era in pieno inverno, che aveva più volte macchiato di bianco le ripide ascese del monte, quando una mattina Romana tornò da Silvestro con una rosa: era fiorita. La Santa si incamminò poi da sola verso la città di Todi. Nelle gole del Forello pose la sua dimora all’interno di una grotta. Sebbene vivesse solitaria, la sua preghiera costante e la sua fede erano tali che molti cristiani si avvicinarono a Lei lodandone la santità. Romana morì nella preghiera contornata dai fedeli, nell'anno 324 d.C. Il corpo della Santa fu sepolto nella grotta in cui visse e nella quale fu costruito un altare dove venivano continuamente celebrate messe. Nel 1301 il suo corpo fu traslato in San Fortunato