Luca Sy, Beato
Maestro e catechista
Luc Sy nacque nel 1938 a Ban Pa Hok, villaggio del Laos abitato dall’etnia kmhmu’. Il 28 ottobre 1951 tutti gli abitanti del villaggio vennero battezzati, lui compreso, che ricevette i nomi cristiani di Luc e Marie.
Dal 1953 al 1957 studiò presso il Seminario minore di Paksane, che ospitava anche la scuola per catechisti: si dimostrò un allievo timido, ma onesto e lavoratore. Nel 1958 venne chiamato a lavorare come maestro nelle scuole statali; tuttavia, continuò a collaborare con il Missionario Oblato di Maria Immacolata padre Jean Wauthier, che aveva contribuito all’evangelizzazione del suo popolo e condivise con lui il suo spirito di apostolato.
Nell’esercito
Nel 1961, Luc fu arruolato nell’esercito come caporale. Pur conducendo una vita vagabonda in un Paese dove i disordini politici e militari erano all’ordine del giorno, rimase un buon cristiano. Sei anni dopo fu congedato perché era rimasto ferito e fu accolto come catechista a Nong Sim, nella missione di Pakse. Sposò quindi una giovane rimasta vedova con due figli, anche lei cattolica; dalla loro unione nacque una bambina.
Il Vangelo tra i kmhmu’
La morte di padre Jean Wauthier, avvenuta la sera del 16 dicembre 1967, risvegliò in Luc il desiderio di portare il Vangelo tra i kmhmu’, spesso in fuga dai loro villaggi per via della guerra, emarginati e privi di mezzi.
Nel 1969, dunque, raggiunse il Centro pastorale di Hong Kha presso Vientiane, dove venivano formati proprio i catechisti di quella popolazione. Già nel Natale di quell’anno fu pronto per l’invio in missione: era un allievo dotato, rafforzato dalle prove della vita, assiduo nella preghiera e aperto ai più bisognosi. Divenne anche associato dell’Istituto secolare Voluntas Dei, fondato da padre Louis-Marie Parent, che prima aveva fondato le Oblate Missionarie di Maria Immacolata.
Il 26 gennaio fu destinato dal suo vescovo alla missione nella regione di Vang Vieng, popolata da villaggi di rifugiati. Nel giro di poco, compì un lavoro notevole, sia per quanto riguardava lo sviluppo sia per la catechesi.
L’ultimo viaggio
Il 4 marzo 1970, Luc compì il suo ritiro mensile. Era insieme al diacono Louis-Marie Ling, dell’Istituto Voluntas Dei e futuro vescovo, e a un altro catechista, Maisam Pho Inpèng, che era venuto ad assisterli.
La mattina del 7 marzo, i tre caddero in un’imboscata: Pho Inpèng ricevette il colpo mortale destinato al diacono e anche Luc morì con lui.
Il processo di beatificazione
Luc Sy, Maisam Pho Inpèng e padre Jean Wauthier sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên.
La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro “Positio super martyrio”, consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
L’accertamento del martirio e la beatificazione
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos. A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade il 16 dicembre, anniversario del martirio di padre Jean Wauthier.
Maisam Pho Inpèmg, Beato
Maisam Pho Inpèng (questi ultimi due sono il nome di suo figlio, assunto da lui secondo l’usanza del suo Paese), nacque nel 1934 nella provincia di Houa Phanh, in Laos. Insieme a molti altri uomini e donne della sua etnia, i kmhmu’, fu raggiunto dalla predicazione del Vangelo a opera dei missionari intorno al 1959.
In seguito all’attacco dei guerriglieri comunisti nella regione, nel 1960, fu arruolato nell’esercito reale del Laos col grado di capitano, ma era un uomo di pace. Così, appena fu possibile, si congedò dall’esercito e prese moglie. Insieme alla sua sposa ricevette il Battesimo nel villaggio di Houey Phong, nella regione di Vang Vieng, dove avevano trovato rifugio dalla guerriglia.
Per la sua istruzione, fu presto scelto come responsabile della piccola comunità cristiana del luogo, composta perlopiù da catecumeni. In assenza del missionario che curava le celebrazioni e del catechista titolare del villaggio, guidava gli incontri di preghiera e istruiva i bambini.
Il 4 marzo 1970, Maisam Pho Inpèng era intento ad assistere il catechista Luc Sy e il diacono Louis-Marie Ling nel loro ritiro mensile. La mattina del 7 marzo, i tre caddero in un’imboscata: Pho Inpèng ricevette il colpo mortale destinato al diacono e anche Luc morì con lui.
Luc Sy e Maisam Pho Inpèng sono stati inseriti in un elenco di quindici tra sacerdoti, diocesani e missionari, e laici, uccisi tra Laos e Vietnam negli anni 1954-1970 e capeggiati dal sacerdote laotiano Joseph Thao Tiên.
La fase diocesana del loro processo di beatificazione, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 18 gennaio 2008, si è svolta a Nantes (di cui era originario un altro dei potenziali martiri, padre Jean-Baptiste Malo) dal 10 giugno 2008 al 27 febbraio 2010, supportata da una commissione storica.
A partire dalla fase romana, ovvero dal 13 ottobre 2012, la Congregazione delle Cause dei Santi ha concesso che la loro “Positio super martyrio”, consegnata nel 2014, venisse coordinata, poi studiata, congiuntamente a quella di padre Mario Borzaga, suo confratello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, e del catechista Paul Thoj Xyooj (la cui fase diocesana si era svolta a Trento).
Il 27 novembre 2014 la riunione dei consultori teologi si è quindi pronunciata favorevolmente circa il martirio di tutti e diciassette. Questo parere positivo è stato confermato il 2 giugno 2015 dal congresso dei cardinali e vescovi della Congregazione delle Cause dei Santi, ma solo per Joseph Thao Tiên e i suoi quattordici compagni: padre Borzaga e il catechista, infatti, avevano già ottenuto la promulgazione del decreto sul martirio il 5 maggio 2015. Esattamente un mese dopo, il 5 giugno, papa Francesco autorizzava anche quello per gli altri quindici.
La beatificazione congiunta dei diciassette martiri, dopo accaniti dibattiti, è stata infine fissata a domenica 11 dicembre 2016 a Vientiane, nel Laos. A presiederla, come inviato del Santo Padre, il cardinal Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato nelle Filippine e Missionario Oblato di Maria Immacolata. La memoria liturgica di tutto il gruppo cade il 16 dicembre, anniversario del martirio del padre Missionario Oblato di Maria Immacolata Jean Wauthier.
Maria Antonia di San Giuseppe (Maria Antonia de Paz y Figueiroa, Beata
Famiglia e primi anni
I dati sui primi anni di vita di María Antonia de Paz y Figueroa sono quasi interamente tratti da tradizioni orali, visto che non è stato trovato il suo certificato di Battesimo. Si ritiene che sia nata nel 1730 a Silípica, cittadina nei pressi di Santiago del Estero, in Argentina, oppure nella stessa Santiago. Non esiste documentazione neppure circa i suoi genitori, i cui nomi tramandati sono Francisco Solano de Paz y Figueroa e Andrea de Figueroa.
Plausibilmente, trascorse l’infanzia nella fattoria del padre, vivendo a stretto contatto con le popolazioni native dell’America Latina.Ricevette un’educazione buona e solida, non solo dal punto di vista religioso: imparò a leggere, scrivere e far di conto, ma anche i lavori domestici e quanto potesse essere utile a una donna. Dotata di un’intelligenza vivace e di una tenace volontà, maturò anche un profondo senso di responsabilità, imparando a comprendere i bisogni del popolo del suo paese.
Tutte queste qualità, unite a un cuore generoso e aperto e ai suoi lineamenti delicati, la rendevano attraente per molti.
I contatti coi Gesuiti e la consacrazione privata
La sua scelta di vita, però, fu di altro genere e venne incentivata dalla presenza della Compagnia di Gesù a Santiago del Estero. I padri avevano una casa e una chiesa, gestivano una scuola, predicavano missioni al popolo e dirigevano spiritualmente molti fedeli, anche donne. Alcune di esse si resero disponibili per aiutarli nell’organizzazione degli Esercizi spirituali, l’opera peculiare dei figli di sant’Ignazio di Loyola.
Tra di esse c’era anche la quindicenne María Antonia, che, dopo la dovuta preparazione, consacrò la sua verginità al Signore con voti privati, aggiungendo al proprio nome la qualifica “di San Giuseppe”: divenne quindi una “beata”, ovvero, con linguaggio moderno, una laica consacrata. Indossò quindi un abito scuro e andò a vivere con altre donne, sia vergini sia vedove, in un “beaterio”, ossia in una casa apposita dove, con i propri lavori e sacrifici, le consacrate potevano sostenere la casa degli Esercizi. Guidate dal gesuita padre Gaspar Juárez, si dedicavano ad aiutare i sacerdoti, educavano i bambini, cucivano, ricamavano, badavano ai malati ed elargivano elemosine. All’epoca gli istituti religiosi di vita attiva erano pressoché inesistenti in Argentina, quindi era l’unica possibilità di consacrazione in tal senso.
L’apostolato degli Esercizi spirituali
Tuttavia, nel 1767, Carlo III di Borbone, re di Spagna, ordinò l’espulsione dei Gesuiti dall’America del Sud. La notizia sconvolse tutta l’Argentina, ma la città di Santiago ne fu particolarmente segnata. Maria Antonia, che all’epoca aveva trentasette anni, non si rassegnò: cominciò dunque a interrogarsi su cosa poter fare per tutte le persone che rimanevano così prive di guida spirituale. Interiormente, le parve di sentire una voce che le suggeriva: “Non potresti proseguire tu l’opera degli Esercizi?”.
Convinta che quell’ispirazione venisse dall’alto, la vergine si confidò a padre Diego, un Mercedario, che non solo l’appoggiò, ma le offrì anche la propria collaborazione, prestando i servizi del suo ministero; lei, in cambio, avrebbe procurato tutto ciò che serviva per l’organizzazione materiale. Cominciò quindi risistemando una casa spaziosa, poi, in modo lento e capillare, si diede a invitare di persona i fedeli agli Esercizi.
I primi viaggi
Armata di una grossa croce di legno come bastone, di un’immagine dell’Addolorata e con al collo una croce (che, singolarmente, portava sopra un Gesù Bambino, da lei soprannominato “Manuelito”), inizialmente si limitò alla zona di Santiago del Estero. Dopo aver ottenuto il permesso del vescovo della regione di Tucumán, Juan Manuel Moscoso y Peralta, estese l’opera anche lì, in seguito a un corso di Esercizi particolarmente frequentato. Si diresse quindi a Jujuy, poi a Salta e a San Miguel de Tucumán; proseguì per Catamarca, La Rioja e, alla fine, giunse a Córdoba. In tutto aveva percorso più di duemila chilometri a piedi.
A Córdoba Maria Antonia venne accolta positivamente dalle famiglie più in vista della città, guadagnandosi il loro rispetto con il suo atteggiamento umile e laborioso e con il suo fervore religioso. I corsi di Esercizi diedero molti frutti, specialmente nelle conversioni personali e nell’equiparazione tra le classi sociali.
A Buenos Aires
Agli inizi del settembre 1779, in compagnia di altre “beate”, intraprese il viaggio verso Buenos Aires. A molti parve una follia: avrebbe dovuto percorrere 1400 chilometri, ancora una volta unicamente a piedi, col rischio di essere aggredita da belve feroci o da predoni. Invece, guidata dal suo motto: «La pazienza è buona, ma la perseveranza lo è di più», decise di partire lo stesso.
L’accoglienza fu davvero pessima: le consacrate, coperte di polvere e stanche per il tragitto, furono oggetto di scherno. Maria Antonia si presentò quindi al viceré del Río de la Plata, Juan José de Vértiz y Salcedo, e al vescovo, il francescano Sebastián Malvar y Pinto, per chiedere loro il permesso di organizzare gli Esercizi. Dal primo venne respinta, poiché lui provava astio verso tutto ciò che rimandasse in qualche modo ai Gesuiti. Il secondo, invece, cambiò parere dopo aver notato il riscontro del primo corso organizzato nel 1780: scrisse quindi al Papa, descrivendo come la donna avesse sopportato con pazienza e serenità le varie vicissitudini cui era andata incontro, che le valsero l’auspicata concessione.
Le risorse materiali erano abbondanti: Mama Antula – così avevano preso a soprannominarla – confidava pienamente nella Divina Provvidenza e nell’intercessione di san Gaetano da Thiene, diffondendo la devozione a lui in gran parte dell’Argentina. Quando c’era cibo in eccedenza, veniva distribuito ai mendicanti e ai carcerati. Spesso, poi, le vennero attribuiti prodigi come la moltiplicazione delle vivande o la trasformazione della frutta in pane.
Poteva quindi scrivere: «Vedo che la Divina Provvidenza mi aiuta immancabilmente nel loro [degli Esercizi] proseguimento e che il pubblico sperimenta ogni giorno di più il loro frutto. In quattro anni di Esercizi si sono accostate più di 15.000 persone».
La Santa Casa degli Esercizi
Con il desiderio di «andare dove Dio non fosse conosciuto», come ebbe a dire, si spinse fino in Uruguay e vi rimase per tre anni. Al suo ritorno a Buenos Aires, comprese di dover ampliare la struttura per gli Esercizi.
Inizialmente prese in prestito un’abitazione, ma più avanti prese dei locali in affitto. Infine si lanciò in una nuova impresa: la costruzione della Santa Casa degli Esercizi, interamente dedicata a quello scopo e tuttora esistente, in Avenida Independencia 1190. Bussando di porta in porta per quell’opera, che comunque considerava non sua, ma «di Dio e per Dio».
La fama di santità e la morte
Di fatto, venne ad assumere un ruolo di rilievo nella sua Chiesa locale: monsignor Malvar y Pinto decretò che nessun seminarista potesse accedere agli Ordini sacri se mama Antula non avesse dimostrato il suo corretto comportamento durante gli Esercizi. Le sue lettere vennero tradotte in latino, francese, inglese, tedesco e russo e iniziarono a circolare: fu quindi conosciuta nel monastero carmelitano di San Dionigi a Parigi, la cui priora era zia del re Luigi XVI, e in Russia. Le venne perfino dedicata una prima biografia, «El estandarte de la mujer forte» («Il simbolo della donna forte»), pubblicata anonima nel 1791.
Maria Antonia morì serenamente il 7 marzo 1799, povera come visse: pur avendo maneggiato denaro in quantità per l’amministrazione della Casa di Esercizi, non tenne per sé neppure uno spicciolo. Come aveva chiesto nel suo testamento, venne seppellita in una tomba ottenuta in elemosina. I suoi resti mortali riposano oggi presso la Basilica di Nostra Signora della Pietà, in Calle Bartolomé Mitre 1524, a Buenos Aires.
La causa di beatificazione
Dopo oltre un secolo dalla morte di Mama Antula, la diocesi di Buenos Aires ha avviato il suo processo di beatificazione. Il processo informativo si è quindi aperto il 23 ottobre 1905 e si è concluso il 29 settembre 1906; il decreto sugli scritti fu ottenuto il 9 agosto 1917. La causa passò in fase romana l’8 agosto 1917, ma ottenne il decreto di “non cultu” solo il 16 luglio 1941, anche per via delle guerre mondiali.
Il processo è ripreso sul finire del ventesimo secolo, quando ormai vigevano le nuove regole circa i processi canonici. Il nulla osta fu concesso dalla Santa Sede il 26 gennaio 1999: venne dunque istruita un’inchiesta suppletiva, aperta il 3 maggio 1999, chiusa il 18 luglio dello stesso anno e convalidata il 3 dicembre successivo.
La “Positio super virtutibus” venne trasmessa a Roma nel 2005. In seguito alla riunione dei consultori storici, il 17 gennaio 2006, si svolsero anche quelle dei consultori teologi, il 6 ottobre 2009, e dei cardinali e vescovi della Congregazione vaticana delle Cause dei Santi, l’8 giugno 2010. Il 1° luglio del medesimo anno papa Benedetto XVI autorizzò la promulgazione del decreto con cui Maria Antonia di San Giuseppe otteneva la qualifica di Venerabile.
Il miracolo e la beatificazione
Come presunto miracolo da esaminare per ottenere la sua beatificazione venne considerato il caso di suor Rosa Vanina, religiosa della Società delle Figlie del Divino Salvatore, le eredi spirituali di Mama Antula. Nel 1904 si ammalò di colecisti acuta ed ebbe uno shock settico, che all’epoca, senz’antibiotici, poteva causare la sua morte. Fu quindi chiesta l’intercessione della sua fondatrice e, in breve tempo, la suora recuperò la salute.
La documentazione sul miracolo fu raccolta nel 1905, ma venne esaminata a quasi cent’anni di distanza, ottenendo la convalida il 15 febbraio 2002. La commissione medica della Congregazione delle Cause dei Santi si è pronunciata favorevolmente circa l’inspiegabilità scientifica dell’accaduto, mentre i teologi, i cardinali e i vescovi hanno affermato l’autenticità dell’intercessione della Venerabile.
Con una lettera a Luisa Sánchez Sorondo, sua discendente, datata 14 agosto 2013, papa Francesco ha espresso il desiderio che la beatificazione arrivasse presto, dichiarando di essersi interessato in tal senso presso la Congregazione delle Cause dei Santi. Il 3 marzo 2016, ricevendo il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione, ha infine potuto autorizzare la promulgazione del decreto con cui la guarigione di suor Rosa era avvenuta per intercessione di Maria Antonia di San Giuseppe.
La beatificazione è stata celebrata il 27 agosto 2016, presso il parco Francisco de Aguirre di Santiago del Estero, presieduta dal cardinal Amato come inviato del Santo Padre.
Autore: Emilia Flocchini
=============