Giorgio Haydock, Beato
La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e arriva al 1681; il primo a scatenarla fu com’è noto il re Enrico VIII, che provocò lo Scisma d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-1553), la terribile Elisabetta I, la “regina vergine” († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzione, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in opportuni Seminari per il loro ritorno.
Tranne rarissime eccezioni, come i funzionari di alto rango (Tommaso Moro, Giovanni Fisher, Margherita Pole) decapitati o uccisi velocemente, tutti gli altri subirono prima della morte, indicibili sofferenze, con interrogatori estenuanti, carcere duro, torture raffinate come “l’eculeo”, la “figlia dello Scavinger”, i “guanti di ferro” e dove alla fine li attendeva una morte orribile; infatti essi venivano tutti impiccati, ma qualche attimo prima del soffocamento venivano liberati dal cappio e ancora semicoscienti venivano sventrati.
Dopo di ciò con una bestialità che superava ogni limite umano, i loro corpi venivano squartati ed i poveri tronconi cosparsi di pece, erano appesi alle porte e nelle zone principali della città.
Solo nel 1850 con la restaurazione della Gerarchia Cattolica in Inghilterra e Galles, si poté affrontare la possibilità di una beatificazione dei martiri, perlomeno di quelli il cui martirio era comprovato, nonostante i due - tre secoli trascorsi.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove per ognuno di loro. A partire dal 1886, i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati nel 1970.
Per altri 85 nel 1987, si sono conclusi gli adempimenti necessari e così il 22 novembre 1987 papa Giovanni Paolo II li ha beatificati a Roma, con il capofila Giorgio Haydock, confermando il giorno della loro celebrazione al 4 maggio.
Di essi 63 sono sacerdoti, di cui 2 gesuiti, 1 domenicano, 5 francescani e 55 diocesani; gli altri 22 sono laici, fra cui il tipografo William Carter.
GIORGIO HAYDOCK nacque nel 1556 a Lancashire, studiò a Douai (Francia) e Roma e fu ordinato sacerdote il 21 dicembre 1581.
Partì per l’Inghilterra come missionario ‘seminarista’, come erano allora chiamati gl’inglesi che si recavano all’estero per studiare e ritornare poi a riconvertire i loro connazionali. Arrivato a Londra il 6 febbraio 1582 venne subito scoperto ed arrestato quindi chiuso nella famosa Torre, dove visse nel buio e in grande solitudine per un anno e tre mesi.
Rimesso in un regime carcerario più leggero, ebbe la possibilità di confortare e amministrare i Sacramenti ai suoi compagni di prigionia.
Venne denunciato di nuovo insieme ad altri e il 12 febbraio 1584 venne impiccato; anche a lui fu riservata l’orribile fine di essere sciolto dal cappio ancora vivo e sventrato.
Goslino (Gozzelino), Santo
Nel Medioevo le guerre erano continue e mettevano a dura prova intere popolazioni, spesso già provate dalla fame e dalle epidemie. Nelle città, il più delle volte, la massima autorità era il vescovo. Torino, facente parte con Susa di un Marchesato, mentre subiva le scorribande degli Ungari e dei Saraceni, aveva come particolari nemici i Borgognoni. L’instabilità politica causava anche il malcostume sia del popolo che del clero. Intorno all’anno Mille il Vescovo Gezone, amante dell’ideale monastico, vide nella fondazione di nuovi monasteri un modo per contrastare tale decadenza morale. Mentre S. Guglielmo Abate fondava la celebre Abbazia di Fruttuaria e S. Giovanni Vincenzo illuminava con la sua santità la Sacra di S. Michele della Chiusa, a Torino nasceva un monastero benedettino presso la cappella dei Ss. Protomartiri Solutore, Avventore e Ottavio (voluta dalla B. Giuliana d’Ivrea per dare loro degna sepoltura).
I monaci, lontani dagli affetti terreni, dediti alla preghiera e allo studio della Sacra Scrittura, rispettavano umilmente i voti di povertà, castità e obbedienza. Amare il Signore voleva dire amare il prossimo e il loro esempio era di edificazione a tutti. Giorno e notte le orazioni incessanti accompagnavano le diverse occupazioni a cui ognuno era preposto. Compito dei monaci era anche quello di contrastare la diffusione delle eresie (la più pericolosa era quella dei Simoniaci).
Il monastero di S. Solutore fu fondato nell’anno 1006 e tra i primi giovani che offrirono la loro vita a Dio vi fu Goslino (o Gozzelino). Appartenente alla nobile famiglia torinese degli Avari, fu educato e istruito nelle lettere e nelle scienze umane. La vocazione religiosa arrivò presto e così rinunciò al mondo per abbracciare la Regola di S. Benedetto. Suo maestro fu il primo abate del Cenobio, Romano, mentre compagno privilegiato fu Atanasio. Il rispetto di Goslino per la Regola fu ineccepibile, nessuno sconto si concedeva neppure quando era ammalato. Umilissimo, non prevalse mai sui compagni sebbene fosse superiore ai più per istruzione e dottrina. Digiuni e penitenze erano l’arma per combattere le passioni mentre cibo per l’anima era la lettura di libri spirituali. Fu vero modello di perfezione per coloro che vivevano al suo fianco e per quanti frequentavano il monastero: la sua santità era conosciuta da tutti.
Nel 1031, nonostante da sempre avesse declinato ogni onore, venne eletto abate. Sulla sua nomina erano d’accordo tutti ed egli accettò per adempiere alla volontà di Dio. Affidò la cura delle cose materiali ad alcuni fidati collaboratori mentre volle solo occuparsi di quelle spirituali. L’osservanza della Regola da parte di tutti i monaci garantiva il cammino della comunità verso la perfezione evangelica e Goslino, per primo, ne era il modello. Fu molto attento ai poveri, sia a quelli dei dintorni che ai pellegrini, anche a costo di impoverire notevolmente le derrate del monastero. Soccorrere il prossimo nelle necessità materiali voleva dire potersi occupare poi di quelle dello Spirito. Il Signore vigilava e mai mancò loro il necessario. Il vescovo Cuniberto, dal canto suo, fece nuove donazioni (1048).
Carico di fatiche e soprattutto di meriti, morì il 13 dicembre 1051 tra la venerazione e la stima sia del popolo che del clero. Considerato un santo, tale si tramandò la sua memoria negli scrittori antichi dell’Ordine. Purtroppo però il tempo non ci ha consegnato i manoscritti di coloro che, suoi contemporanei, ebbero modo di conoscerlo.
Sepolto umilmente, come era vissuto, nel corso dei secoli si perse traccia del suo sepolcro. Solo nel 1472 fu ritrovato il sacro corpo vestito con mitra e pastorale: un epitaffio lo indicava chiaramente. Grande stupore suscitò il candore delle sua ossa, come a testimoniare la sua santa condotta di vita. Il ritrovamento ebbe vasta eco e numerose furono le grazie che il popolo ottenne per sua intercessione. Il primo ad essere miracolato fu il medico di corte, Michele Brutis.
Il monastero fu distrutto dai francesi nel 1536. Le sue reliquie, con quelle dei Protomartiri e della beata Giuliana, fortunatamente erano state poste al sicuro nel monastero della Consolata, retto anch’esso dai Benedettini. Fu l’ultimo abate di S. Solutore, Vincenzo Parpaglia, che si preoccupò di dare loro una degna collocazione. Durante una sua ambasceria a Roma incontrò S. Francesco Borgia, terzo Generale della Compagnia di Gesù, e il Papa S. Pio V. Si definì che i Gesuiti, da poco arrivati a Torino, avrebbero costruito una chiesa dedicata ai tre martiri torinesi per accogliere le loro spoglie.
La traslazione dei cinque santi fu solenne, alla presenza del Duca Emanuele Filiberto di Savoia (19 gennaio 1575). Le reliquie di S. Goslino vennero sigillate in una cassetta e custodite con le altre prima nell’oratorio, poi nella cappella di S. Paolo della erigenda chiesa (1584). Oggi sono conservate sotto la statua del presbiterio che lo raffigura. La memoria è fissata localmente al 12 febbraio, con quella di santa Giuliana.
Giorgio Haydock, Beato
La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e arriva al 1681; il primo a scatenarla fu com’è noto il re Enrico VIII, che provocò lo Scisma d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-1553), la terribile Elisabetta I, la “regina vergine” († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzione, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in opportuni Seminari per il loro ritorno.
Tranne rarissime eccezioni, come i funzionari di alto rango (Tommaso Moro, Giovanni Fisher, Margherita Pole) decapitati o uccisi velocemente, tutti gli altri subirono prima della morte, indicibili sofferenze, con interrogatori estenuanti, carcere duro, torture raffinate come “l’eculeo”, la “figlia dello Scavinger”, i “guanti di ferro” e dove alla fine li attendeva una morte orribile; infatti essi venivano tutti impiccati, ma qualche attimo prima del soffocamento venivano liberati dal cappio e ancora semicoscienti venivano sventrati.
Dopo di ciò con una bestialità che superava ogni limite umano, i loro corpi venivano squartati ed i poveri tronconi cosparsi di pece, erano appesi alle porte e nelle zone principali della città.
Solo nel 1850 con la restaurazione della Gerarchia Cattolica in Inghilterra e Galles, si poté affrontare la possibilità di una beatificazione dei martiri, perlomeno di quelli il cui martirio era comprovato, nonostante i due - tre secoli trascorsi.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove per ognuno di loro. A partire dal 1886, i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati nel 1970.
Per altri 85 nel 1987, si sono conclusi gli adempimenti necessari e così il 22 novembre 1987 papa Giovanni Paolo II li ha beatificati a Roma, con il capofila Giorgio Haydock, confermando il giorno della loro celebrazione al 4 maggio.
Di essi 63 sono sacerdoti, di cui 2 gesuiti, 1 domenicano, 5 francescani e 55 diocesani; gli altri 22 sono laici, fra cui il tipografo William Carter.
GIORGIO HAYDOCK nacque nel 1556 a Lancashire, studiò a Douai (Francia) e Roma e fu ordinato sacerdote il 21 dicembre 1581.
Partì per l’Inghilterra come missionario ‘seminarista’, come erano allora chiamati gl’inglesi che si recavano all’estero per studiare e ritornare poi a riconvertire i loro connazionali. Arrivato a Londra il 6 febbraio 1582 venne subito scoperto ed arrestato quindi chiuso nella famosa Torre, dove visse nel buio e in grande solitudine per un anno e tre mesi.
Rimesso in un regime carcerario più leggero, ebbe la possibilità di confortare e amministrare i Sacramenti ai suoi compagni di prigionia.
Venne denunciato di nuovo insieme ad altri e il 12 febbraio 1584 venne impiccato; anche a lui fu riservata l’orribile fine di essere sciolto dal cappio ancora vivo e sventrato.
PAOLO DE BARLETTA, Beato
Il 13 maggio 1580 moriva in grande concetto di santità il frate agostiniano Paolo da Barletta, dopo aver condotto “una vita evangelica, rivelando il messaggio di Dio”, così come scrive il Lanteri.
Ci è sconosciuto l’anno di nascita, così come anche la sua casata di appartenenza. Le notizie che abbiamo sul suo conto possiamo le desumiamo dalle cronache dell’Ordine Agostiniano, di cui fu membro.
Entrato fin da giovane nell’ordine di Sant’Agostino, man mano crebbe sempre più in lui il desiderio di vivere in una maggiore perfezione, tanto da allontanarsi dalla patria per “andare dove nessuno lo conoscesse di persona, se non Dio solo”. Infatti, saputo del voto dell’Osservanza, che in quel tempo si conduceva presso la Provincia Portoghese dell’Ordine, ottenne licenza da parte del Generale, fra Tadeo Perozino, di trasferirsi presso la suddetta Provincia.
Tutte le fonti a noi note ci parlano di lui come di un uomo di Dio, particolarmente dedito all’orazione e alla contemplazione, oltre che a una vita austera di penitenza. Nelle lunghe ore di preghiera che trascorreva personalmente durante la giornata fu singolarmente attratto verso il Mistero della Passione e Morte di nostro Signore Gesù Cristo. Un testimone dell’epoca racconta: “El modo, con que estaba en el coro, era de mucha edificacion”. Nel contempo, essendo di carattere gioviale, fra Paolo in ricreazione infondeva tanta allegria in mezzo ai confratelli che lo avevano in grande considerazione.
Inviato come missionario nell’isola di San Thomé, nelle Indie Orientali, si sottopose a enormi fatiche per la diffusione della Buona Novella di Cristo in mezzo agli indigeni di quelle terre lontane. Ma, nonostante la stima creatasi attorno alla sua persona, a causa di fraintendimenti, non mancarono da parte del Priore del convento persecuzioni che seppe accettare con pazienza e letizia evangelica. Provata la sua innocenza, per riabilitare il suo nome, lo stesso Priore scrisse edificanti lettere, indirizzate in varie parti della Provincia, nelle quali rese note le grandi virtù di quest’uomo di Dio, di quanto ingiustamente aveva sofferto e dell’ammirabile pazienza con la quale, senza scusarsi, lo aveva tollerato.
Fra Paolo accettò con rassegnazione la sua ultima malattia, vista come ulteriore purificazione che lo rese puro e accetto a Dio. Sapendo che si avvicinava l’ora della morte, si preparò con serenità e gioia all’incontro definitivo col Signore. Ne diede notizia al suo superiore e ai confratelli, chiedendo loro di essere aiutato a festeggiare in vista di quel momento così importante della sua vita. Fra Antonio della Purificazione, comunicando agli altri confratelli la dipartita del santo frate barlettano, ne esaltò le virtù: “che tanta ammirazione aveva destato, perché spessissimo era rapito da uno stato di estasi e aveva delle premonizioni sul futuro”.
Il nostro concittadino agostiniano rimase nella memoria dei suoi confratelli come esempio di preghiera e di instancabile operaio del Vangelo, umile e obbediente. Fanno menzione di lui alcune relazioni della Chiesa locale di San Thomé scritte da don fr. Alexo de Meneses, da fr. Antonio della Purificazione, dal Maestro Herrera, da fr. Pedro Calvo, dell’Ordine dei Domenicani e dal Maestro fr. Duarte Pacheco, che ne diffuse la sua vita.
La sua fama di santità andò sempre più crescendo tra i cristiani del luogo, tanto da meritargli a furore di popolo il titolo di Beato. Perciò, quantunque la medesima fama avesse raggiunto anche la sua città natale, si ritenne opportuno non rivendicarne le spoglie, vero e proprio oggetto di culto da parte degli indigeni di San Thomé.
Barletta, fiera di questo suo figlio, ha voluto perpetuare ai posteri la sua memoria dedicandogli una traversa della centrale via Regina Margherita, nei pressi della chiesa di Sant’Agostino, anticamente officiata dai suoi confratelli agostiniani, e ricordandolo liturgicamente il 12 febbraio.