Desejo a todos os meus leitores
UM BOM ANO DE 2016
Nº 2746 - (129-2016)
8 DE MAIO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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DOMINGO DA ASCENSÃO DO SENHOR
A Ascensão de JESUS ao Céu, é a grande conclusão da permanência visível de Deus junto dos homens, prelúdio do Pentecostes, inicia a história da Igreja e abre a difusão do cristianismo ao mundo.
Senso biblico del termine ‘Ascensione’
Secondo una concezione spontanea e universale, riconosciuta dalla Bibbia, Dio abita in un luogo superiore e l’uomo per incontrarlo deve elevarsi, salire.
L’idea dell’avvicinamento con Dio, è data spontaneamente dal monte e nell’Esodo (19,3), a Mosè viene trasmessa la proibizione di salire verso il Sinai, che sottintendeva soprattutto quest’avvicinamento al Signore; “Delimita il monte tutt’intorno e dì al popolo; non salite sul monte e non toccate le falde. Chiunque toccherà le falde sarà messo a morte”.
Il comando di Iavhè non si riferisce tanto ad una salita locale, ma ad un avvicinamento spirituale; bisogna prima purificarsi e raccogliersi per poter udire la sua voce. Non solo Dio abita in alto, ma ha scelto i luoghi elevati per stabilirvi la sua dimora; anche per andare ai suoi santuari bisogna ‘salire’.
Così lungo tutta la Bibbia, i riferimenti al ‘salire’ sono tanti e continui e quando Gerusalemme prende il posto degli antici santuari, le folle dei pellegrini ‘salgono’ festose il monte santo; “Ascendere” a Gerusalemme, significava andare a Iavhè, e il termine, obbligato dalla reale posizione geografica, veniva usato sia dalla simbologia popolare per chi entrava nella terra promessa, come per chi ‘saliva’ nella città santa.
Nel Nuovo Testamento, lo stesso Gesù ‘sale’ a Gerusalemme con i genitori, quando si incontra con i dottori nel Tempio e ancora ‘sale’ alla città santa, quale preludio all’”elevazione” sulla croce e alla gloriosa Ascensione.
I testi che segnalano l’Ascensione
I Libri del Nuovo Testamento contengono sporadici accenni al mistero dell’Ascensione; i Vangeli di Matteo e di Giovanni non ne parlano e ambedue terminano con il racconto di apparizioni posteriori alla Resurrezione.
Marco finisce dicendo: “Gesù… fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio” (XVI, 10); ne parla invece Luca: “Poi li condusse fin verso Betania, e alzate le mani, li benedisse. E avvenne che nel benedirli si staccò da loro e fu portato verso il cielo” (XXIV, 50-51).
Ancora Luca negli Atti degli Apostoli, attribuitigli come autore sin dai primi tempi, al capitolo iniziale (1, 11), colloca l’Ascensione sul Monte degli Ulivi, al 40° giorno dopo la Pasqua e aggiunge: “Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”.
Gli altri autori accennano solo saltuariamente al fatto o lo presuppongono, lo stesso s. Paolo pur conoscendo il rapporto tra la Risurrezione e la glorificazione, non si pone il problema del come Gesù sia entrato nel mondo celeste e si sia trasfigurato; infatti nelle varie lettere egli non menziona il passaggio dalla fase terrestre a quella celeste.
Ma essi ribadiscono l’intronizzazione di Cristo alla destra del Padre, dove rimarrà fino alla fine dei secoli, ammantato di potenza e di gloria; “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra; siete morti infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!” (Colossesi, 3, 1-3).
I dati storici dell’Ascensione
Luca, il terzo evangelista, negli “Atti degli Apostoli” specifica che Gesù dopo la sua passione, si mostrò agli undici apostoli rimasti, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio; bisogna dire che il numero di ‘quaranta giorni’ è denso di simbolismi, che ricorre spesso negli avvenimenti del popolo ebraico errante, ma anche con Gesù, che digiunò nel deserto per 40 giorni.
San Paolo negli stessi ‘Atti’ (13, 31) dice che il Signore si fece vedere dai suoi per “molti giorni”, senza specificarne il numero, quindi è ipotesi attendibile, che si tratti di un numero simbolico.
L’Ascensione secondo Luca, avvenne sul Monte degli Ulivi, quando Gesù con gli Apostoli ai quali era apparso, si avviava verso Betania, dopo aver ripetuto le sue promesse e invocato su di loro la protezione e l’assistenza divina, ed elevandosi verso il cielo come descritto prima (Atti, 1-11).
Il monte Oliveto, da cui Gesù salì al Cielo, fu abbellito da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino con una bella basilica; verso la fine del secolo IV, la ricca matrona Poemenia edificò un’altra grande basilica, ricca di mosaici e marmi pregiati, sul tipo del Pantheon di Roma, nel luogo preciso dell’Ascensione segnato al centro da una piccola rotonda.
Poi nelle alterne vicende che videro nei secoli contrapposti Musulmani e Cristiani, Arabi e Crociati, alla fine le basiliche furono distrutte; nel 1920-27 per voto del mondo cattolico, sui resti degli scavi fu eretto un grandioso tempio al Sacro Cuore, mentre l’edicola rotonda della chiesa di Poemenia, divenne dal secolo XVI una piccola moschea ottagonale.
Il significato dell’Ascensione
San Giovanni nel quarto Vangelo, pone il trionfo di Cristo nella sua completezza nella Resurrezione, e del resto anche gli altri evangelisti dando scarso rilievo all’Ascensione, confermano che la vera ascensione, cioè la trasfigurazione e il passaggio di Gesù nel mondo della gloria, sia avvenuta il mattino di Pasqua, evento sfuggito ad ogni esperienza e fuori da ogni umano controllo.
Quindi correggendo una mentalità sufficientemente diffusa, i testi evangelici invitano a collocare l’ascensione e l’intronizzazione di Gesù alla destra del Padre, nello stesso giorno della sua morte, egli è tornato poi dal Cielo per manifestarsi ai suoi e completare la sua predicazione per un periodo di ‘quaranta’ giorni.
Quindi l’Ascensione raccontata da Luca, Marco e dagli Atti degli Apostoli, non si riferisce al primo ingresso del Salvatore nella gloria, quanto piuttosto l’ultima apparizione e partenza che chiude le sue manifestazioni visibili sulla terra.
Pertanto l’intento dei racconti dell’Ascensione non è quello di descrivere il reale ritorno al Padre, ma di far conoscere alcuni tratti dell’ultima manifestazione di Gesù, una manifestazione di congedo, necessaria perché Egli deve ritornare al Padre per completare tutta la Redenzione: “Se non vado non verrà a voi il Consolatore, se invece vado ve lo manderò” (Giov. 16, 5-7).
Il catechismo della Chiesa Cattolica dà all’Ascensione questa definizione: “Dopo quaranta giorni da quando si era mostrato agli Apostoli sotto i tratti di un’umanità ordinaria, che velavano la sua gloria di Risorto, Cristo sale al cielo e siede alla destra del Padre. Egli è il Signore, che regna ormai con la sua umanità nella gloria eterna di Figlio di Dio e intercede incessantemente in nostro favore presso il Padre. Ci manda il suo Spirito e ci dà la speranza di raggiungerlo un giorno, avendoci preparato un posto”.
La celebrazione della festa liturgica e civile
La prima testimonianza della festa dell’Ascensione, è data dallo storico delle origini della Chiesa, il vescovo di Cesarea, Eusebio (265-340); la festa cadendo nel giovedì che segue la quinta domenica dopo Pasqua, è festa mobile e in alcune Nazioni cattoliche è festa di precetto, riconosciuta nel calendario civile a tutti gli effetti.
In Italia previo accordo con lo Stato Italiano, che richiedeva una riforma delle festività, per eliminare alcuni ponti festivi, la CEI ha fissato la festa liturgica e civile, nella domenica successiva ai canonici 40 giorni dopo Pasqua.
Al giorno dell’Ascensione si collegano molte feste popolari italiane in cui rivivono antiche tradizioni, soprattutto legate al valore terapeutico, che verrebbe conferito da una benedizione divina alle acque (o in altre regioni alle uova).
A Venezia aveva luogo una grande fiera, accompagnata dallo ‘Sposalizio del mare’, cerimonia nella quale il Doge a bordo del ‘Bucintoro’, gettava nelle acque della laguna un anello, per simboleggiare il dominio di Venezia sul mare; a Bari la benedizione delle acque marine, a Firenze si celebra la ‘Festa del grillo’.
L’Ascensione nell’arte
Il racconto scritturale dell’Ascensione di Gesù Cristo e la celebrazione liturgica di questo mistero, ispirarono numerose figurazioni, che possiamo trovare in miniature di codici famosi, fra tutti l’Evangeliario siriano di Rabula nella Biblioteca Laurenziana di Firenze, e in mosaici ed avori a partire dal sec. V.
Il tema dell’Ascensione, si adattò bene al ritmo verticaleggiante dei timpani, sovrastanti le porte delle chiese romaniche e gotiche; esempio insigne il timpano della porta settentrionale della cattedrale di Chartres (XII sec.).
Ma la rappresentazione, raggiunse notevole valore artistico con Giotto (1266-1337) che raffigurò l’Ascensione nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Si ricorda inoltre un affresco di Buffalmacco (XIII sec.) nel Camposanto di Pisa; una terracotta di Luca Della Robbia (1400-1482) nel Museo Nazionale di Firenze; un affresco di Melozzo da Forlì († 1494) ora nel Palazzo del Quirinale a Roma; una tavola del Mantegna (1431-1506) a Firenze, Galleria degli Uffizi; una pala del Perugino († 1523) ora nel Museo di Lione; il noto affresco del Correggio († 1534) nella cupola della Chiesa di S. Giovanni a Parma; l’affresco del Tintoretto († 1594) nella Scuola di S. Rocco a Venezia; ecc.
In un’ampolla del tesoro del Duomo di Monza, Cristo ascende in cielo, secondo una tipica iconografia orientale, assiso in trono; in altre raffigurazioni Egli ascende al Cielo fra uno stuolo di Angeli, di fronte agli sguardi estatici degli Apostoli e della Vergine.
VIRGEM DO SANTÍSSIMO ROSÁRIO DE POMPEIA
La devozione alla Beata Vergine Maria mediante il Rosario risale al secolo XIII, quando venne fondato l’ordine dei Domenicani. Furono infatti i discepoli di san Domenico a diffondere la pratica del Rosario, ossia la recita di 150 Ave Maria raggruppate in tre serie di episodi della vita di Gesù e di Maria, dette “misteri”, con l’ausilio di uno strumento, la corona, formata da alcuni grani tenuti insieme da una corda o da una catenella. Quel modo di pregare, detto anche salterio mariano o Vangelo dei poveri, ebbe larga diffusione per la facilità con cui permetteva di meditare i misteri cristiani senza la necessità di leggere un testo.
Ai quindici misteri tradizionali (cinque della Gioia o gaudiosi, cinque del Dolore o dolorosi, cinque della Gloria o gloriosi) san Giovanni Paolo II ha aggiunto, con la Lettera apostolica «RosariumVirginis Mariae» del 2002, altri cinque misteri, detti della Luce, che fanno meditare su alcuni momenti particolarmente significativi della vita pubblica di Gesù Cristo.
Alla protezione della Vergine del Santo Rosario fu attribuita la vittoria della flotta cristiana sui turchi musulmani, avvenuta a Lepanto nel 1571. A seguito di ciò papa san Pio V istituì dal 1572 la festa del Santo Rosario alla prima domenica di ottobre, dal 1913 spostata al 7 ottobre. Nuovo incremento alla pratica del Rosario si ebbe dopo le apparizioni di Lourdes del 1858, dove la Vergine fu vista dalla pastorella Bernadette Soubirous pregare con la corona in mano.
La Madonna del Rosario ebbe nei secoli una vasta gamma di raffigurazioni artistiche, quadri, affreschi, statue. Di solito è rappresentata seduta in trono con il Bambino Gesù in braccio, in atto di mostrare o dare la corona del Rosario; a volte, inginocchiati ai piedi del trono, ci sono santa Caterina da Siena e san Domenico di Guzman.
Fu proprio un quadro che riportava una raffigurazione di questo genere che, il 13 novembre 1875, fu trasportato su un carro di letame fino a Valle di Pompei, un paese ai piedi del Vesuvio, dono di una religiosa, suor Maria Concetta De Litala, all’avvocato Bartolo Longo. L’uomo, inviato in quella località dalla contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco come amministratore di alcune sue proprietà, si era riavvicinato alla fede dopo essere stato attratto dall’anticlericalismo e dallo spiritismo. Vedendo l’ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini sparsi nelle campagne, prese ad insegnare loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare il Rosario.
Il quadro fu inizialmente esposto nella piccola chiesa parrocchiale e subito iniziarono a manifestarsi grazie e miracoli per intercessione della Madonna, a tal punto che si rese necessario costruire una chiesa più grande.
Bartolo Longo, su consiglio anche del vescovo di Nola, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio, che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi venne anche incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose, benedetto da papa Leone XIII.
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario sparse in tutta Italia: in breve divenne un centro di grande spiritualità, elevato al grado di Santuario e di Basilica Pontificia.
Bartolo Longo istituì anche un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Ancora, fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerlo i Fratelli delle Scuole Cristiane.
Nel 1884 divenne promotore del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un’avvenire ai suoi orfanelli. Altre opere annesse sono asili, scuole, ospizi per anziani, ospedale, laboratori, casa del pellegrino.
Il santuario fu ampliato nel 1933-‘39, con la costruzione di un massiccio campanile alto 80 metri, un poco isolato dal tempio. Nel 1893 Bartolo Longo offrì a papa Leone XIII la proprietà del Santuario con tutte le opere pompeiane e, qualche anno più tardi, rinunciò anche all’amministrazione che il Pontefice gli aveva lasciato.
La chiesa ha la pianta a croce latina. L’interno è interamente ricoperto di marmo, ori, mosaici dorati, quadri ottocenteschi. L’imponente cupola, interamente affrescata, è di 57 metri. Nella cripta sono sepolte la contessa Marianna, suor Maria Concetta De Litala, padre Alberto Maria Radente (Domenicano, confessore di Bartolo Longo e primo rettore del Santuario) e dei vescovi di Pompei (che, come Loreto, è sede di una prelatura, ossia è direttamente soggetta al governo della Santa Sede) Vincenzo Celli, Giuseppe Formisano, Antonio Maria Rossi e Francesco Saverio Toppi, per il quale è in corso il processo di beatificazione.
Lo stesso fondatore vi era stato tumulato, ma dal 1983 i suoi resti sono stati trasportati a lato della cripta e, dal 2000, in una cappella inserita nel complesso del Santuario: è stato infatti beatificato il 26 ottobre 1980.
Il suo auspicio di vedere il Papa affacciarsi dalla loggia delle benedizioni, ricavata nella facciata del Santuario (detta anche monumento alla Pace Universale), è diventato realtà nel 1979, all’inizio del ministero di san Giovanni Paolo II come successore di san Pietro. Tornò nel 2003, in occasione del compimento dei suoi 25 anni di pontificato, per concludere ai piedi di Maria l’Anno del Rosario da lui indetto. I suoi successori Benedetto XVI e Francesco si sono invece recati a Pompei, rispettivamente nel 2008 e nel 2015.
I giorni nei quali il Santuario è maggiormente frequentato sono l’8 maggio e la prima domenica di ottobre, quando viene solennemente recitata la Supplica alla Vergine del Santo Rosario di Pompei, composta dallo stesso Beato Bartolo Longo, anche se adattata nel lessico ai giorni nostri.
VIRGEM MARIA DELLO STERPETO
Barletta, largamente conosciuta in ambito storico e culturale come “Città della Disfida”, è anche nota come “Civitas Mariae” per i forti legami storici con la Nazareth di Galilea - località in cui la Santissima Vergine Maria è vissuta - a causa della plurisecolare residenza degli arcivescovi nazareni rifugiatisi nella ridente città pugliese in seguito alla caduta dell’ultimo presidio crociato di San Giovanni d’Acri. Ancora nel Palazzo Arcivescovile Nazareno di Barletta sovrasta la dicitura fatta apporre dall’arcivescovo mons. Niccolò Iorio (1726-1745): “Barulum nova Nazareth”. Da sempre la popolazione barlettana ha sperimentato la materna intercessione dell’Immacolata di Nazareth specie nei momenti di necessità. Per questo, grata, il 15 novembre 1964, in una piazza centrale della città fu innalzato un monumento in suo onore, benedetto dal card. Luigi Traglia. Per tale realizzazione si fece promotore il sacerdote don Antonio Larosa, assistente diocesano degli uomini di Azione Cattolica.
Nei secoli a Barletta la devozione verso la Gran Madre di Dio si è identificata con l’icona bizantineggiante della Madonna dello Sterpeto, tempera su tavola di centimetri 95 x 65, datata al sec. XII, raffigurante la Vergine Maria che trattiene a destra tra le sue braccia il figlio Gesù. Cito a proposito un passo del sacerdote mons. Sabino M. Cassatella: “La Madonna ci è cara, è cara a tutta Barletta, come è cara a ciascun figlio di Barletta. Quali entusiasmi di fede suscita in noi la Madonna dello Sterpeto! Volete voi entusiasmare i barlettani alle cose della fede? Nominate la Madonna dello Sterpeto, mostratene loro una devota immagine” .
Quali le origini di questa Immagine Sacra e del suo luogo di culto? In verità non è mai stato fatto un approfondito studio critico a riguardo; pertanto ci rifacciamo ad alcune notizie raccolte da opere sparse.
A partire dal VII secolo, i monaci Basiliani cominciarono a sbarcare sulle coste dell’Italia meridionale, esuli dalla persecuzione partita da parte dell’imperatore di Costantinopoli, Leone III, detto l’Iconoclasta, portando con sé molte icone sacre, salvandole dalla distruzione. Alcuni di essi giunsero anche a Barletta ed è tradizione che portarono con sé la nostra venerata icona della Madonna. Fondarono così una piccola chiesa dedicata al culto della Gran Madre di Dio, con annesso cenobio a 3 km dal centro abitato di Barletta, sulla Statale per Trani, in una zona rurale “Stirpibus refertus”, così chiamata per la grande presenza di rovi: di qui il titolo mariano “de Stirpeto”.
Risale al 16 gennaio 1215 un primo documento in nostro possesso. E’ un atto pontificio di Papa Innocenzo III indirizzato all’arcivescovo di Trani, Bartolomeo, con il quale veniva confermato il possesso acquisito dallo stesso Arcivescovo sul casale dello Sterpeto. Dal documento pontificio si ricava che tale casale era già esistente al tempo di papa Celestino III (1191-1198).
Per la custodia della chiesa dello Sterpeto, ai Basiliani si susseguirono i monaci Benedettini di Monte Sacro. Questa presenza ci viene confermata da una pergamena del 1236 che menziona un certo “Theodorus Abbas Ecclesie S. Marie de Stirpeto”. Intorno al 1258 si avvicendarono i Benedettini Cistercensi di Arabona, che vi rimasero fino al 1374. Per oltre un secolo e mezzo la chiesa, che andò sempre più perdendo il suo prestigio, continuò ad essere officiata dal Clero secolare fino al 1550. Dopo la distruzione del borgo Sterpeto, perpetrata nel 1528 da Renzo de Ceri, nella seconda metà del ‘500, con la gestione dei Frati Minori conventuali seguì una rinascita. Nel 1626 vi successero i monaci Benedettini dell’abbazia di Montecassino e nel 1670 risultano i Canonici di Santa Maria Maggiore di Barletta. Si suppone che a causa dei frequenti saccheggi di quella zona isolata dal resto della città, il luogo di culto in questione ritornò in stato di abbandono e anche dell’Immagine della Madonna dello Sterpeto non se ne parlò più, fino a quando, stando ad una tradizione orale, ci fu il ritrovamento tra gli sterpi della sacra Icona da parte di una sordomuta che ottenne miracolosamente la guarigione grazie all’intervento materno di Maria Santissima. Siamo alla fine del XVII secolo. Da quel momento quel luogo sacro divenne meta di continui pellegrinaggi che affluivano anche dai paesi limitrofi.
Quando nel 1731 un violento terremoto, a più riprese, causò distruzione, angoscia e paura nella città di Barletta e dintorni, i fedeli ricorsero con filiale fiducia al Santuario rurale dello Sterpeto ai piedi di Maria Santissima, trasportando processionalmente la venerata Icona dal Santuario in Santa Maria Maggiore. Infatti, le loro preghiere furono esaudite e questo terribile flagello cessò. Il 31 maggio 1732 il Comune, con il concorso dei cittadini e del clero, deliberò di affidarsi alla Madonna dello Sterpeto, eleggendola “prima e principale Protettrice di Barletta”. In seguito a quell’avvenimento prodigioso: “la venerata Immagine dello Sterpeto per parecchi anni restò esposta nella Chiesa di Santa Maria Maggiore”.
In cima alla pala marmorea dell’altare maggiore (sec. XVIII) del Santuario, quasi a sentire il perpetuo patrocinio di Maria, furono scritte queste parole tratte dalla Sacra Scrittura: “Protegam civitatem istam” (Is 37,35) “et ero vobis in praesidium” (1 Cr 19,12).
Da quel momento, si instaura l’annuale tradizione, tuttora presente, di trasferire processionalmente dalla campagna in città la miracolosa immagine della Madonna dello Sterpeto, che sosta per tutto il mese di maggio in Cattedrale per ricevere gli omaggi e le preghiere dei fedeli che, senza sosta e in modo straordinario, ogni giorno si avvicendano dalle prime ore del mattino fino a tarda sera.
Nel corso dei secoli, in circostanze di grandi calamità, la sacra Immagine Mariana è sempre rimasta esposta in Cattedrale per la venerazione dei fedeli che invocavano forza, rifugio e conforto. Si pensi al tragico periodo delle due Grandi Guerre della prima metà del XX secolo.
Dal 1933 (giungono però in forma stabile nel 1935) furono custodi del Santuario i monaci Benedettini Cistercensi di Casamari. Alla loro partenza, nel 1950 si alternarono ancora una volta i canonici di Santa Maria fino al 1951, quando subentrarono definitivamente gli Oblati di San Giuseppe di Asti, che hanno dato vita e slancio a quel luogo di culto che il 4 settembre 1977 vide la dedicazione del nuovo Santuario, costruito accanto a quello antico.
Nel 1949 il vicario generale dell’Arcidiocesi Nazarena di Barletta, il servo di Dio mons. Angelo Raffaele Dimiccoli (grande devoto di Maria Santissima), unitamente al Capitolo Mariano della Cattedrale, caldeggiò il restauro dell’Icona, stravolta nelle sue linee originarie per la sovrapposizione di ridipinture, di vernici e del fumo delle candele delle lampade. La restaurata Immagine fu solennemente incoronata nel 1961 dal card. Alfredo Ottaviani. Un secondo restauro fu effettuato nel 1978 dalla Soprintendenza delle Belle Arti di Bari.
La Madonna dello Sterpeto è Patrona con san Ruggero vescovo della città di Barletta e compatrona dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. E’ festeggiata liturgicamente l’8 maggio, mentre la festa patronale è fissata per la seconda domenica di luglio. Le tributano venerazione e affetto anche i fedeli di Margherita di Savoia, di Trinitapoli e di San Ferdinando di Puglia.
Nei secoli a Barletta la devozione verso la Gran Madre di Dio si è identificata con l’icona bizantineggiante della Madonna dello Sterpeto, tempera su tavola di centimetri 95 x 65, datata al sec. XII, raffigurante la Vergine Maria che trattiene a destra tra le sue braccia il figlio Gesù. Cito a proposito un passo del sacerdote mons. Sabino M. Cassatella: “La Madonna ci è cara, è cara a tutta Barletta, come è cara a ciascun figlio di Barletta. Quali entusiasmi di fede suscita in noi la Madonna dello Sterpeto! Volete voi entusiasmare i barlettani alle cose della fede? Nominate la Madonna dello Sterpeto, mostratene loro una devota immagine” .
Quali le origini di questa Immagine Sacra e del suo luogo di culto? In verità non è mai stato fatto un approfondito studio critico a riguardo; pertanto ci rifacciamo ad alcune notizie raccolte da opere sparse.
A partire dal VII secolo, i monaci Basiliani cominciarono a sbarcare sulle coste dell’Italia meridionale, esuli dalla persecuzione partita da parte dell’imperatore di Costantinopoli, Leone III, detto l’Iconoclasta, portando con sé molte icone sacre, salvandole dalla distruzione. Alcuni di essi giunsero anche a Barletta ed è tradizione che portarono con sé la nostra venerata icona della Madonna. Fondarono così una piccola chiesa dedicata al culto della Gran Madre di Dio, con annesso cenobio a 3 km dal centro abitato di Barletta, sulla Statale per Trani, in una zona rurale “Stirpibus refertus”, così chiamata per la grande presenza di rovi: di qui il titolo mariano “de Stirpeto”.
Risale al 16 gennaio 1215 un primo documento in nostro possesso. E’ un atto pontificio di Papa Innocenzo III indirizzato all’arcivescovo di Trani, Bartolomeo, con il quale veniva confermato il possesso acquisito dallo stesso Arcivescovo sul casale dello Sterpeto. Dal documento pontificio si ricava che tale casale era già esistente al tempo di papa Celestino III (1191-1198).
Per la custodia della chiesa dello Sterpeto, ai Basiliani si susseguirono i monaci Benedettini di Monte Sacro. Questa presenza ci viene confermata da una pergamena del 1236 che menziona un certo “Theodorus Abbas Ecclesie S. Marie de Stirpeto”. Intorno al 1258 si avvicendarono i Benedettini Cistercensi di Arabona, che vi rimasero fino al 1374. Per oltre un secolo e mezzo la chiesa, che andò sempre più perdendo il suo prestigio, continuò ad essere officiata dal Clero secolare fino al 1550. Dopo la distruzione del borgo Sterpeto, perpetrata nel 1528 da Renzo de Ceri, nella seconda metà del ‘500, con la gestione dei Frati Minori conventuali seguì una rinascita. Nel 1626 vi successero i monaci Benedettini dell’abbazia di Montecassino e nel 1670 risultano i Canonici di Santa Maria Maggiore di Barletta. Si suppone che a causa dei frequenti saccheggi di quella zona isolata dal resto della città, il luogo di culto in questione ritornò in stato di abbandono e anche dell’Immagine della Madonna dello Sterpeto non se ne parlò più, fino a quando, stando ad una tradizione orale, ci fu il ritrovamento tra gli sterpi della sacra Icona da parte di una sordomuta che ottenne miracolosamente la guarigione grazie all’intervento materno di Maria Santissima. Siamo alla fine del XVII secolo. Da quel momento quel luogo sacro divenne meta di continui pellegrinaggi che affluivano anche dai paesi limitrofi.
Quando nel 1731 un violento terremoto, a più riprese, causò distruzione, angoscia e paura nella città di Barletta e dintorni, i fedeli ricorsero con filiale fiducia al Santuario rurale dello Sterpeto ai piedi di Maria Santissima, trasportando processionalmente la venerata Icona dal Santuario in Santa Maria Maggiore. Infatti, le loro preghiere furono esaudite e questo terribile flagello cessò. Il 31 maggio 1732 il Comune, con il concorso dei cittadini e del clero, deliberò di affidarsi alla Madonna dello Sterpeto, eleggendola “prima e principale Protettrice di Barletta”. In seguito a quell’avvenimento prodigioso: “la venerata Immagine dello Sterpeto per parecchi anni restò esposta nella Chiesa di Santa Maria Maggiore”.
In cima alla pala marmorea dell’altare maggiore (sec. XVIII) del Santuario, quasi a sentire il perpetuo patrocinio di Maria, furono scritte queste parole tratte dalla Sacra Scrittura: “Protegam civitatem istam” (Is 37,35) “et ero vobis in praesidium” (1 Cr 19,12).
Da quel momento, si instaura l’annuale tradizione, tuttora presente, di trasferire processionalmente dalla campagna in città la miracolosa immagine della Madonna dello Sterpeto, che sosta per tutto il mese di maggio in Cattedrale per ricevere gli omaggi e le preghiere dei fedeli che, senza sosta e in modo straordinario, ogni giorno si avvicendano dalle prime ore del mattino fino a tarda sera.
Nel corso dei secoli, in circostanze di grandi calamità, la sacra Immagine Mariana è sempre rimasta esposta in Cattedrale per la venerazione dei fedeli che invocavano forza, rifugio e conforto. Si pensi al tragico periodo delle due Grandi Guerre della prima metà del XX secolo.
Dal 1933 (giungono però in forma stabile nel 1935) furono custodi del Santuario i monaci Benedettini Cistercensi di Casamari. Alla loro partenza, nel 1950 si alternarono ancora una volta i canonici di Santa Maria fino al 1951, quando subentrarono definitivamente gli Oblati di San Giuseppe di Asti, che hanno dato vita e slancio a quel luogo di culto che il 4 settembre 1977 vide la dedicazione del nuovo Santuario, costruito accanto a quello antico.
Nel 1949 il vicario generale dell’Arcidiocesi Nazarena di Barletta, il servo di Dio mons. Angelo Raffaele Dimiccoli (grande devoto di Maria Santissima), unitamente al Capitolo Mariano della Cattedrale, caldeggiò il restauro dell’Icona, stravolta nelle sue linee originarie per la sovrapposizione di ridipinture, di vernici e del fumo delle candele delle lampade. La restaurata Immagine fu solennemente incoronata nel 1961 dal card. Alfredo Ottaviani. Un secondo restauro fu effettuato nel 1978 dalla Soprintendenza delle Belle Arti di Bari.
La Madonna dello Sterpeto è Patrona con san Ruggero vescovo della città di Barletta e compatrona dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. E’ festeggiata liturgicamente l’8 maggio, mentre la festa patronale è fissata per la seconda domenica di luglio. Le tributano venerazione e affetto anche i fedeli di Margherita di Savoia, di Trinitapoli e di San Ferdinando di Puglia.
VIRGEM MARIA MÃE DA DIVINA PROVIDÊNCIA
Cussanio, piccolo borgo agricolo, a tre chilometri dalla città di Fossano, custodisce il Santuario dedicato a Maria, Madre della Divina Provvidenza. La sua storia risale ai primi anni del 1500.
Nella fertile campagna che circonda le poche case, è solito pascolare la sua piccola mandria il vaccaro Bartolomeo Coppa, audioleso.
Un giorno di maggio del 1521 (la tradizione fissa il giorno 8 maggio), gli appare la Madonna sotto le sembianze di una Signora vestita di bianco, con il mantello azzurro. La Signora, come prima cosa, ridona miracolosamente a Bartolomeo l’uso della parola e dell’udito, e poi gli affida l’incarico di invitare, a nome suo, gli abitanti di Fossano a cambiare vita, a fare penitenza dei propri peccati, per scongiurare i castighi del Signore.
I Fossanesi si stupiscono nel sentire Bartolomeo parlare correttamente, improvvisamente guarito, ma si beffano di lui e del suo messaggio. Deluso per la sua mancata missione, Bartolomeo ritorna a pascolare la mandria, ma tre giorni dopo, stanco si addormenta ed in sogno gli appare nuovamente la Madonna vestita, questa volta, di rosso con un grande manto blu sulle spalle. Lo incoraggia a rinnovare il suo messaggio ai Fossanesi e, vedendolo affamato, gli porge tre pani.
Svegliatosi, Bartolomeo si rende conto che non tutto è stato un sogno; difatti accanto alla bisaccia vi sono i tre pani uniti tra loro, simili a quelli che la Signora gli aveva consegnato nel sogno.
Rinfrancato dal fatto straordinario accadutogli, Bartolomeo ritorna a ripetere con coraggio l’ammonizione ai suoi concittadini i quali, ancora una volta, non si danno per intesi.
La peste
Nell’autunno dello stesso anno, nel territorio si diffonde una terribile pestilenza che porta con sé non meno di tremila vittime. Gli abitanti della zona si ricordano allora delle parole della Madonna che li esortava a cambiare vita ed a fare penitenza dei propri peccati. Iniziano le processioni penitenziali sul luogo delle apparizioni e viene costruita, negli anni successivi, una piccola Chiesa a ricordo del «miracolo di Cussanio». Bartolomeo, nei restanti anni della sua lunga vita è solito girare in città e nelle campagne vestito di una tunica azzurra, con a tracolla una sciarpa parimenti azzurra, in ricordo della Madonna che gli era apparsa con il manto blu.
Riconoscimento delle apparizioni
Il primo Vescovo della nuova Diocesi eretta in Fossano, Mons. Camillo Daddeo, nel 1593 visita la chiesetta, la trova in pessime condizioni e ne ordina adeguati restauri. Qualche anno dopo il vescovo inizia il processo apostolico per verificare l’autenticità delle apparizioni della Madonna.
Il processo dura dal 1604 al 1609 e, fortunatamente possono ancora essere ascoltati testimoni che hanno conosciuto Bartolomeo Coppa, lo hanno sentito raccontare i fatti da lui vissuti, ammalati hanno mangiato tozzi di quel pane e sono sorprendentemente stati guariti. Copia manoscritta delle testimoniali del processo è conservata nell’archivio storico del comune di Fossano.
La piccola Chiesa di Cussanio viene affidata ai Padri Agostiniani della Congregazione di Genova, i quali si impegnano subito nel costruire, con la collaborazione di generosi Fossanesi, il Santuario con annesso Convento. La devozione alla Madonna di Cussanio si diffonde rapidamente, ad opera degli Agostiniani, non solo nel territorio di Fossano, ma anche nella vasta zona delle valli alpine del cuneese, del saluzzese e nella pianura verso Racconigi e Bra.
Le vicende storiche portano, per il Santuario, momenti gloriosi e periodi di decadenza. La Rivoluzione francese, con Napoleone, nel 1802 sopprime le corporazioni religiose. I Padri Agostiniani sono secolarizzati ed espulsi, il Santuario ed il Convento confiscati. Nel 1866 le leggi Siccardi del Governo italiano, espropriano nuovamente i beni del Santuario, ed il Convento è occupato dal Demanio.
La rinascita ad opera del vescovo Manacorda
Il 10 marzo del 1872, fa il solenne ingresso in Diocesi di Fossano il vescovo Mons. Emiliano Manacorda, carissimo al Papa Pio IX e grande amico di Don Bosco. Recatosi quanto prima a Cussanio, il vescovo si rende conto dello stato pietoso e dello squallore in cui è caduto il Convento costruito due secoli prima dai Padri Agostiniani, dell’abbandono di quella chiesa campestre ridotta alle sole pareti, delle rovine coperte di solitudine. Il Convento, incamerato dal Demanio, diventato deposito di paglia e di attrezzi agricoli, è in procinto di essere venduto.
Si parla che debba diventare ospedale militare o psichiatrico.
Il giovane vescovo si impegna subito perché Cussanio diventi nuovamente centro della devozione mariana, anzi faro dell’amore a Maria per la Diocesi e non solo. Viste inutili le richieste di restituzione del Convento all’Opera degli Esercizi Spirituali ed al Seminario, cita con coraggio in tribunale il Demanio che lo ha illegalmente occupato.
Ma le difficoltà legali si moltiplicano e si prolungano per tutto il 1873.
Un giorno, più afflitto che mai nel profondo del cuore, alzando lo sguardo all’immagine della Madonna che pende alla parete del suo ufficio, come ispirato, Mons. Manacorda esclama:
«O Vergine SS., queste cause io le affido a Voi; fatemi vincere queste liti ed io renderò più bella la vostra casa di Cussanio, anzi Vi giuro che là vi farò rendere un culto speciale, sotto il titolo di Madre della Divina Provvidenza...; che se lasciate compiere l’opera degli empi, non solo non esisterà il convento, ma deserta sarà pure la Vostra casa».
A tanta confidenza e a così solenne promessa, la Madonna dal cielo avrà sorriso di compiacenza! La vertenza prende un avvio favorevole e nel 1874 il Convento ritorna all’Opera degli Esercizi Spirituali ed al Seminario. Il vescovo si accinge immediatamente, con riconoscenza, all’opera di restaurazione delle strutture materiali, ma soprattutto alla diffusione della devozione alla Madonna tra i diocesani ed i devoti di Cussanio.
Nella sua continua ardente e pia predicazione non cessa di parlare delle predilezioni della Madonna per i suoi fedeli, e dei suoi tre atti di provvidenza materna: la parola al muto, il pane all’affamato, il salutare richiamo alla conversione, sinteticamente racchiusi nel bellissimo e devoto quadro del Claret, posto sull’Altare centrale del Santuario.
Nella fertile campagna che circonda le poche case, è solito pascolare la sua piccola mandria il vaccaro Bartolomeo Coppa, audioleso.
Un giorno di maggio del 1521 (la tradizione fissa il giorno 8 maggio), gli appare la Madonna sotto le sembianze di una Signora vestita di bianco, con il mantello azzurro. La Signora, come prima cosa, ridona miracolosamente a Bartolomeo l’uso della parola e dell’udito, e poi gli affida l’incarico di invitare, a nome suo, gli abitanti di Fossano a cambiare vita, a fare penitenza dei propri peccati, per scongiurare i castighi del Signore.
I Fossanesi si stupiscono nel sentire Bartolomeo parlare correttamente, improvvisamente guarito, ma si beffano di lui e del suo messaggio. Deluso per la sua mancata missione, Bartolomeo ritorna a pascolare la mandria, ma tre giorni dopo, stanco si addormenta ed in sogno gli appare nuovamente la Madonna vestita, questa volta, di rosso con un grande manto blu sulle spalle. Lo incoraggia a rinnovare il suo messaggio ai Fossanesi e, vedendolo affamato, gli porge tre pani.
Svegliatosi, Bartolomeo si rende conto che non tutto è stato un sogno; difatti accanto alla bisaccia vi sono i tre pani uniti tra loro, simili a quelli che la Signora gli aveva consegnato nel sogno.
Rinfrancato dal fatto straordinario accadutogli, Bartolomeo ritorna a ripetere con coraggio l’ammonizione ai suoi concittadini i quali, ancora una volta, non si danno per intesi.
La peste
Nell’autunno dello stesso anno, nel territorio si diffonde una terribile pestilenza che porta con sé non meno di tremila vittime. Gli abitanti della zona si ricordano allora delle parole della Madonna che li esortava a cambiare vita ed a fare penitenza dei propri peccati. Iniziano le processioni penitenziali sul luogo delle apparizioni e viene costruita, negli anni successivi, una piccola Chiesa a ricordo del «miracolo di Cussanio». Bartolomeo, nei restanti anni della sua lunga vita è solito girare in città e nelle campagne vestito di una tunica azzurra, con a tracolla una sciarpa parimenti azzurra, in ricordo della Madonna che gli era apparsa con il manto blu.
Riconoscimento delle apparizioni
Il primo Vescovo della nuova Diocesi eretta in Fossano, Mons. Camillo Daddeo, nel 1593 visita la chiesetta, la trova in pessime condizioni e ne ordina adeguati restauri. Qualche anno dopo il vescovo inizia il processo apostolico per verificare l’autenticità delle apparizioni della Madonna.
Il processo dura dal 1604 al 1609 e, fortunatamente possono ancora essere ascoltati testimoni che hanno conosciuto Bartolomeo Coppa, lo hanno sentito raccontare i fatti da lui vissuti, ammalati hanno mangiato tozzi di quel pane e sono sorprendentemente stati guariti. Copia manoscritta delle testimoniali del processo è conservata nell’archivio storico del comune di Fossano.
La piccola Chiesa di Cussanio viene affidata ai Padri Agostiniani della Congregazione di Genova, i quali si impegnano subito nel costruire, con la collaborazione di generosi Fossanesi, il Santuario con annesso Convento. La devozione alla Madonna di Cussanio si diffonde rapidamente, ad opera degli Agostiniani, non solo nel territorio di Fossano, ma anche nella vasta zona delle valli alpine del cuneese, del saluzzese e nella pianura verso Racconigi e Bra.
Le vicende storiche portano, per il Santuario, momenti gloriosi e periodi di decadenza. La Rivoluzione francese, con Napoleone, nel 1802 sopprime le corporazioni religiose. I Padri Agostiniani sono secolarizzati ed espulsi, il Santuario ed il Convento confiscati. Nel 1866 le leggi Siccardi del Governo italiano, espropriano nuovamente i beni del Santuario, ed il Convento è occupato dal Demanio.
La rinascita ad opera del vescovo Manacorda
Il 10 marzo del 1872, fa il solenne ingresso in Diocesi di Fossano il vescovo Mons. Emiliano Manacorda, carissimo al Papa Pio IX e grande amico di Don Bosco. Recatosi quanto prima a Cussanio, il vescovo si rende conto dello stato pietoso e dello squallore in cui è caduto il Convento costruito due secoli prima dai Padri Agostiniani, dell’abbandono di quella chiesa campestre ridotta alle sole pareti, delle rovine coperte di solitudine. Il Convento, incamerato dal Demanio, diventato deposito di paglia e di attrezzi agricoli, è in procinto di essere venduto.
Si parla che debba diventare ospedale militare o psichiatrico.
Il giovane vescovo si impegna subito perché Cussanio diventi nuovamente centro della devozione mariana, anzi faro dell’amore a Maria per la Diocesi e non solo. Viste inutili le richieste di restituzione del Convento all’Opera degli Esercizi Spirituali ed al Seminario, cita con coraggio in tribunale il Demanio che lo ha illegalmente occupato.
Ma le difficoltà legali si moltiplicano e si prolungano per tutto il 1873.
Un giorno, più afflitto che mai nel profondo del cuore, alzando lo sguardo all’immagine della Madonna che pende alla parete del suo ufficio, come ispirato, Mons. Manacorda esclama:
«O Vergine SS., queste cause io le affido a Voi; fatemi vincere queste liti ed io renderò più bella la vostra casa di Cussanio, anzi Vi giuro che là vi farò rendere un culto speciale, sotto il titolo di Madre della Divina Provvidenza...; che se lasciate compiere l’opera degli empi, non solo non esisterà il convento, ma deserta sarà pure la Vostra casa».
A tanta confidenza e a così solenne promessa, la Madonna dal cielo avrà sorriso di compiacenza! La vertenza prende un avvio favorevole e nel 1874 il Convento ritorna all’Opera degli Esercizi Spirituali ed al Seminario. Il vescovo si accinge immediatamente, con riconoscenza, all’opera di restaurazione delle strutture materiali, ma soprattutto alla diffusione della devozione alla Madonna tra i diocesani ed i devoti di Cussanio.
Nella sua continua ardente e pia predicazione non cessa di parlare delle predilezioni della Madonna per i suoi fedeli, e dei suoi tre atti di provvidenza materna: la parola al muto, il pane all’affamato, il salutare richiamo alla conversione, sinteticamente racchiusi nel bellissimo e devoto quadro del Claret, posto sull’Altare centrale del Santuario.
NOSSA SENHORA DE LUJAN
Un mondo di privilegiati e un mondo di esclusi. Una ricchezza mal distribuita. Un progresso che non coincide con lo sviluppo umano. La capitale argentina, definita una “piovra”, ha quattro milioni di cittadini. Ma se consideriamo la grande Buenos Aires, composta da 17 distretti, con dieci milioni di abitanti distribuiti in nove diocesi, che fa un tutt’uno con il centro megalopolitano, la sua popolazione risulta un quarto di tutto il paese.
Ed è proprio al confine con la grande Buenos Aires, a 67 km, percorrendo la via Castro Barros e immettendosi nell’“Autopista 25 de Mayo” che si collega all’“Autopista del Oeste” che si arriva a Lujàn. Alla Basilica di stile gotico francese di Nostra Signora di Luján. Da 25 anni “l’8 maggio, giorno della festa, attira più di un milione di giovani. Percorrono a piedi circa 200 chilometri”, mi racconta in macchina suor Maria Isabel Sancho, di origine spagnola. Ma non sono i soli. Anche da Madrid, cittadina di 10 mila abitanti nella Pampa argentina, circondata da praterie dove pascolano allo stato brado mandrie di bovini e cavalli, i “gauchos”, guardiani a cavallo delle mandrie in libertà, si dirigono a cavallo al Santuario, che dista 500 km. Un viaggio di 10 giorni, con pernottamento nei paesi di passaggio e ospiti della gente del posto.
Il viaggio con suor Isabel prende una piega interessante e diventa istruttivo. Attraversiamo la zona centrale di Buenos Aires che costeggia il Rio de la Plata dove naturalmente si concentra il complesso dei servizi pubblici: banche, uffici nazionali e municipali, università, tribunali, attività commerciali. Percorriamo poi quartieri dalle fisionomie più disparate: grandi palazzi dai molti piani ed appartamenti; zone di villette a dimensione familiare molto costose; e immancabili villas de emergencia, poverissime e prive dei servizi elementari.
Nella Capitale federale gli imbottigliamenti stradali sono di casa. Finalmente siamo al casello dell’autostrada. Per occupare il tempo, suor Isabel mi segnala alcuni dati sulla popolazione diocesana “circa 3.716.000 abitanti distribuiti su 202 chilometri quadrati, che registra oltre 3.420.000 cattolici in 180 parrocchie servite da 180 preti affiancati da 363 sacerdoti regolari e da 2.088 suore”. Se la matematica non è un’opinione ciò significa che ad ogni parroco spetta la cura pastorale di 19.000 fedeli.
“Le parrocchie sono raggruppate in venti decanati e in quattro vicariati locali, retti ciascuno da un vescovo ausiliare. Ai vicariati territoriali si accostano vicariati settoriali per la Pastorale, la Gioventù e l’Educazione. L’istituzione di diverse aree pastorali come liturgia, spiritualità, famiglia, cultura, solidarietà... mira a un’evangelizzazione che raggiunga, per quanto è possibile, ogni bonairense. Si avverte il bisogno d’una pastorale d’insieme” conclude suor Isabel.
Mentre attraversiamo le città di Morón, Moreno e General Rodríguez, una nicchia con l’immagine di N. S. di Luján e la segnaletica “rio Luján” fa scivolare il discorso di suor Isabel su quanto accadde in quel percorso nel lontano 15 giugno 1536. Quando il nipote di don Pedro de Mendoza, il capitano Pedro Luján, venne ucciso dagli Indios. Solo nel 1638 questa contrada divenne luogo di transito per il commercio, grazie alla costruzione della nuova strada che conduceva a Cordoba. Questa favorì il transito alle carovane e il commercio tra gli spagnoli della Plata e i portoghesi del Brasile, entrambi sudditi della stessa corona.
In uno di questi scambi, il portoghese, Don Antonio Ferías de Sáa, proprietario di una fattoria nella località di Sumampa, della giurisdizione di Cordoba del Tucumán, chiese all’amico marinaio Juan che le portasse dal Brasile un’immagine dell’Immacolata Concezione per erigere una cappella.
Suor Isabel mentre racconta sembra che riveda, come in un film, le vicende d’allora. E da brava “sceneggiatrice”, costeggia la mulattiera, adesso autostrada, che gli storici segnalano come luoghi dell’evento prodigioso. Sostiamo in un podere. E riprende a raccontare. “Secondo Monsignor Presas, la richiesta dell’immagine risale al 1629. Quando Juan si preparava a partire per Pernambuco, in Brasile. È probabile che la statua fu comprata lì. Solo che quando giunse al porto di Buenos Aires la statua si era duplicata. Si trattava di due statuette in terracotta, ben custodite in due casse di legno: una raffigurava l’Immacolata Concezione ed è la Vergine che attualmente si venera nel Santuario di Luján; l’altra rappresentava la Madre di Dio, traslata poi a Cordoba. Della seconda si riconosce lo stile artigianale tipico del Brasile. Della prima si dice che San Paolo proprio nel 1630 inviava tante statue della Vergine in Brasile. Difatti la nave con Juan ritorna a Buenos Aires il 23 marzo del 1630”. Al porto, “le due scatole vengono caricate su una delle carovane dirette a Viejo e a Cordoba. È il mese di maggio. La carovana, dopo due giorni di cammino, si ferma presso il rio Luján per trascorrere la notte”.
Suor Isabel mi indica il luogo che oggi corrisponde a Villa Rosa nella circoscrizione di Pilar, a 30 km dalla Basilica. Dove attraverso il ponte sotto cui scorre il rio Luján si giunge in 15 minuti alla meta del pellegrinaggio. Proprio nei pressi di questa terra, – continua suor Isabel – “allo spuntare del sole, il cocchiere della carovana rilegò i buoi al carro, spingendoli a camminare. Ma non muovevano un passo, neppure se percossi. Pensarono di alleggerire il carico. Levarono le due casse. E i buoi ripresero a camminare. Rimisero le casse e i buoi si fermarono. È evidente che l’ostacolo erano le casse. Non mancò un’ulteriore prova: ne tolsero una e il carro stava fermo, la sostituirono con l’altra e i buoi ripresero a camminare senza difficoltà. A questo punto chiesero a Juan il contenuto delle scatole. Così la statua dell’Immacolata Concezione fu trasportata alla fattoria di Rosende. L’altra intraprese il viaggio verso Cordoba. Il padrone della fattoria s’impegnò a costruire una modesta cappella, affidandone la guardia ad un suo servitore, il negretto Manuel”.
Nel giro di poche ore la notizia prese il volo. Si diffuse rapidamente. E la cappella divenne meta di devozione. “La statua vi rimase per oltre 40 anni. Gli affari economici, però, subirono delle perdite sia per la negligenza degli operai che per la chiusura della strada per Cordoba. In quanto, sovente, su questa strada si verificavano delle rappresaglie a causa della Cappella perché le autorità ecclesiastiche non si esprimevano sui prodigi che la Vergine compiva. Solo il negro Manuel ne manteneva vivo il culto”.
Nel 1671 Doña Ana de Matos, padrona di un’altra fattoria, sempre nei pressi del rio Luján chiese a Juan Oramas di venderle la statua. Perché la sua fattoria si presentava come luogo più sicuro e più transitato. Così avvenne. Ma il giorno seguente, Doña Ana non trovò la statua al suo posto. Era ritornata nella vecchia cappella. Raccontò l’accaduto alle autorità ecclesiastiche. Si recarono sul luogo e in processione la riportarono alla fattoria de Matos. “Questa volta insieme alla statua c’era anche il negretto Manuel. La statua non si mosse da lì e neppure Manuel che si era consacrato come schiavo della Vergine. Difatti donna Rosende lo rese libero”.
La storia è già agli sgoccioli. Suor Isabel riprende la strada perché vuol concludere il racconto in Basilica. Si è giunti alla costruzione di questa Basilica dopo aver eretto una seconda cappella, terminata nel 1685, nella terra di Doña Ana. Poiché non era abbastanza capiente nel 1754 si gettarono le fondamenta del Tempio. “Anche i re di Spagna aiutaro-
no nell’impresa”, sottolinea suor Isabel. Nel dicembre del 1871 si ebbe il primo pellegrinaggio ufficiale. L’8 maggio del 1887 l’incoronazione di Nuestra Señora de Luján, concessa da Leone VIII. E il 15 maggio si mise la prima pietra per la costruzione della basilica. Nel 1890 cominciarono i lavori. Nel frattempo, nel 1893, Luján viene dichiarata città.
Eccomi davanti alla Basilica. Due torri alte 110 metri, svettano davanti a me. Intanto suor Isabel mi sussurra un’ultima informazione: nel 1930 l’Immacolata Concezione di Luján è dichiarata Patrona dell’Argentina, Uruguay e Paraguay.
Oggi è un giorno feriale. Eppure siamo in tanti a pregare davanti alla piccola statua che ogni anno accoglie oltre quattro milioni di pellegrini. E tra questi, quest’anno ci sono anch’io.
ELÁDIO, Santo
Em Auxerre, na Gália Lionense, hoje França, Santo ELÁDIO bispo. (388)
ARSÉNIO, Santo
Em Cete, monte do Egipto, Santo ARSÉNIO que, segundo a tradição foi diácono da Igreja romana e, no tenmpo do imperativo Teodósio, se retirou para o ermo, onde, insigne em todas as virtudes, entregou o espírito a Deus. (séc. IV)
Em Cete, monte do Egipto, Santo ARSÉNIO que, segundo a tradição foi diácono da Igreja romana e, no tenmpo do imperativo Teodósio, se retirou para o ermo, onde, insigne em todas as virtudes, entregou o espírito a Deus. (séc. IV)
GIBRIANO, Santo
No territorio de Chàlons, na Gália, hoje França, São GIBRIANO presbitero que vindo da Irlanda, se fez peregrino por Cristo na Gália. (515)
DESIDÉRIO, Santo
Em Bourges, na Aquitânia hoje França, DESIDÉRIO bispo que tinha sido guarda do selo real e dotou a sua igreja com várias reliquias dos mártires (550)
BONIFÁCIO IV, Santo
Em Roma, junto de São PEDRO, São BONIFÁCIO IV papa, que transformou em igreja o Panteão doado pelo imperador Foca e dedicou a Deus em honra da Virgem Santa Maria e de todos os Mártires e fomentou muito a vida monástica. (615)
MARTINHO, Santo
Em Saujon, no territorio de Saintes, Aquitânia hoje França, São MARTINHO presbítero e abade. (séc. VI)
BENTO II, Santo
Também junto de São Pedro, em Roma, São BENTO II papa, insigne pelo seu amor à pobreza, humildade, afabilidade, paciência e liberalidade. nas esmolas. (685)
METRÓNIO, Santo
Em Verona, na Venécia hoje no Véneto, Itália, São METRÓNIO eremita, que segundo a tradição, passou a vida em grande austeridade e penitência. (séc. VIII)
VIRO, Santo
Em Roermond, junto ao rio Mosa, no Brabante da Austrásia, hoje Holanda, São VIRO que, segundo a tradição, juntamente com os companheiros PLECHELMO e ODGERO desenvolveu um grande trabalho apostólico para evangelizar esta região. (700)
AMADO RONCÓNI, Beato
Em Saludécio, no Piceno, hoje na Emília-Romanha, Itália, o beato AMADO RONCÓNI venerável pela virtude da hospitalidade e assistência aos peregrinos. (séc. XIII)
ÂNGELO DE MASSÁCIO, Beato
No mosteiro de Santa Maria della Serra, Piceno, hoje nas Marcas, Itália, o beato ÂNGELO DE MASSÁCIO presbitero da Ordem Camaldulense e mártir, ariodoroso defensor da observância do domingo. (1458)
LUÍS RÁBATA, Beato
Em Randáccio, na Sicília, Itália, o beato LUÍS RÁBATA presbitero da Ordem dos Carmelitas fidelíssimo na observância da regra e admirável exemplo de caridade para com os inimigos. (1490)
MARIA CATARINA DE SANTO AGOSTINHO (Catarina Symon de Longprey), Beata
No Quebeque, Canadá, a beata MARIA CATARINA DE SANTO AGOSTINHO (Catarina Symon de Longprey) virgem das Irmãs Hospitaleiras da Misericórdia da Ordem de Santo Agostinho que, dedicada à assistência aos enfermos, resplandeceu pelo modo de os animar com o conforto e o estímulo da esperança. (1668)
ULRICA (Francisca Nisch), Beata
Em Hegue, Baden, Alemanha, a Beata ULRICA (Francisca Nisch) virgem das Irmãs da Caridade de Santa Cruz, que nos trabalhos mais humildes principalmente como auxiliar de cozinha, sempre se comportou como incansável serva do Senhor. (1913)
ANTÓNIO BAJEWSKI, Beato
No campo de concentração de Auschwitz, Cracóvia, Polónia, o Beato ANTÓNIO BAJEWSKI presbitero da Ordem dos Fardes menores Conventuais e mártir, que, no tempo devastador da guerra, duramente maltratado pelos tormentos no cárcere, alcançou a glória do Senhor. (1941)
... E AINDA ...
BERNARDINO DE BUSTIS, Beato
Bernardino de’ Bustis, insigne teologo e predicatore francescano, nacque a Milano verso la metà del sec. XV, dalla nobile famiglia de’ Bustis o de’ Bust"
DOMINGOS DE SÃO PEDRO e PEDRO DE ALLOS, Beatos
Esempio di vita dedita tutta al Signore, i Beati Domenico di San Pietro e Pietro de Alos, mercedari redentori, vennero inviati in Africa per redimere, liberarono 187 schiavi dal duro giogo dei mori. Pieni di virtù e con una santa morte andarono in paradiso
JOÃO VICI DE TRONCONE, Beato
Il Beato Giovanni Vici da Stroncone (Terni), di cui ci è ignota la data di nascita, nel 1373 entra nell'Ordine Francescano dei Frati minori, e viene accolto nell’Eremo di Stroncone dal Beato Paoluccio Trinci da Foligno, padre del movimento dell’Osservanza. Questi frati zoccolanti propugnavano un ritorno alla semplicità della regola francescana primitiva.
Uomo dotto e fecondo oratore, per purezza di vita ed efficace eloquenza, Giovanni fu da tutti rispettato ed amato, ricoprendo il ruolo di commissario generale, dal 1390, e di vicario, dal 1415, dei frati minori osservanti. La sua vita s’intreccia con quella del giovane Beato Antonio Vici da Stroncone
Uomo dotto e fecondo oratore, per purezza di vita ed efficace eloquenza, Giovanni fu da tutti rispettato ed amato, ricoprendo il ruolo di commissario generale, dal 1390, e di vicario, dal 1415, dei frati minori osservanti. La sua vita s’intreccia con quella del giovane Beato Antonio Vici da Stroncone
IDA ou ITA, Beata
Il nome “Ida” compare già nella mitologia greca, ove designa un monte dell’isola di Creta nel quale secondo il mito, Gea, la dea terra, avrebbe nascosto il piccolo Giove, per sottrarlo al padre Saturno, il tempo, vorace divoratore di ogni cosa ed addirittura dei propri figli. In realtà alla santa venerata oggi fu conferito il nome germanico “Itta”, che solamente in un secondo momento fu assimilato ad “Ida”. Itta apparteneva al popolo dei Franchi, che a quel tempo era ancora un popolo di rudi guerrieri.
MARIA TERESA DEMJANOVICH, Beata
Teresa Demjanovich nacque il 26 marzo 1901 a Bayonne, nello stato del New Jersey, ultima dei sette figli nati dal matrimonio tra Alexander Demjanovich e Johanna Suchy, immigrati dopo il matrimonio dalla Slovacchia dell’Est. In un testo autobiografico rinvenuto dopo la sua morte, ella affermò: «La nostra casa era governata dall’amore più che dalla paura». Descrivendo l’ambiente, proseguiva: «Alle pareti erano appese esclusivamente immagini sacre” e «Luci votive erano accesa di fronte agli altarini e alle statue del Sacro Cuore, della Beata Vergine e di san Giuseppe». Suo padre lavorò inizialmente come calzolaio, poi come operaio in una raffineria
ODGERO, Santo
San Wirone o Wiro era originario dell’Irlanda, alcuni dicono della Scozia e verso la fine del secolo VII partì dalla sua patria, come missionario vescovo, per la Bassa Mosa (Olanda), insieme al vescovo missionario s. Plechelmo e del diacono s. Odgero per evangelizzare i Frisoni, popolazione di stirpe germanica, abitante nella Frisia olandese.
PIETRO PETRONI, Beato
PIETRO PETRONI, Beato
Nato a Siena nel 1311. In gioventù aveva curato gli infermi e persino i lebbrosi della sua città, prima di entrare, diciassettenne, nella Certosa di Maggiano contro la volontà dei suoi genitori nel 1328. Durante la sua vita Pietro ebbe numerose visioni mistiche e compiva miracoli, o almeno questi venivano attribuiti alla sua intercessione da parte dei fedeli. Ciò gli procurava grande celebrità e venerazione, con tutti i clamori che ne conseguivano.
RAIMUNDO DE TOLOSA, Bdeato
Figlio del conte de Montfort e cugino del Beato Giorgio da Lauria, il Beato Raimondo da Tolosa di Francia, passando per la Spagna fece visita al santuario di Montserrat e qui davanti alla Vergine Santa decise di entrare nell’Ordine Mercedario. Prese l’abito nel convento di Sant’Eulalia in Barcellona ed in breve tempo si sparse la notizia che il giovane conte si era fatto religioso. Appena saputo ciò, il ventiquattrenne Beato Giorgio lo raggiunse e vani furono tutti i suoi tentativi minacciosi per fare uscire il cugino dalla vita religiosa. Fu zelante predicatore e virtuoso pieno di meriti, nel 1335 Papa Benedetto XII° lo nomina cardinale Prete di Santa Romana Chiesa del titolo di Santo Stefano in Monte Clelio, lavorò instancabilmente per la redenzione degli schiavi e convertì molti giudei a Cristo che tanto rifulse nell’Ordine. Avvertito divinamente della sua morte, in pace si addormentò nel Signore. L’Ordine lo festeggia l’8 maggio
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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
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Textos recolhidos
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MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
MARTIROLÓGIO ROMANO
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