Caros Amigos:
Desejo a todos os meus leitores
8º A N O
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DEDICAÇÃO DA BASÍLICA DE
SANTA MARIA MAIOR
MÉMIO de Chalons-sur-Marne, Santo
Em Chalons-sur-Marne, na Gália Bélgica, hoje França, São MÉMIO venerado como primeiro bispo desta cidade. (séc. III)
PÁRIS de Teano, Santo
,
Em Teano, na Campânia, Itália, São PÁRIS bispo que é considerado o primeiro a ocupar esta sede episcopal. (séc. IV)
CASSIANO de Autun, Santo
Em Autun, na Gália Lionense, hoje na França, São CASSIANO bispo. (séc. IV)
NONA de Nazianzo, Santa
Em Nazianzo, na Capadócia, hoje Nenizi, na Turquia, Santa NONA, que foi esposa do bispo São GREGÓRIO O VELHO e mãe dos santos GREGÓRIO O TEÓLOGO, CESÁRIO e GORGÓNIA. (374)
EMÍDIO DE ÁSCOLI, Santo
Em Áscoli - Piceno hoje nas Marcas, Itália, Santo EMÍDIO celebrado como o primeiro bispo desta cidade e mártir. (séc. IV)
VENÂNCIO de Viviers, Santo
Em Viviers, na Gália hoje França, São VENÂNCIO bispo. (535)
VIADOR de Tremblevif, Santo
Em Tremblevif, hoje Saint-Viâtre, Sologne, na Gália hoje França, São VIADOR eremita. (séc. VI)
OSVALDO de Maserfield, Santo
Em Maserfield, hoje Osvestry em sua honra, na região de Shrewsbury, Inglaterra, Santo OSVALDO mártir que, sendo rei de Nórtúmbria e insigne militar, mas sobretudo amigo da paz, difundiu incansavelmente a fé cristã neste território e, no combate contra os pagãos, foi morto em ódio a Cristo. (642)
FRANCISCO ZANFREDÍNI, Beato
Em Montegranaro, no Piceno, hoje nas Marcas, Itália, o beato FRANCISCO ZANFREDÍNI, popularmente chamado «Cecco de Pêsaro» da Ordem Terceira de São Francisco que, doando todos os seus haveres aos proibires, viveu durante quase 50 anos numa ermida, por ele edificada e foi para todos um exemplo de penitências, oração e boas obras. (1350)
MARGARIDA DE SANSEVERINO,Santa
Em San Severino, no Piceno, Santa MARGARIDA viúva. (1395)
PEDRO MIGUEL NOEL, Beato
Num barco ancorado ao largo de Rochefort, França, o Beato PEDRO MIGUEL NOEL presbitero de Ruão e mártir, que durante a revolução francesa foi aprisionado na galera em condições desumanas por causa do seu sacerdócio e contaminado por uma enfermidade, consumou o martírio. (1794)
EDMUNDO ÂNGELO (Pedro Masò Llagostera), Beato
Em Más Llanes na Catalunha, Espanha, o beato EDMUNDO ÂNGELO (Pedro Masó Llagostera) religioso da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs e mártir. (1936)
MAXIMINO FERNÁNDEZ MARINAS,
VÍTOR GARCÍA CEBALLOS, MANUEL MORENO MARTINEZ e EDUARDO GONZÁLEZ SANTO DOMINGO, Beatos
Em Madrid, Espanha, os beatos mártires MAXIMINO FERNÁNDEZ MARINAS, VÍTOR GARCÍA CEBALLOS e MANUEL MORENO MARTINEZ presbiteros e EDUARDO GONZÁLEZ SANTO DOMINGO religioso todos da Ordem dos Pregadores e mártires. (1936)
MADONA DELLA NEVE
La Vergine Maria, oggetto di iperdulia, è stata invocata in tutti i secoli cristiani, con tante denominazioni legate alle sue virtù, al suo ruolo di corredentrice del genere umano e come Madre di Gesù il Salvatore; inoltre alle sue innumerevoli apparizioni, per i prodigi che si sono avverati con le sue immagini, per il culto locale tributatole in tante comunità.
E per ogni denominazione ella è stata raffigurata con opere d’arte dei più grandi come dei più umili artisti, inoltre con il sorgere di tantissime chiese, santuari, basiliche, cappelle, ecc. a lei dedicate, si può senz’altro dire, che non c’è nel mondo cristiano un paese, una città, un villaggio, che non abbia un tempio o una cappella dedicata a Maria, nelle sue innumerevoli denominazioni.
Il titolo di Madonna della Neve, contrariamente a titoli più recenti come Madonna degli abissi marini, Madonna delle cime dei monti, Madonna delle grotte, ecc. quello di Madonna della Neve affonda le sue origini nei primi secoli della Chiesa ed è strettamente legato al sorgere della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma.
Nel IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni, insieme alla sua altrettanto ricca e nobile moglie, non avendo figli decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata.
La Madonna gradì il loro desiderio e apparve in sogno ai coniugi la notte fra il 4 e il 5 agosto, tempo di gran caldo a Roma, indicando con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa.
Infatti la mattina dopo, i coniugi romani si recarono da papa Liberio a raccontare il sogno fatto da entrambi, anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e quindi si recò sul luogo indicato, il colle Esquilino e lo trovò coperto di neve, in piena estate romana.
Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi.
Questa la tradizione, anche se essa non è comprovata da nessun documento; la chiesa fu detta ‘Liberiana’ dal nome del pontefice, ma dal popolo fu chiamata anche “ad Nives”, della Neve.
L’antica chiesa fu poi abbattuta al tempo di Sisto III (432-440) il quale in ricordo del Concilio di Efeso (431) dove si era solennemente decretata la Maternità Divina di Maria, volle edificare a Roma una basilica più grande in onore della Vergine, utilizzando anche il materiale di recupero della precedente chiesa.
In quel periodo a Roma nessuna chiesa o basilica raggiungeva la sontuosità del nuovo tempio, né l’imponenza e maestosità; qualche decennio dopo, le fu dato il titolo di Basilica di S. Maria Maggiore, per indicare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna.
Nei secoli successivi la basilica ebbe vari interventi di restauro strutturali e artistici, fino a giungere, dal 1750 nelle forme architettoniche che oggi ammiriamo.
Dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata nel termine “Dedicazione di Santa Maria Maggiore” con celebrazione rimasta al 5 agosto; il miracolo della neve in agosto non è più citato in quanto leggendario e non comprovato.
Ma il culto per la Madonna della Neve, andò comunque sempre più affermandosi, tanto è vero che tra i secoli XV e XVIII ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l’instaurarsi di tante celebrazioni locali, che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città.
A Roma il 5 agosto, nella patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore, il miracolo veniva ricordato, non so se ancora oggi si fa, con una pioggia di petali di rose bianche, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica.
Il culto come si è detto, ebbe grande diffusione e ancora oggi in Italia si contano ben 152 fra chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve.
Ogni regione ne possiede un buon numero, per lo più concentrate in zone dove la neve non manca, fra le regioni primeggiano il Piemonte con 31, la Lombardia con 19, la Campania con 17. Non conoscendo usi, costumi e tradizioni dei tanti paesi italiani che portano viva devozione alla Madonna della Neve, mi soffermo solo a segnalare tre località dalla mia provincia di Napoli, il cui culto e celebrazione è molto solenne, coinvolgendo la comunità dei fedeli anche in grandi manifestazioni esterne e folcloristiche.
Basilica parrocchia di S. Maria della Neve, patrona del quartiere orientale di Napoli chiamato Ponticelli, la cui devozione iniziò con la bolla di papa Leone X del 22 maggio 1520.
L’antico santuario è stato proclamato Basilica Minore il 27 luglio 1988. Da più di cento anni la solenne processione esterna è effettuata con un alto carro (nel contesto della radicata tradizione napoletana delle macchine da festa), alla cui sommità è posta la statua della Madonna.
Basilica Santuario Maria SS. della Neve in Torre Annunziata (Napoli). L’immagine in terracotta bruna di tipo greco della veneratissima Madonna della Neve, è custodita nella omonima Basilica Minore; essa ha origine con il rinvenimento a mare, presso lo ‘scoglio di Rovigliano’, dell’immagine da parte di pescatori, tra il XIV e XV secolo; le fu dato il nome di Santa Maria ad Nives, perché il ritrovamento era avvenuto un 5 agosto.
La grande processione, che coinvolge tutta la popolosa città, inizia dal porto, dopo che la sacra immagine arriva dal mare con una barca, simulando l’originario rinvenimento.
I torresi, noti nel mondo per la lavorazione della pasta e per il lavoro degli uomini nell’ambito marinaro, sono devotissimi della Madonna, che li liberò da una delle violente eruzioni del Vesuvio, alle cui falde è adagiata Torre Annunziata, il 22 ottobre 1822.
Collegiata di S. Maria Maggiore o della Neve di Somma Vesuviana (Napoli). La Collegiata fu istituita con il titolo di S. Maria Maggiore verso l’anno 1600, al posto di precedenti denominazioni della chiesa, risalenti al Medioevo.
Nella stessa Collegiata è attiva la Confraternita della Madonna della Neve, con confratelli e consorelle, lo Statuto è del 1° settembre 1762; ai confratelli spetta il compito di portare in processione la statua della Madonna.
Nel contesto delle manifestazioni esterne, c’è la “festa delle lucerne”, che si svolge ogni quattro anni nei giorni 3-4-5 agosto; le strade dell’antico borgo medioevale Casamale vengono invase da tanti telai di forme geometriche varie, su ciascuno dei quali sono poggiate circa 50 lucerne, così da dare l’impressione di un fiume sfavillante che percorre il borgo.
Ad accrescere l’effetto visivo, in fondo alla serie di figure geometriche, si colloca un grande specchio, che prolunga con il suo riflesso la suggestiva scia luminosa.
A questo si aggiungono delle zucche vuote illuminate internamente, delle vasche con oche vive, apparati di fiori con l’immagine della Madonna; al passaggio della statua della Vergine in processione, da terrazzi non visibili dalla strada, giungono dall’alto i canti-nenia di gruppi di donne.
Alla processione annuale prendono parte in costumi tipici, i cosiddetti “mesi dell’anno” con l’ausilio di animali da trasporto, componendo con più persone, le figurazioni che rappresentano lo scorrere dell’anno e le varie attività del mondo contadino.
In molte zone d’Italia, in omaggio alla Madonna della Neve, si usa mettere alle neonate i nomi di Bianca, Biancamaria, o più raro il nome Nives.
"Al Quiot i a 'na Frema qu'a pioura!" ("Al Chiotto c'è una Signora che
piange!") è questo l'eco che risuona nel paese di Valmala il giorno del 6
agosto 1834. La notizia giunge da un gruppo di pastorelli, che quella
mattina erano giunti a pascolare le vacche su un pianoro comunale
chiamato Chiotto, poco sopra il paese di Valmala.
Si tratterebbe di una figura femminile sui vent'anni, di altezza normale, dalla veste color rosso cupo, sormontata da un velo azzurro e con una corona sul capo; ha un atteggiamento addolorato, con le braccia aperte verso i pastori. I pastorelli sono quattro ragazzine, tutte di nome Maria, ed un ragazzino, fratello di una di queste: Maria Chiotti di Chiotmartin, 12 anni; Maria Boschero di Meira d'l Mes, 11 anni; Maria Pittavino di Palanché, 12 anni; Maria Margherita Pittavino - Guitin - 12 anni, col fratellino Chiaffredo - Chafré - di circa 9 anni, abitanti alla Palanché. Il fatto, raccontato subito a parenti e a conoscenti non viene creduto. Chi pensa alle masche (streghe), o ai sarvanòt (spiriti e folletti) o, ancora, a Sant'Anna o a qualche anima in pena. "Tutte storie!" "Non parliamone più" sono queste le frasi che si sentono dire i bambini.
Ma il mattino del 6 agosto, benché il cielo sia nuvoloso e minacci 'n bel slavàss (un bell'acquazzone), il primo gruppetto di estranei sale con i pastori al Chiotto, per indagare. Tra questi c'è pure un certo Bartolomeo Chiotti - Toumlin - gobbo, quasi piegato, aiutato dal figlio Ambrogio. E' salito con la segreta speranza di essere guarito, se mai ci lì ci fosse stato qualcuno in grado di farlo. Porta con sé una candela e pensa "Chissà se potrò tenerla accesa, con questo tempaccio." e promette di far erigere un pilone in caso di guarigione. Una volta giunti al pianoro, ecco tornare la bela Frema (la bella Signora), piangente come sempre. La natura circostante, rabbuiata, pare risentire ed appesantire quel suo dolore. Di riflesso i pastori si mettono ad urlare, tanto che Papà Pittavino, che abita alla Palanché, sente le loro grida e decide di raggiungere subito il Chiotto. Prende con sé la bertuna, una vecchia spada ricurva e corre verso le voci.
Giunto al pianoro, e, dopo aver constatato con sua meraviglia che non vi è nessuno, grida: "Perché avete urlato così?" I ragazzini gli additano in risposta il lastrone su cui appare la figura, dicendogli: "Garda ilai, sus la peira!"("Guarda là, su quella pietra!") Papà Pittavino non vede nulla. nota solamente che tutti tremano, come presi da una gran febbre. Colpisce allora ripetutamente con la bertuna la pietra, senza tuttavia veder nulla. A questo punto una veggente, per convincerlo meglio, afferra con la mano un lembo del manto della Signora. A questo punto papà Pittavino esclama: "Inginocchiamoci!" E così, sull'erba umida della notte che il sole quel giorno non ha asciugato, il primo drappello di estranei prega.
Giuseppe Pittavino promette, anche lui, la costruzione di un pilone. A lui fa eco Toumlin, il gobbo: "Verrò anch'io ad aiutarti. se guarisco!" mentre dice queste parole nota che la candela che aveva acceso non si spegne, nonostante il forte vento. Dopo un po' la visione scompare. Tutti si alzano rasserenati: è passata la paura, è tornata anche la salute per Toumlin. Da quel giorno i pastorelli tornano al Chiotto con minor timore, anzi, con piacere. E lassù, puntualmente, ritorna ogni giorno la bella Signora. Ma eccoci al 15 agosto, festa dell'Assunta. La gente, che è sempre più convinta che l'apparizione possa essere vera, sale numerosa con i veggenti. Giuseppe Pittavino non porta più con se la bertuna, ma una candela benedetta. I pastori, che sono giunti in precedenza sulla montagna, si fanno incontro ai nuovi venuti e quasi subito esclamano: "Eccola di nuovo!" Tutti si inginocchiano sull'erba del pianoro. Papà PIttavino dà inizio al rosario. E' questo il primo di una serie interminabile. Terminata la recita, chiede ai veggenti se la vedono ancora. Essi rispondono di si. Intanto, nel silenzio della montagna, risuona ai veggenti un canto melodioso ma triste, che essi dicono somigliante al triste salmodiare della messa da morto. Pittavino insiste: "Non vedete chi canta e chi suona?" Ed essi: "Non sappiamo." Poi, aggiungono di scorgere come delle ombre passare davanti al sole, che splende in tutto il suo fulgore nel bel cielo di Valmala.
Ma poi, a poco a poco, tutto scompare. I veggenti esclamano: "Se n'è andata la bella Signora!" I presenti, più che mai convinti, tra un commento e l'altro scendono al paese, dopo aver così trascorso la giornata più memorabile del Chiotto. Dopo l'apparizione della festa dell'Assunta, crescono la fede e l'entusiasmo nel popolo valmalese, mentre la notizia corre ai paesi vicini. I veggenti riferiscono ogni sera che la bela Frema continua a tornare, come al solito. Un giorno, in particolare, dicono che essa ha compiuto un giro sul pianoro, ed aggiungono: "Touchava pa 'l sol" ("Non toccava il suolo"). L'erba si rifletteva al suo passaggio, senza venir calpestata, e, per di più, diventava candida come na téla bianca (una tela bianca), stesa al sole ad asciugare. Alcuni valmalesi si chiedono il significato di quella scia luminosa. Un giorno la Signora sembra volerne dare la spiegazione. Dice a Maria Pittavino: "Stasera, dirai a tuo padre che desidero qui un pilone, ed in seguito una chiesa". A sera, Maria riferisce al babbo il desiderio della Signora. Ma egli esclama: "Couma fasén a fé na guiéisa amoun?" ("Come possiamo costruire lassù una chiesa?"). Mancavano infatti, la sabbia e le pietre adatte.
La ragazza, il giorno seguente, riporta le parole del babbo alla Signora. Questa risponde indicando in alto sulla montagna un punto, in cui sporgono alcuni spuntoni di roccia: lì troveranno i lastroni di ardesia e le pietre necessarie alla costruzione. Indica anche, più vicino, il luogo per la sabbia. Dopo la rivelazione delle intenzioni divine, sembra ora tutto più chiaro: quel sentiero luminoso sull'erba altro non sarebbe che il tracciato del nuovo santuario e quello del porticato annesso, sotto il quale i pellegrini si porteranno in preghiera, a fare le novene, sui passi della Donna che piange. Secondo le fonti più attendibili, le apparizioni continuano fino a quando dura la pastura al Chiotto, cioè fin verso il 20 settembre. La gente, però, si chiede ansiosa: "Ma, in fondo, chi era mai quella Signora che piangeva sempre?"
Anche per rispondere a questo interrogativo, papà Giuseppe prende con sé i pastorelli e li conduce a visitare piloni e chiesette dei dintorni, per scoprirvi dipinta qualche immagine somigliante a quella apparsa al Chiotto, ma inutilmente. Finalmente, un lunedì di ottobre, Giuseppe, sceso al mercato di Venasca, vi scorge una bancarella di oggetti sacri. Ritorna a Valmala e conduce con sé a Venasca alcnievee nella speranza che su quel banchetto vi sia la soluzione all'enigma del Chiotto. A Venasca, infatti, in un'immagine della Madre della Misericordia di Savona, riprodotta su un quadretto, viene identificata dalle veggenti la figura misteriosa apparsa loro per circa due mesi. Papà Pittavino compra allora il quadro.
Il 2 novembre, a Valmala, in occasione della visita al cimitero, i veggenti si ritrovano tutti con Papà Pittavino e possono così comprovare unanimemente che quella è veramente la Frema apparsa loro al Chiotto nell'estate precedente. L'anno successivo Giuseppe Pittavino, aiutato anche da Toumlin, costruisce il primo pilone sul luogo, e vi fa dipingere da Giuseppe Gauteri di Saluzzo, l'immagine trovata a Venasca. Fa scrivere sull'architrave: "Grandissimo miracolo di vedere Maria Santissima della Misericordia in questo luogo durante giorni cinquanta".
Il 1835 è pure l'anno del colera. Il comune, da parte sua, fa voto di erigervi una cappella, se il paese sarà esente dal contagio che infesta i paesi vicini. Ne viene preservato. Così sorge, nel 1840, la prima cappella, che verrà ingrandita successivamente fino alle proporzioni dell'attuale santuario, ultimato nel 1851. L'autorità religiosa, dapprima contraria, va via via tacitamente approvando la devozione alla Madre della Misericordia di Valmala. In seguito, con particolare solennità, ricorderà il cinquantenario (1884), il centenario (1934) ed infine il centocinquantenario (1984) delle apparizioni.
Tutti i protagonisti delle vicende del Chiotto, per un misterioso disegno della Provvidenza, lasceranno il paese nativo. Andranno nei vari paesi della zona, prenderanno moglie e marito ed avranno numerosa famiglia. La loro vita trascorrerà nella fatica di tutti i giorni, lontani dalla folla sempre crescente diretta al Chiotto. I figli di Maria Pittavino saranno invece i massari del santuario per molti anni. La veggente di cui rimarrano più documenti è invece Maria Chiotti, che morirà nel 1899.
Desejo a todos os meus leitores
UM BOM ANO DE 2016
Nº 2837 - (218 - 2016)
5 DE AGOSTO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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DEDICAÇÃO DA BASÍLICA DE
SANTA MARIA MAIOR
Dedicação da Basílica de SANTA MARIA MAIOR em Roma, no monte Esquilino, que o papa Sisto III ofereceu ao povo de Deus em memória do Concílio de Éfeso, no qual a Virgem Maria foi proclamada Mãe de Deus. (434)
MÉMIO de Chalons-sur-Marne, Santo
Em Chalons-sur-Marne, na Gália Bélgica, hoje França, São MÉMIO venerado como primeiro bispo desta cidade. (séc. III)
PÁRIS de Teano, Santo
Em Teano, na Campânia, Itália, São PÁRIS bispo que é considerado o primeiro a ocupar esta sede episcopal. (séc. IV)
CASSIANO de Autun, Santo
Em Autun, na Gália Lionense, hoje na França, São CASSIANO bispo. (séc. IV)
NONA de Nazianzo, Santa
Em Nazianzo, na Capadócia, hoje Nenizi, na Turquia, Santa NONA, que foi esposa do bispo São GREGÓRIO O VELHO e mãe dos santos GREGÓRIO O TEÓLOGO, CESÁRIO e GORGÓNIA. (374)
EMÍDIO DE ÁSCOLI, Santo
Em Áscoli - Piceno hoje nas Marcas, Itália, Santo EMÍDIO celebrado como o primeiro bispo desta cidade e mártir. (séc. IV)
VENÂNCIO de Viviers, Santo
Em Viviers, na Gália hoje França, São VENÂNCIO bispo. (535)
VIADOR de Tremblevif, Santo
Em Tremblevif, hoje Saint-Viâtre, Sologne, na Gália hoje França, São VIADOR eremita. (séc. VI)
OSVALDO de Maserfield, Santo
Em Maserfield, hoje Osvestry em sua honra, na região de Shrewsbury, Inglaterra, Santo OSVALDO mártir que, sendo rei de Nórtúmbria e insigne militar, mas sobretudo amigo da paz, difundiu incansavelmente a fé cristã neste território e, no combate contra os pagãos, foi morto em ódio a Cristo. (642)
FRANCISCO ZANFREDÍNI, Beato
Em Montegranaro, no Piceno, hoje nas Marcas, Itália, o beato FRANCISCO ZANFREDÍNI, popularmente chamado «Cecco de Pêsaro» da Ordem Terceira de São Francisco que, doando todos os seus haveres aos proibires, viveu durante quase 50 anos numa ermida, por ele edificada e foi para todos um exemplo de penitências, oração e boas obras. (1350)
MARGARIDA DE SANSEVERINO,Santa
Em San Severino, no Piceno, Santa MARGARIDA viúva. (1395)
PEDRO MIGUEL NOEL, Beato
Num barco ancorado ao largo de Rochefort, França, o Beato PEDRO MIGUEL NOEL presbitero de Ruão e mártir, que durante a revolução francesa foi aprisionado na galera em condições desumanas por causa do seu sacerdócio e contaminado por uma enfermidade, consumou o martírio. (1794)
EDMUNDO ÂNGELO (Pedro Masò Llagostera), Beato
Em Más Llanes na Catalunha, Espanha, o beato EDMUNDO ÂNGELO (Pedro Masó Llagostera) religioso da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs e mártir. (1936)
MAXIMINO FERNÁNDEZ MARINAS,
VÍTOR GARCÍA CEBALLOS, MANUEL MORENO MARTINEZ e EDUARDO GONZÁLEZ SANTO DOMINGO, Beatos
Em Madrid, Espanha, os beatos mártires MAXIMINO FERNÁNDEZ MARINAS, VÍTOR GARCÍA CEBALLOS e MANUEL MORENO MARTINEZ presbiteros e EDUARDO GONZÁLEZ SANTO DOMINGO religioso todos da Ordem dos Pregadores e mártires. (1936)
GAVINO OLAZO ZABALA e companheiros EMÍLIO CAMINO NOVAL, ANASTÁSIO DIEZ GARCÍA, ÂNGELO PÉREZ SANTOS, CIPRIANO POLO GARCÍA, FILIPE BARBA CHAMORRO, VÍTOR GAITERO GONZÁLEZ, presbiteros; e LUCIANO RAMOS VILLAFRUELA, LUÍS BLANCO ÁLVAREZ e UBALDO REVILLA RODRÍGUEZ religiosos, Beatos
Em Fuente La Higuera, na Catalunha, Espanha, os beatos GAVINO OLAZO ZABALA e companheiros EMÍLIO CAMINO NOVAL, ANASTÁSIO DIEZ
GARCÍA, ÂNGELO PÉREZ SANTOS, CIPRIANO POLO GARCÍA, FILIPE BARBA
CHAMORRO, VÍTOR GAITERO GONZÁLEZ, presbiteros da Ordem de Santo
Agostinho; e LUCIANO RAMOS VILLAFRUELA, LUÍS BLANCO ÁLVAREZ e UBALDO
REVILLA RODRÍGUEZ, mártires. (1936)
ARNALDO PONS, Beato
... E AINDA ...
ARNALDO PONS, Beato
Passando nell'anno 1382, come redentore in Almeria
(Spagna), il Beato Arnaldo Pons, liberò 48 prigionieri. Inviato nel
1386 in redenzione a Tunisi in Africa, più volte rimase in ostaggio
sopportando molte pene per il Signore e dopo aver superato un'infinità
di ostacoli creati dallla malvagità dei mori, liberò molti schiavi.
Tornato nel suo convento dei mercedari di Santa Maria dei Miracoli a
Montflorite in Aragona, morì in pace qualche anno più tardi con le mani
cariche di santi meriti.
L'Ordine lo festeggia il 5 agosto
L'Ordine lo festeggia il 5 agosto
CORRADO DE LAODICEIA, Beato
Vescovo di Laodicea in Siria, il Beato Corrado dell'Ordine della Mercede, fu zelante pastore che condusse molte anime a Dio. Famoso per la santità, le virtù e miracoli si addormentò lietemente nella pace del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 5 agosto
Vescovo di Laodicea in Siria, il Beato Corrado dell'Ordine della Mercede, fu zelante pastore che condusse molte anime a Dio. Famoso per la santità, le virtù e miracoli si addormentò lietemente nella pace del Signore.
L'Ordine lo festeggia il 5 agosto
MADONA DELLA NEVE
La Vergine Maria, oggetto di iperdulia, è stata invocata in tutti i secoli cristiani, con tante denominazioni legate alle sue virtù, al suo ruolo di corredentrice del genere umano e come Madre di Gesù il Salvatore; inoltre alle sue innumerevoli apparizioni, per i prodigi che si sono avverati con le sue immagini, per il culto locale tributatole in tante comunità.
E per ogni denominazione ella è stata raffigurata con opere d’arte dei più grandi come dei più umili artisti, inoltre con il sorgere di tantissime chiese, santuari, basiliche, cappelle, ecc. a lei dedicate, si può senz’altro dire, che non c’è nel mondo cristiano un paese, una città, un villaggio, che non abbia un tempio o una cappella dedicata a Maria, nelle sue innumerevoli denominazioni.
Il titolo di Madonna della Neve, contrariamente a titoli più recenti come Madonna degli abissi marini, Madonna delle cime dei monti, Madonna delle grotte, ecc. quello di Madonna della Neve affonda le sue origini nei primi secoli della Chiesa ed è strettamente legato al sorgere della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma.
Nel IV secolo, sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), un nobile e ricco patrizio romano di nome Giovanni, insieme alla sua altrettanto ricca e nobile moglie, non avendo figli decisero di offrire i loro beni alla Santa Vergine, per la costruzione di una chiesa a lei dedicata.
La Madonna gradì il loro desiderio e apparve in sogno ai coniugi la notte fra il 4 e il 5 agosto, tempo di gran caldo a Roma, indicando con un miracolo il luogo dove doveva sorgere la chiesa.
Infatti la mattina dopo, i coniugi romani si recarono da papa Liberio a raccontare il sogno fatto da entrambi, anche il papa aveva fatto lo stesso sogno e quindi si recò sul luogo indicato, il colle Esquilino e lo trovò coperto di neve, in piena estate romana.
Il pontefice tracciò il perimetro della nuova chiesa, seguendo la superficie del terreno innevato e fece costruire il tempio a spese dei nobili coniugi.
Questa la tradizione, anche se essa non è comprovata da nessun documento; la chiesa fu detta ‘Liberiana’ dal nome del pontefice, ma dal popolo fu chiamata anche “ad Nives”, della Neve.
L’antica chiesa fu poi abbattuta al tempo di Sisto III (432-440) il quale in ricordo del Concilio di Efeso (431) dove si era solennemente decretata la Maternità Divina di Maria, volle edificare a Roma una basilica più grande in onore della Vergine, utilizzando anche il materiale di recupero della precedente chiesa.
In quel periodo a Roma nessuna chiesa o basilica raggiungeva la sontuosità del nuovo tempio, né l’imponenza e maestosità; qualche decennio dopo, le fu dato il titolo di Basilica di S. Maria Maggiore, per indicare la sua preminenza su tutte le chiese dedicate alla Madonna.
Nei secoli successivi la basilica ebbe vari interventi di restauro strutturali e artistici, fino a giungere, dal 1750 nelle forme architettoniche che oggi ammiriamo.
Dal 1568 la denominazione ufficiale della festa liturgica della Madonna della Neve, è stata modificata nel termine “Dedicazione di Santa Maria Maggiore” con celebrazione rimasta al 5 agosto; il miracolo della neve in agosto non è più citato in quanto leggendario e non comprovato.
Ma il culto per la Madonna della Neve, andò comunque sempre più affermandosi, tanto è vero che tra i secoli XV e XVIII ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l’instaurarsi di tante celebrazioni locali, che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città.
A Roma il 5 agosto, nella patriarcale Basilica di S. Maria Maggiore, il miracolo veniva ricordato, non so se ancora oggi si fa, con una pioggia di petali di rose bianche, cadenti dall’interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica.
Il culto come si è detto, ebbe grande diffusione e ancora oggi in Italia si contano ben 152 fra chiese, santuari, basiliche minori, cappelle, parrocchie, confraternite, intitolate alla Madonna della Neve.
Ogni regione ne possiede un buon numero, per lo più concentrate in zone dove la neve non manca, fra le regioni primeggiano il Piemonte con 31, la Lombardia con 19, la Campania con 17. Non conoscendo usi, costumi e tradizioni dei tanti paesi italiani che portano viva devozione alla Madonna della Neve, mi soffermo solo a segnalare tre località dalla mia provincia di Napoli, il cui culto e celebrazione è molto solenne, coinvolgendo la comunità dei fedeli anche in grandi manifestazioni esterne e folcloristiche.
Basilica parrocchia di S. Maria della Neve, patrona del quartiere orientale di Napoli chiamato Ponticelli, la cui devozione iniziò con la bolla di papa Leone X del 22 maggio 1520.
L’antico santuario è stato proclamato Basilica Minore il 27 luglio 1988. Da più di cento anni la solenne processione esterna è effettuata con un alto carro (nel contesto della radicata tradizione napoletana delle macchine da festa), alla cui sommità è posta la statua della Madonna.
Basilica Santuario Maria SS. della Neve in Torre Annunziata (Napoli). L’immagine in terracotta bruna di tipo greco della veneratissima Madonna della Neve, è custodita nella omonima Basilica Minore; essa ha origine con il rinvenimento a mare, presso lo ‘scoglio di Rovigliano’, dell’immagine da parte di pescatori, tra il XIV e XV secolo; le fu dato il nome di Santa Maria ad Nives, perché il ritrovamento era avvenuto un 5 agosto.
La grande processione, che coinvolge tutta la popolosa città, inizia dal porto, dopo che la sacra immagine arriva dal mare con una barca, simulando l’originario rinvenimento.
I torresi, noti nel mondo per la lavorazione della pasta e per il lavoro degli uomini nell’ambito marinaro, sono devotissimi della Madonna, che li liberò da una delle violente eruzioni del Vesuvio, alle cui falde è adagiata Torre Annunziata, il 22 ottobre 1822.
Collegiata di S. Maria Maggiore o della Neve di Somma Vesuviana (Napoli). La Collegiata fu istituita con il titolo di S. Maria Maggiore verso l’anno 1600, al posto di precedenti denominazioni della chiesa, risalenti al Medioevo.
Nella stessa Collegiata è attiva la Confraternita della Madonna della Neve, con confratelli e consorelle, lo Statuto è del 1° settembre 1762; ai confratelli spetta il compito di portare in processione la statua della Madonna.
Nel contesto delle manifestazioni esterne, c’è la “festa delle lucerne”, che si svolge ogni quattro anni nei giorni 3-4-5 agosto; le strade dell’antico borgo medioevale Casamale vengono invase da tanti telai di forme geometriche varie, su ciascuno dei quali sono poggiate circa 50 lucerne, così da dare l’impressione di un fiume sfavillante che percorre il borgo.
Ad accrescere l’effetto visivo, in fondo alla serie di figure geometriche, si colloca un grande specchio, che prolunga con il suo riflesso la suggestiva scia luminosa.
A questo si aggiungono delle zucche vuote illuminate internamente, delle vasche con oche vive, apparati di fiori con l’immagine della Madonna; al passaggio della statua della Vergine in processione, da terrazzi non visibili dalla strada, giungono dall’alto i canti-nenia di gruppi di donne.
Alla processione annuale prendono parte in costumi tipici, i cosiddetti “mesi dell’anno” con l’ausilio di animali da trasporto, componendo con più persone, le figurazioni che rappresentano lo scorrere dell’anno e le varie attività del mondo contadino.
In molte zone d’Italia, in omaggio alla Madonna della Neve, si usa mettere alle neonate i nomi di Bianca, Biancamaria, o più raro il nome Nives.
MARIA SANTÍSSIMA MÃE DA MISERICÓRDIA
Si tratterebbe di una figura femminile sui vent'anni, di altezza normale, dalla veste color rosso cupo, sormontata da un velo azzurro e con una corona sul capo; ha un atteggiamento addolorato, con le braccia aperte verso i pastori. I pastorelli sono quattro ragazzine, tutte di nome Maria, ed un ragazzino, fratello di una di queste: Maria Chiotti di Chiotmartin, 12 anni; Maria Boschero di Meira d'l Mes, 11 anni; Maria Pittavino di Palanché, 12 anni; Maria Margherita Pittavino - Guitin - 12 anni, col fratellino Chiaffredo - Chafré - di circa 9 anni, abitanti alla Palanché. Il fatto, raccontato subito a parenti e a conoscenti non viene creduto. Chi pensa alle masche (streghe), o ai sarvanòt (spiriti e folletti) o, ancora, a Sant'Anna o a qualche anima in pena. "Tutte storie!" "Non parliamone più" sono queste le frasi che si sentono dire i bambini.
Ma il mattino del 6 agosto, benché il cielo sia nuvoloso e minacci 'n bel slavàss (un bell'acquazzone), il primo gruppetto di estranei sale con i pastori al Chiotto, per indagare. Tra questi c'è pure un certo Bartolomeo Chiotti - Toumlin - gobbo, quasi piegato, aiutato dal figlio Ambrogio. E' salito con la segreta speranza di essere guarito, se mai ci lì ci fosse stato qualcuno in grado di farlo. Porta con sé una candela e pensa "Chissà se potrò tenerla accesa, con questo tempaccio." e promette di far erigere un pilone in caso di guarigione. Una volta giunti al pianoro, ecco tornare la bela Frema (la bella Signora), piangente come sempre. La natura circostante, rabbuiata, pare risentire ed appesantire quel suo dolore. Di riflesso i pastori si mettono ad urlare, tanto che Papà Pittavino, che abita alla Palanché, sente le loro grida e decide di raggiungere subito il Chiotto. Prende con sé la bertuna, una vecchia spada ricurva e corre verso le voci.
Giunto al pianoro, e, dopo aver constatato con sua meraviglia che non vi è nessuno, grida: "Perché avete urlato così?" I ragazzini gli additano in risposta il lastrone su cui appare la figura, dicendogli: "Garda ilai, sus la peira!"("Guarda là, su quella pietra!") Papà Pittavino non vede nulla. nota solamente che tutti tremano, come presi da una gran febbre. Colpisce allora ripetutamente con la bertuna la pietra, senza tuttavia veder nulla. A questo punto una veggente, per convincerlo meglio, afferra con la mano un lembo del manto della Signora. A questo punto papà Pittavino esclama: "Inginocchiamoci!" E così, sull'erba umida della notte che il sole quel giorno non ha asciugato, il primo drappello di estranei prega.
Giuseppe Pittavino promette, anche lui, la costruzione di un pilone. A lui fa eco Toumlin, il gobbo: "Verrò anch'io ad aiutarti. se guarisco!" mentre dice queste parole nota che la candela che aveva acceso non si spegne, nonostante il forte vento. Dopo un po' la visione scompare. Tutti si alzano rasserenati: è passata la paura, è tornata anche la salute per Toumlin. Da quel giorno i pastorelli tornano al Chiotto con minor timore, anzi, con piacere. E lassù, puntualmente, ritorna ogni giorno la bella Signora. Ma eccoci al 15 agosto, festa dell'Assunta. La gente, che è sempre più convinta che l'apparizione possa essere vera, sale numerosa con i veggenti. Giuseppe Pittavino non porta più con se la bertuna, ma una candela benedetta. I pastori, che sono giunti in precedenza sulla montagna, si fanno incontro ai nuovi venuti e quasi subito esclamano: "Eccola di nuovo!" Tutti si inginocchiano sull'erba del pianoro. Papà PIttavino dà inizio al rosario. E' questo il primo di una serie interminabile. Terminata la recita, chiede ai veggenti se la vedono ancora. Essi rispondono di si. Intanto, nel silenzio della montagna, risuona ai veggenti un canto melodioso ma triste, che essi dicono somigliante al triste salmodiare della messa da morto. Pittavino insiste: "Non vedete chi canta e chi suona?" Ed essi: "Non sappiamo." Poi, aggiungono di scorgere come delle ombre passare davanti al sole, che splende in tutto il suo fulgore nel bel cielo di Valmala.
Ma poi, a poco a poco, tutto scompare. I veggenti esclamano: "Se n'è andata la bella Signora!" I presenti, più che mai convinti, tra un commento e l'altro scendono al paese, dopo aver così trascorso la giornata più memorabile del Chiotto. Dopo l'apparizione della festa dell'Assunta, crescono la fede e l'entusiasmo nel popolo valmalese, mentre la notizia corre ai paesi vicini. I veggenti riferiscono ogni sera che la bela Frema continua a tornare, come al solito. Un giorno, in particolare, dicono che essa ha compiuto un giro sul pianoro, ed aggiungono: "Touchava pa 'l sol" ("Non toccava il suolo"). L'erba si rifletteva al suo passaggio, senza venir calpestata, e, per di più, diventava candida come na téla bianca (una tela bianca), stesa al sole ad asciugare. Alcuni valmalesi si chiedono il significato di quella scia luminosa. Un giorno la Signora sembra volerne dare la spiegazione. Dice a Maria Pittavino: "Stasera, dirai a tuo padre che desidero qui un pilone, ed in seguito una chiesa". A sera, Maria riferisce al babbo il desiderio della Signora. Ma egli esclama: "Couma fasén a fé na guiéisa amoun?" ("Come possiamo costruire lassù una chiesa?"). Mancavano infatti, la sabbia e le pietre adatte.
La ragazza, il giorno seguente, riporta le parole del babbo alla Signora. Questa risponde indicando in alto sulla montagna un punto, in cui sporgono alcuni spuntoni di roccia: lì troveranno i lastroni di ardesia e le pietre necessarie alla costruzione. Indica anche, più vicino, il luogo per la sabbia. Dopo la rivelazione delle intenzioni divine, sembra ora tutto più chiaro: quel sentiero luminoso sull'erba altro non sarebbe che il tracciato del nuovo santuario e quello del porticato annesso, sotto il quale i pellegrini si porteranno in preghiera, a fare le novene, sui passi della Donna che piange. Secondo le fonti più attendibili, le apparizioni continuano fino a quando dura la pastura al Chiotto, cioè fin verso il 20 settembre. La gente, però, si chiede ansiosa: "Ma, in fondo, chi era mai quella Signora che piangeva sempre?"
Anche per rispondere a questo interrogativo, papà Giuseppe prende con sé i pastorelli e li conduce a visitare piloni e chiesette dei dintorni, per scoprirvi dipinta qualche immagine somigliante a quella apparsa al Chiotto, ma inutilmente. Finalmente, un lunedì di ottobre, Giuseppe, sceso al mercato di Venasca, vi scorge una bancarella di oggetti sacri. Ritorna a Valmala e conduce con sé a Venasca alcnievee nella speranza che su quel banchetto vi sia la soluzione all'enigma del Chiotto. A Venasca, infatti, in un'immagine della Madre della Misericordia di Savona, riprodotta su un quadretto, viene identificata dalle veggenti la figura misteriosa apparsa loro per circa due mesi. Papà Pittavino compra allora il quadro.
Il 2 novembre, a Valmala, in occasione della visita al cimitero, i veggenti si ritrovano tutti con Papà Pittavino e possono così comprovare unanimemente che quella è veramente la Frema apparsa loro al Chiotto nell'estate precedente. L'anno successivo Giuseppe Pittavino, aiutato anche da Toumlin, costruisce il primo pilone sul luogo, e vi fa dipingere da Giuseppe Gauteri di Saluzzo, l'immagine trovata a Venasca. Fa scrivere sull'architrave: "Grandissimo miracolo di vedere Maria Santissima della Misericordia in questo luogo durante giorni cinquanta".
Il 1835 è pure l'anno del colera. Il comune, da parte sua, fa voto di erigervi una cappella, se il paese sarà esente dal contagio che infesta i paesi vicini. Ne viene preservato. Così sorge, nel 1840, la prima cappella, che verrà ingrandita successivamente fino alle proporzioni dell'attuale santuario, ultimato nel 1851. L'autorità religiosa, dapprima contraria, va via via tacitamente approvando la devozione alla Madre della Misericordia di Valmala. In seguito, con particolare solennità, ricorderà il cinquantenario (1884), il centenario (1934) ed infine il centocinquantenario (1984) delle apparizioni.
Tutti i protagonisti delle vicende del Chiotto, per un misterioso disegno della Provvidenza, lasceranno il paese nativo. Andranno nei vari paesi della zona, prenderanno moglie e marito ed avranno numerosa famiglia. La loro vita trascorrerà nella fatica di tutti i giorni, lontani dalla folla sempre crescente diretta al Chiotto. I figli di Maria Pittavino saranno invece i massari del santuario per molti anni. La veggente di cui rimarrano più documenti è invece Maria Chiotti, che morirà nel 1899.
SALVIO HUIX MIRALPEIX, Beato
Durante la guerra civile spagnola parecchi membri della Congregazione
dell’Oratorio di san Filippo Neri diedero la vita per testimoniare la
loro fede in Dio. Fra loro, per l’Oratorio di Barcelona-Gracia, i padri
Pedro Garet Vilar del Bosch, Candido Vila Maneja, Aleix Soler Llobera,
Joaquim Serra Auferil e Martì Subirà Arumi. La congregazione di
Barcelona-Barrio gotico perse il suo preposito, p. Agustì Mas Folch,
oltre al padre Josep Serra Altarriba e ai confratelli laici Emili Prat
Miquel e Joaquim Bellera Morera, tutti coraggiosi testimoni del vangelo.
La congregazione di Vic, alla quale apparteneva il vescovo Salvio Huix,
perse, oltre a lui, anche il padre Ramòn Felius.
Fra le vittime dell’ondata di violenza che investì la Spagna dopo lo scoppio della guerra civile nel luglio 1936 c’è anche il vescovo oratoriano Salvio Huix Miralpeix di Lérida (oggi Lleida). Era nato il 22 dicembre 1877 a Santa Maria Margarita di Vellors nella diocesi di Vic, in Catalogna, circa settanta chilometri a nord di Barcellona. I suoi genitori provenivano da stimate famiglie locali con una lunga tradizione di fede, che già in precedenza avevano dato alla Chiesa dei sacerdoti. Salvio crebbe in un’atmosfera domestica nella quale la fede in Dio e l’amore verso la Chiesa ed il papa rappresentavano una forma mentis naturale e spontanea. La sua famiglia era proprietaria di un’ampia tenuta agricola, una masia catalana, a cui apparteneva anche una cappella dedicata alla Madonna del Carmine. Nutrito da questo spirito di religiosità, ben presto Salvio maturò la decisione di farsi sacerdote. Seguirono quattordici anni di studi (1889-1903) nel seminario minore e maggiore di Vic, dove Huix si esercitò ancor giovanissimo ad una vita di preghiera, di ascolto della volontà di Dio, di obbedienza incondizionata, di studi e di apostolato. Il seminarista Salvio era un allievo modello, che non solo si sforzava di compiere formalmente il suo dovere di studente, ma soprattutto cercava di maturare interiormente, per prepararsi al meglio al servizio verso le anime.
Salvio Huix aveva quasi 26 anni quando, il 19 settembre 1903, il vescovo Torrás y Bages lo ordinò sacerdote. Nei primi tempi, il suo vescovo lo assegnò come cappellano a diverse parrocchie della diocesi, dove Salvio si prodigò nell’annunciare alla gente il Cristo crocifisso e risorto e nel ricondurre gli uomini, per mezzo dei sacramenti della Chiesa, ad una sempre più profonda relazione con Cristo.
A quei tempi la Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri di Vic, fondata nel 1723 e ancor oggi esistente, era un noto centro di spiritualità, la cui opera di apostolato possedeva un raggio di azione che andava ben oltre la città di Vic. La Congregazione dell’Oratorio, comunità di sacerdoti secolari senza particolari voti, è una società di vita apostolica di diritto pontificio, che si propone di servire la vita apostolica della Chiesa unendo azione e contemplazione. Padre Adjutorio, uno zio di Salvio, era stato membro di questa Congregazione dell’Oratorio, e il popolo dei fedeli di Vic conservava ancora di lui una buona memoria. Un po’ per volta, in Huix maturò la decisione di voler lavorare per Cristo “fino alla morte”. La vita nell’Oratorio gli appariva come il presupposto ideale per dedicarsi intensamente alla cura delle anime, e così all’età di trent’anni chiese di essere accolto nell’Oratorio di Vic. Dopo quattro anni di esperienze pastorali in diverse parrocchie, Salvio Huix entrò quindi a far parte della Congregazione dell’Oratorio di Vic, all’interno della quale avrebbe prestato la sua opera nei successivi venti anni. Fervido imitatore di san Filippo Neri, Salvio passava svariate ore al giorno a confessare. Ben presto il suo talento nella direzione delle anime fece di lui uno dei confessori e direttori spirituali più richiesti della città, ricercato soprattutto dai giovani e dagli uomini. Esercitava il suo servizio con pazienza, saggezza e spirito paterno. A quel tempo, gli oratoriani erano soliti alzarsi alle quattro e mezza del mattino (la domenica e i festivi alle quattro), e dopo un’ora di meditazione entrare nel confessionale per essere a disposizione dei fedeli. Confessavano fino all’ora di pranzo, senza interruzione tranne che per celebrare messa. Nel pomeriggio e di sera dedicavano un’altra ora alla meditazione, e poi confessavano ancora per svariate ore. Non contento, padre Salvio impiegava le poche ore libere che gli rimanevano per visitare gli ammalati, tenere lezioni nel seminario o sbrigare delle incombenze per conto della Congregazione dell’Oratorio. La sua massima era: Dormire poco, pregare molto e dedicarsi sempre al servizio verso le anime. A Vic era famoso per essere riuscito a ricondurre sulle vie della fede alcuni grandi peccatori; persone che avevano voltato le spalle alla Chiesa.
La sua fama di eccellente confessore e grande direttore spirituale dei giovani fece sì che nel 1919 p. Salvio venisse nominato direttore delle congregazioni mariane di Vic e due anni dopo direttore generale di tutta la Catalogna. Nel 1923 organizzò le celebrazioni per la pubblica incoronazione di una statua della Madonna nella piana di Vic. Negli stessi anni fondò anche la Congregazione della Purissima Vergine Maria e di San Giuseppe, per condurre i giovani padri di famiglia ad un più profondo amore verso Cristo e verso la Chiesa.
I talenti del giovane padre oratoriano non tardarono ad essere notati dal vescovo di Vic, che gli affidò la formazione spirituale dei seminaristi. Per venti anni, p. Salvio fu docente al seminario di Vic, dove insegnò ascetica e mistica. In questo modo contribuì a forgiare un’intera generazione di sacerdoti.
Era preposito dell’Oratorio di Vic, quando nel 1927 fu nominato amministratore apostolico di Ibiza. P. Huix lasciò Vic fra le lacrime dei suoi figli spirituali e fu ordinato vescovo il 15 aprile 1928. Scelse come suo motto le parole dell’apostolo Pietro: In verbo tuo laxabo rete – Sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5). Il suo motto di vescovo mostra chiaramente la priorità che egli si era dato per il suo operato: essere fra gli uomini un vero successore degli apostoli e un buon pastore della Chiesa. Al centro dei suoi sforzi c’erano il seminario, il clero, l’Azione Cattolica, l’organizzazione di esercizi spirituali, la devozione al Santissimo Sacramento e alla Vergine Maria. Per la sua grande devozione alla Madonna, Huix era chiamato “il vescovo mariano”. Per quanto concerne il clero, il vescovo Huix si sforzò di migliorare le condizioni materiali e spirituali dei suoi sacerdoti. Sempre e ovunque tentò di appassionare gli uomini a Cristo. Di ritorno da un viaggio ad limina apostolorum a Roma riportò per ognuno dei suoi sacerdoti una copia del nuovo catechismo del cardinale Pietro Gasparri. Al ritorno il vescovo scrisse una lettera, in cui esortava i suoi diocesani ad essere saldi nella fede: “Noi ci sentiamo … rinnovati e confermati nella fede, e fedelmente legati al Santo Padre per via di un amore filiale … pronti ad una fedeltà ancora maggiore, ad una fedeltà che si spinge fino alla morte, e se necessario, con l’aiuto della Grazia divina, fino al martirio” (Tibau Duran, N.: El Excmo. y Rvdm. P. Salvio Huix Miralpeix, C.O., Obispo de Lérida, Apuntes Biográficos, Lérida 1948, p. 115). Solo pochi anni più tardi avrebbe dimostrato concretamente la sua fedeltà a Cristo, il suo amore per Dio, che lo rendeva pronto anche al martirio.
Nel settembre 1923 il generale Miguel Primo de Rivera (1870-1930) prese il potere in Spagna – con l’esplicito beneplacito del monarca re Alfonso XIII. Ma la dittatura fallì, e dopo la vittoria dei repubblicani, Alfonso XIII rinunciò al trono. Il 14 aprile 1931 si formò un governo repubblicano provvisorio. I rapporti fra la chiesa cattolica ed il governo repubblicano si presentarono da subito difficili. L’11 maggio 1931 furono dati alle fiamme alcuni conventi a Madrid, Valencia, Siviglia ed altre località del paese, ed il conflitto fra la chiesa ed il nuovo regime si acuì. Alcuni vescovi “scomodi” vennero esiliati, la nuova costituzione limitò grandemente i diritti della Chiesa, alcuni ordini religiosi, fra cui i gesuiti, vennero proibiti, i cimiteri vennero secolarizzati, fu introdotto il divorzio ed i crocifissi appesi nelle aule scolastiche vennero rimossi. Aumentarono le proteste da parte di esponenti della Chiesa per questo regime di persecuzioni.
Il 28 gennaio 1935 Salvio Huix Miralpeix fu nominato vescovo della diocesi di Lérida (Catalogna). Durante il breve periodo di tempo che gli fu concesso di passare lì, il nuovo vescovo cercò di rafforzare l’Azione Cattolica e di diffondere la devozione al Santissimo Sacramento. A poche settimane dallo scoppio della guerra civile riuscì ancora a celebrare delle giornate eucaristiche, per rafforzare nella sua diocesi la fede nella reale presenza di Gesù Cristo nel sacramento dell’altare. Una delle sue ultime fotografie lo mostra in compagnia degli alunni nel giardino del seminario.
Le elezioni di febbraio 1936 videro vincitore il fronte popolare (partito di sinistra), che passò ad un attacco che aveva ormai le forme di un’autentica persecuzione religiosa. Nel giro di sole sei settimane si verificarono 199 rapine ed aggressioni, di cui 36 all’interno di chiese; si contarono 178 incendi, 106 dei quali colpirono delle chiese; altre 56 chiese vennero devastate e saccheggiate. Il 18 luglio 1936 l’esercito ed i nazionalisti si unirono per combattere questa “rivoluzione marxista”, dando così inizio alla guerra civile spagnola (1936-1939). La maggioranza dei vescovi, sacerdoti e credenti in genere si schierò dalla parte dei nazionalisti. Per tutta risposta, il giorno dopo l’insurrezione dei militari si scatenò, in tutte le parti del paese controllate dalle forze repubblicane, una cruenta rappresaglia contro i sacerdoti. Il conflitto costò alla chiesa di Spagna un forte tributo di sangue.
Il 16 luglio 1936 il vescovo mariano Huix celebra la festa della Madonna del Carmine nella chiesetta della sua tenuta di famiglia. Fino al 21 luglio, quando i repubblicani prendono d’assalto la curia di Lérida, riesce ancora a continuare la sua opera apostolica per la diocesi. Poi acconsente, seppure a malincuore, a fuggire per rifugiarsi presso dei conoscenti, principalmente per salvare i suoi collaboratori. Quando però viene a sapere a quali rischi si espongono i suoi protettori, abbandona segretamente il suo nascondiglio nella notte del 23 luglio e si costituisce alle guardie, dichiarando la sua identità. Imprigionato insieme ad altri arrestati, condivide con loro le sofferenze della prigione e le segrete gioie della preghiera e dei sacramenti, confessa di nascosto i condannati a morte e porta loro la comunione. Tutti questi uomini moriranno poi sotto il piombo dei plotoni di esecuzione. A causa della loro fede e del loro impegno, non meno di 4184 fra sacerdoti e seminaristi, 2365 frati e 283 suore furono assassinati, dopo essere stati braccati come animali. Nella sola diocesi di Lérida furono uccisi 270 sacerdoti, su un totale di 410.
La mattina del 5 agosto 1936, festa della Madonna della Neve, patrona di Ibiza, i prigionieri furono svegliati alle tre e mezza del mattino. Gli fu detto che sarebbero stati portati a Barcellona, ma già dopo pochi chilometri il convoglio si fermò al cimitero, e fu chiaro che erano stati portati lì per essere fucilati. Nelle prime luci dell’alba il vescovo impartì l’assoluzione a tutti e chiese ai suoi carnefici di essere ucciso per ultimo, per poter benedire fino alla fine i suoi compagni di martirio. Quest’ultimo desiderio gli fu concesso, come ha poi testimoniato uno dei suoi aguzzini. Fino alla morte dunque il vescovo di Lérida rimase un autentico pastore del suo gregge. Così si compì quello che anni prima aveva scritto ai suoi diocesani: Con l’aiuto della Grazia divina, vogliamo restare fedeli a Cristo fino al martirio. Prima del suo arresto aveva consegnato la sua croce di vescovo ad un conoscente, pregandolo di spedirla al Santo Padre, assicurandogli la sua fedeltà alla Chiesa, per la quale si sentiva disposto a dare la vita.
Già pochi anni dopo la morte violenta del vescovo Huix, la diocesi di Lérida si fece promotrice di un processo di beatificazione. Il 27 giugno 1952 fu rilasciato il decreto super scriptis. Il 9 giugno 1995 la Congregazione per le Cause dei Santi confermò la validità dell’inchiesta informativa. Finalmente, nel 1998 poté essere promulgata la Positio sulle virtù del vescovo martire. Il 27 giugno 2011 papa Benedetto XVI autorizzò la Congregazione per le Cause dei Santi a riconoscere per decreto il martirio del vescovo Salvio Huix Miralpeix. Come si legge nel decreto, il vescovo fu assassinato “in odio alla fede”. Antonio Montero Moreno, storico della Chiesa, stima che il numero complessivo delle vittime delle persecuzioni anticlericali del 1934 e del 1936-1939 fu di circa settemila. Di questi, circa un migliaio sono già stati beatificati. La beatificazione del vescovo oratoriano e di altri 521 martiri ha avuto luogo il 13 ottobre 2013 a Tarragona in Catalogna. La forte personalità di Huix è ancora oggi un esempio attuale e luminoso di impegno sacerdotale ed episcopale vissuto come testimonianza e rinuncia completa a se stessi nella fiducia in Dio.
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato C.O. e Padre Paul Bernhard Wodrazka C.O.
Fra le vittime dell’ondata di violenza che investì la Spagna dopo lo scoppio della guerra civile nel luglio 1936 c’è anche il vescovo oratoriano Salvio Huix Miralpeix di Lérida (oggi Lleida). Era nato il 22 dicembre 1877 a Santa Maria Margarita di Vellors nella diocesi di Vic, in Catalogna, circa settanta chilometri a nord di Barcellona. I suoi genitori provenivano da stimate famiglie locali con una lunga tradizione di fede, che già in precedenza avevano dato alla Chiesa dei sacerdoti. Salvio crebbe in un’atmosfera domestica nella quale la fede in Dio e l’amore verso la Chiesa ed il papa rappresentavano una forma mentis naturale e spontanea. La sua famiglia era proprietaria di un’ampia tenuta agricola, una masia catalana, a cui apparteneva anche una cappella dedicata alla Madonna del Carmine. Nutrito da questo spirito di religiosità, ben presto Salvio maturò la decisione di farsi sacerdote. Seguirono quattordici anni di studi (1889-1903) nel seminario minore e maggiore di Vic, dove Huix si esercitò ancor giovanissimo ad una vita di preghiera, di ascolto della volontà di Dio, di obbedienza incondizionata, di studi e di apostolato. Il seminarista Salvio era un allievo modello, che non solo si sforzava di compiere formalmente il suo dovere di studente, ma soprattutto cercava di maturare interiormente, per prepararsi al meglio al servizio verso le anime.
Salvio Huix aveva quasi 26 anni quando, il 19 settembre 1903, il vescovo Torrás y Bages lo ordinò sacerdote. Nei primi tempi, il suo vescovo lo assegnò come cappellano a diverse parrocchie della diocesi, dove Salvio si prodigò nell’annunciare alla gente il Cristo crocifisso e risorto e nel ricondurre gli uomini, per mezzo dei sacramenti della Chiesa, ad una sempre più profonda relazione con Cristo.
A quei tempi la Congregazione dell’Oratorio di san Filippo Neri di Vic, fondata nel 1723 e ancor oggi esistente, era un noto centro di spiritualità, la cui opera di apostolato possedeva un raggio di azione che andava ben oltre la città di Vic. La Congregazione dell’Oratorio, comunità di sacerdoti secolari senza particolari voti, è una società di vita apostolica di diritto pontificio, che si propone di servire la vita apostolica della Chiesa unendo azione e contemplazione. Padre Adjutorio, uno zio di Salvio, era stato membro di questa Congregazione dell’Oratorio, e il popolo dei fedeli di Vic conservava ancora di lui una buona memoria. Un po’ per volta, in Huix maturò la decisione di voler lavorare per Cristo “fino alla morte”. La vita nell’Oratorio gli appariva come il presupposto ideale per dedicarsi intensamente alla cura delle anime, e così all’età di trent’anni chiese di essere accolto nell’Oratorio di Vic. Dopo quattro anni di esperienze pastorali in diverse parrocchie, Salvio Huix entrò quindi a far parte della Congregazione dell’Oratorio di Vic, all’interno della quale avrebbe prestato la sua opera nei successivi venti anni. Fervido imitatore di san Filippo Neri, Salvio passava svariate ore al giorno a confessare. Ben presto il suo talento nella direzione delle anime fece di lui uno dei confessori e direttori spirituali più richiesti della città, ricercato soprattutto dai giovani e dagli uomini. Esercitava il suo servizio con pazienza, saggezza e spirito paterno. A quel tempo, gli oratoriani erano soliti alzarsi alle quattro e mezza del mattino (la domenica e i festivi alle quattro), e dopo un’ora di meditazione entrare nel confessionale per essere a disposizione dei fedeli. Confessavano fino all’ora di pranzo, senza interruzione tranne che per celebrare messa. Nel pomeriggio e di sera dedicavano un’altra ora alla meditazione, e poi confessavano ancora per svariate ore. Non contento, padre Salvio impiegava le poche ore libere che gli rimanevano per visitare gli ammalati, tenere lezioni nel seminario o sbrigare delle incombenze per conto della Congregazione dell’Oratorio. La sua massima era: Dormire poco, pregare molto e dedicarsi sempre al servizio verso le anime. A Vic era famoso per essere riuscito a ricondurre sulle vie della fede alcuni grandi peccatori; persone che avevano voltato le spalle alla Chiesa.
La sua fama di eccellente confessore e grande direttore spirituale dei giovani fece sì che nel 1919 p. Salvio venisse nominato direttore delle congregazioni mariane di Vic e due anni dopo direttore generale di tutta la Catalogna. Nel 1923 organizzò le celebrazioni per la pubblica incoronazione di una statua della Madonna nella piana di Vic. Negli stessi anni fondò anche la Congregazione della Purissima Vergine Maria e di San Giuseppe, per condurre i giovani padri di famiglia ad un più profondo amore verso Cristo e verso la Chiesa.
I talenti del giovane padre oratoriano non tardarono ad essere notati dal vescovo di Vic, che gli affidò la formazione spirituale dei seminaristi. Per venti anni, p. Salvio fu docente al seminario di Vic, dove insegnò ascetica e mistica. In questo modo contribuì a forgiare un’intera generazione di sacerdoti.
Era preposito dell’Oratorio di Vic, quando nel 1927 fu nominato amministratore apostolico di Ibiza. P. Huix lasciò Vic fra le lacrime dei suoi figli spirituali e fu ordinato vescovo il 15 aprile 1928. Scelse come suo motto le parole dell’apostolo Pietro: In verbo tuo laxabo rete – Sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5). Il suo motto di vescovo mostra chiaramente la priorità che egli si era dato per il suo operato: essere fra gli uomini un vero successore degli apostoli e un buon pastore della Chiesa. Al centro dei suoi sforzi c’erano il seminario, il clero, l’Azione Cattolica, l’organizzazione di esercizi spirituali, la devozione al Santissimo Sacramento e alla Vergine Maria. Per la sua grande devozione alla Madonna, Huix era chiamato “il vescovo mariano”. Per quanto concerne il clero, il vescovo Huix si sforzò di migliorare le condizioni materiali e spirituali dei suoi sacerdoti. Sempre e ovunque tentò di appassionare gli uomini a Cristo. Di ritorno da un viaggio ad limina apostolorum a Roma riportò per ognuno dei suoi sacerdoti una copia del nuovo catechismo del cardinale Pietro Gasparri. Al ritorno il vescovo scrisse una lettera, in cui esortava i suoi diocesani ad essere saldi nella fede: “Noi ci sentiamo … rinnovati e confermati nella fede, e fedelmente legati al Santo Padre per via di un amore filiale … pronti ad una fedeltà ancora maggiore, ad una fedeltà che si spinge fino alla morte, e se necessario, con l’aiuto della Grazia divina, fino al martirio” (Tibau Duran, N.: El Excmo. y Rvdm. P. Salvio Huix Miralpeix, C.O., Obispo de Lérida, Apuntes Biográficos, Lérida 1948, p. 115). Solo pochi anni più tardi avrebbe dimostrato concretamente la sua fedeltà a Cristo, il suo amore per Dio, che lo rendeva pronto anche al martirio.
Nel settembre 1923 il generale Miguel Primo de Rivera (1870-1930) prese il potere in Spagna – con l’esplicito beneplacito del monarca re Alfonso XIII. Ma la dittatura fallì, e dopo la vittoria dei repubblicani, Alfonso XIII rinunciò al trono. Il 14 aprile 1931 si formò un governo repubblicano provvisorio. I rapporti fra la chiesa cattolica ed il governo repubblicano si presentarono da subito difficili. L’11 maggio 1931 furono dati alle fiamme alcuni conventi a Madrid, Valencia, Siviglia ed altre località del paese, ed il conflitto fra la chiesa ed il nuovo regime si acuì. Alcuni vescovi “scomodi” vennero esiliati, la nuova costituzione limitò grandemente i diritti della Chiesa, alcuni ordini religiosi, fra cui i gesuiti, vennero proibiti, i cimiteri vennero secolarizzati, fu introdotto il divorzio ed i crocifissi appesi nelle aule scolastiche vennero rimossi. Aumentarono le proteste da parte di esponenti della Chiesa per questo regime di persecuzioni.
Il 28 gennaio 1935 Salvio Huix Miralpeix fu nominato vescovo della diocesi di Lérida (Catalogna). Durante il breve periodo di tempo che gli fu concesso di passare lì, il nuovo vescovo cercò di rafforzare l’Azione Cattolica e di diffondere la devozione al Santissimo Sacramento. A poche settimane dallo scoppio della guerra civile riuscì ancora a celebrare delle giornate eucaristiche, per rafforzare nella sua diocesi la fede nella reale presenza di Gesù Cristo nel sacramento dell’altare. Una delle sue ultime fotografie lo mostra in compagnia degli alunni nel giardino del seminario.
Le elezioni di febbraio 1936 videro vincitore il fronte popolare (partito di sinistra), che passò ad un attacco che aveva ormai le forme di un’autentica persecuzione religiosa. Nel giro di sole sei settimane si verificarono 199 rapine ed aggressioni, di cui 36 all’interno di chiese; si contarono 178 incendi, 106 dei quali colpirono delle chiese; altre 56 chiese vennero devastate e saccheggiate. Il 18 luglio 1936 l’esercito ed i nazionalisti si unirono per combattere questa “rivoluzione marxista”, dando così inizio alla guerra civile spagnola (1936-1939). La maggioranza dei vescovi, sacerdoti e credenti in genere si schierò dalla parte dei nazionalisti. Per tutta risposta, il giorno dopo l’insurrezione dei militari si scatenò, in tutte le parti del paese controllate dalle forze repubblicane, una cruenta rappresaglia contro i sacerdoti. Il conflitto costò alla chiesa di Spagna un forte tributo di sangue.
Il 16 luglio 1936 il vescovo mariano Huix celebra la festa della Madonna del Carmine nella chiesetta della sua tenuta di famiglia. Fino al 21 luglio, quando i repubblicani prendono d’assalto la curia di Lérida, riesce ancora a continuare la sua opera apostolica per la diocesi. Poi acconsente, seppure a malincuore, a fuggire per rifugiarsi presso dei conoscenti, principalmente per salvare i suoi collaboratori. Quando però viene a sapere a quali rischi si espongono i suoi protettori, abbandona segretamente il suo nascondiglio nella notte del 23 luglio e si costituisce alle guardie, dichiarando la sua identità. Imprigionato insieme ad altri arrestati, condivide con loro le sofferenze della prigione e le segrete gioie della preghiera e dei sacramenti, confessa di nascosto i condannati a morte e porta loro la comunione. Tutti questi uomini moriranno poi sotto il piombo dei plotoni di esecuzione. A causa della loro fede e del loro impegno, non meno di 4184 fra sacerdoti e seminaristi, 2365 frati e 283 suore furono assassinati, dopo essere stati braccati come animali. Nella sola diocesi di Lérida furono uccisi 270 sacerdoti, su un totale di 410.
La mattina del 5 agosto 1936, festa della Madonna della Neve, patrona di Ibiza, i prigionieri furono svegliati alle tre e mezza del mattino. Gli fu detto che sarebbero stati portati a Barcellona, ma già dopo pochi chilometri il convoglio si fermò al cimitero, e fu chiaro che erano stati portati lì per essere fucilati. Nelle prime luci dell’alba il vescovo impartì l’assoluzione a tutti e chiese ai suoi carnefici di essere ucciso per ultimo, per poter benedire fino alla fine i suoi compagni di martirio. Quest’ultimo desiderio gli fu concesso, come ha poi testimoniato uno dei suoi aguzzini. Fino alla morte dunque il vescovo di Lérida rimase un autentico pastore del suo gregge. Così si compì quello che anni prima aveva scritto ai suoi diocesani: Con l’aiuto della Grazia divina, vogliamo restare fedeli a Cristo fino al martirio. Prima del suo arresto aveva consegnato la sua croce di vescovo ad un conoscente, pregandolo di spedirla al Santo Padre, assicurandogli la sua fedeltà alla Chiesa, per la quale si sentiva disposto a dare la vita.
Già pochi anni dopo la morte violenta del vescovo Huix, la diocesi di Lérida si fece promotrice di un processo di beatificazione. Il 27 giugno 1952 fu rilasciato il decreto super scriptis. Il 9 giugno 1995 la Congregazione per le Cause dei Santi confermò la validità dell’inchiesta informativa. Finalmente, nel 1998 poté essere promulgata la Positio sulle virtù del vescovo martire. Il 27 giugno 2011 papa Benedetto XVI autorizzò la Congregazione per le Cause dei Santi a riconoscere per decreto il martirio del vescovo Salvio Huix Miralpeix. Come si legge nel decreto, il vescovo fu assassinato “in odio alla fede”. Antonio Montero Moreno, storico della Chiesa, stima che il numero complessivo delle vittime delle persecuzioni anticlericali del 1934 e del 1936-1939 fu di circa settemila. Di questi, circa un migliaio sono già stati beatificati. La beatificazione del vescovo oratoriano e di altri 521 martiri ha avuto luogo il 13 ottobre 2013 a Tarragona in Catalogna. La forte personalità di Huix è ancora oggi un esempio attuale e luminoso di impegno sacerdotale ed episcopale vissuto come testimonianza e rinuncia completa a se stessi nella fiducia in Dio.
Autore: Mons. Edoardo Aldo Cerrato C.O. e Padre Paul Bernhard Wodrazka C.O.
VARDAN e companheiros, Santos
Vardan principe della famiglia Mamikonian era figlio di Hamazasp e di
Dustr, figlia di s. Isacco, katholikòs armeno. Fu educato dal suo santo
nonno nella pietà e nella fede cristiana, e specialmente nella
conoscenza della Sacra Scrittura, come testimonia lo storiografo Lazzaro
Parpeci. A sua volta, come padre di famiglia, educò cristianamente
l’unica sua figlia, Susanna, che divenne martire e santa. Non minore era
il suo coraggio e la bravura nell’arte militare; infatti combatté per
tutta la sua vita nell’esercito persiano sul fronte orientale, meritando
l’ammirazione dello stesso re persiano.
Però ciò che di Vardan fece il santo martire fu la sua morte sul campo di Avarair, ove insieme con i suoi compagni combatté e morì per difendere la fede cristiana e la libertà di conservarla in Armenia, contro i Persiani, che volevano costringere l’Armenia ad abbracciare la religione mazdeista. L’Armenia, divisa politicamente tra l’impero bizantino e quello persiano nel 387, era soggetta ad entrambi gli imperi. La maggior parte si trovava sotto il dominio persiano, benché fosse governata da principi armeni, possedendo pure un proprio esercito. Yazdgerd II (438-459) istigato dal suo primo ministro Mihrnarsch, ebbe l’idea di convertire gli Armeni, come pure gli Iberi o Georgiani, e gli Aluani, alla religione dello Stato, perché pensava di poterli rendere più soggetti e docili al suo regno. Con una lettera che arrivò in Armenia all’inizio dell’anno 449, egli invitava tutti i principi armeni ad accettare la religione zoroastriana. I capi delle famiglie nobili si radunarono, insieme ai vescovi e ad altri ecclesiastici, ad Artasat, antica capitale dell’Armenia per esaminare la proposta del re sassanide. Tutti furono unanimi nel rispondere negativamente alla proposta di Yazdgerd il quale, avutra la risposta, s’infuriò e diede ordine di chiamare tutti i principi armeni alla sua corte. Se ne radunarono una quindicina, tra i quali Vardan, e arrivati alla corte il 12 aprile dell’anno 450, il sabato santo, furono trattai da ribelli e non con il consueto protocollo. Il re ordinò a tutti di presentarsi il mattino seguente alla corte per adorare insieme con lui il sole. Vardan rispose di non poter accettare l’ordine del re poiché non poteva rinnegare la sua fede cristiana per rispetto umano, mentre gli altri chiesero di pensarci vper poter prendere una decisione in una questione così delicata. Ottenuto il permesso, i principi armeni si radunarono per consigliarsi. Alcuni proposero di cedere al re con un atto esterno, per poter ritornare in patria ed ivi organizzare la resistenza; poiché non accettando l’ordine reale, non sarebbero potuti tornare in Armenia, ed il popolo, rimasto senza capi, sarebbe stato in balìa dell’esercito persiano.
La proposta fu accettata da tutti eccetto da Vardan il quale era decisamente contrario a qualunque forma di rinnegamento della fede. Grande fu la pressione dei compagni per fargli accettare la loro proposta; citarono perfino le parole di s. Paolo che di Cristo disse: “Eum qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit” (II Cor. 5, 21) e aggiunsero: “Non sei migliore di Paolo, che voleva essere maledetto per salvare i suoi fratelli. Se per un momento accettassi di simulare esternamente l’atto di adorazione, potremmo ritornare in patria, ed ivi faremmo penitenza e difenderemmo il nostro popolo”.
Alla fine riuscirono a strappare il consenso di Vardan e si presentarono al re per adorare il sole. Grande fu la gioia del re e della corte persiana, che li colmò di doni e di onori. Però dovettero accettare la compagnia dei magi, che insieme a loro sarebbero dovuti andare in Armenia per installare i templi del culto del fuoco, ed istruire nella religione zoroastriana le famiglie dei magnati ed il popolo. La triste notizia del rinnegamento dei principi precedette il loro arrivo in Armenia: i familiari chiusero le porte delle case davanti ad essi, e non li accettarono senza che prima fossero andati a fare penitenza. Vardan radunò i suoi e spiegò il motivo per cui aveva ceduto alle insistenze dei compagni, decidendo quindi di abbandonare la propria casa, per andare in territorio bizantino e vivere lì in penitenza per tutta la vita. Ma quando la notizia della decisione di Vardan si divulgò, gli altri principi armeni si affrettarono a farlo desistere dal suo progetto; perché egli era il generale dell’esercito armeno, e senza la sua presenza sarebbe stato difficile riunire tutti e formare una resistenza contro i Persiani. Una delegazione di sacerdoti e di amici si recò presso Vardan per dissuaderlo e trattenerlo; egli allora accettò l’invito a condizione che tutti accettassero di combattere fino alla morte per difendere la libertà della religione cristiana e per la Chiesa. I principi radunatisiaccettarono la proposta di Vardan, promettendo con giuramento sopra il Vangelo di combattere finno alla morte per la difesa della fede cristiana.
Intanto era arrivato il capodanno del calendario armeno (il 6 agosto dell’anno 450), i magi, secondo quanto era stato stabilito, si accinsero ad entrare nella chiesa per deporvi il fuoco sacro; ma s. Leonzio, che era il preposito, si oppose con fermezza, ed il popolo, armatosi di bastoni, li cacciò con veemenza. L’esercito armeno sotto la guida di Vardan, che aveva l’ordine di difendere i magi, non si mosse, il capo di essi se ne lamentò presso il re. Yazdgerd capì che i principi lo avevano ingannato, ordinò allora al suo generale di occupare l’Armenia con la forza ed imporre la sua volontà. Intanto Vardan ed i suoi compagni si preparavano a difenderla e avevano mandato dei messaggeri all’imperatore Teodosio II, per chiedere aiuto. I messaggeri arrivarono quando questi era già morto (450) e il suo successore, Marciano, non accettò la proposta degli Armeni per non dare motivo ai Persiani di scatenare una guerra contro l’impero.
La notizia dell’arrivo di un esercito persiano di centoventimila uomini con numerosi elefanti, convinse Vardan a radunare i suoi; formò un esercito di sessantaseimila uomini, e si accampò ad Avarair, a Sud del monte Ararat. Era l’anno 451, il venerdì antecedente la Pentecoste. Il katholicos Giuseppe, e molti vescovi e sacerdoti erano nell’accampamento ad incoraggiare ed assistere i soldati. Tutta la notte fu una preparazione spirituale; i sacerdoti battezzarono i catecumeni, amministrarono il sacramento della penitenza, celebrarono la messa, e tutti si comunicarono, come il “giorno della Pasqua” dice lo storiografo Eliseo, uno dei presenti. Vardan tenne un discorso rammentando la loro promessa di combattere per difender ela fede di Cristo e di morire se necessario, per cancellare la macchia del rinnegamento. Tutti risposero a gran voce: “Che la nostra morte sia conforme alla morte dei giusti, e lo spargimento del nostro sangue a quello dei santi martiri. Ed Iddio si compiaccia del nostro volontario olocausto, e non lasci la sua Chiesa nelle mani dei pagani”. Con queste parole, riportate dal surricordato storiografo Eliseo, essi si disponevano al martirio. Poiché era evidente che in una battaglia con forze disuguali, la vittoria militare sarebbe stata dei più forti, la metà dell’esercito armeno con a capo una decina di principi, preferendo la gloria terrestre a quella del martirio disertò il campo. Quelli che rimasero fedeli a Vardan e caddero nella battaglia di Avarair, certamente si immolarono volontariamente per la difesa della fede in Cristo, che i Persiani volevano sopprimere con la forza militare. Era quindi fallace l’obiezione di alcuni teologi del sec. XVII, che osarono metter in dubbio il martirio di Vardan e dei suoi compagni, volendo togliere perfino dal calendario il loro nome. Mentre il sommo teologo, s. Tommaso, aveva già risolto quella stessa obiezione, dicendo: “Et ideo cum quis propter bonum commune, non relatum ad Cristum, mortem sustinet, aureolam non meretur. Sed si hoc referatur ad Cristum, aureolam merebitur et martyr erit; utpote si Rempublicam defendat ab hostium impugnatione, qui fidem Christi corrumpere moliuntur, et in tali defensione mortem sustinet”. La festa di questi martiri si celebrava in Armenia il 20 hrotis (= 5 agosto).
Però ciò che di Vardan fece il santo martire fu la sua morte sul campo di Avarair, ove insieme con i suoi compagni combatté e morì per difendere la fede cristiana e la libertà di conservarla in Armenia, contro i Persiani, che volevano costringere l’Armenia ad abbracciare la religione mazdeista. L’Armenia, divisa politicamente tra l’impero bizantino e quello persiano nel 387, era soggetta ad entrambi gli imperi. La maggior parte si trovava sotto il dominio persiano, benché fosse governata da principi armeni, possedendo pure un proprio esercito. Yazdgerd II (438-459) istigato dal suo primo ministro Mihrnarsch, ebbe l’idea di convertire gli Armeni, come pure gli Iberi o Georgiani, e gli Aluani, alla religione dello Stato, perché pensava di poterli rendere più soggetti e docili al suo regno. Con una lettera che arrivò in Armenia all’inizio dell’anno 449, egli invitava tutti i principi armeni ad accettare la religione zoroastriana. I capi delle famiglie nobili si radunarono, insieme ai vescovi e ad altri ecclesiastici, ad Artasat, antica capitale dell’Armenia per esaminare la proposta del re sassanide. Tutti furono unanimi nel rispondere negativamente alla proposta di Yazdgerd il quale, avutra la risposta, s’infuriò e diede ordine di chiamare tutti i principi armeni alla sua corte. Se ne radunarono una quindicina, tra i quali Vardan, e arrivati alla corte il 12 aprile dell’anno 450, il sabato santo, furono trattai da ribelli e non con il consueto protocollo. Il re ordinò a tutti di presentarsi il mattino seguente alla corte per adorare insieme con lui il sole. Vardan rispose di non poter accettare l’ordine del re poiché non poteva rinnegare la sua fede cristiana per rispetto umano, mentre gli altri chiesero di pensarci vper poter prendere una decisione in una questione così delicata. Ottenuto il permesso, i principi armeni si radunarono per consigliarsi. Alcuni proposero di cedere al re con un atto esterno, per poter ritornare in patria ed ivi organizzare la resistenza; poiché non accettando l’ordine reale, non sarebbero potuti tornare in Armenia, ed il popolo, rimasto senza capi, sarebbe stato in balìa dell’esercito persiano.
La proposta fu accettata da tutti eccetto da Vardan il quale era decisamente contrario a qualunque forma di rinnegamento della fede. Grande fu la pressione dei compagni per fargli accettare la loro proposta; citarono perfino le parole di s. Paolo che di Cristo disse: “Eum qui non noverat peccatum, pro nobis peccatum fecit” (II Cor. 5, 21) e aggiunsero: “Non sei migliore di Paolo, che voleva essere maledetto per salvare i suoi fratelli. Se per un momento accettassi di simulare esternamente l’atto di adorazione, potremmo ritornare in patria, ed ivi faremmo penitenza e difenderemmo il nostro popolo”.
Alla fine riuscirono a strappare il consenso di Vardan e si presentarono al re per adorare il sole. Grande fu la gioia del re e della corte persiana, che li colmò di doni e di onori. Però dovettero accettare la compagnia dei magi, che insieme a loro sarebbero dovuti andare in Armenia per installare i templi del culto del fuoco, ed istruire nella religione zoroastriana le famiglie dei magnati ed il popolo. La triste notizia del rinnegamento dei principi precedette il loro arrivo in Armenia: i familiari chiusero le porte delle case davanti ad essi, e non li accettarono senza che prima fossero andati a fare penitenza. Vardan radunò i suoi e spiegò il motivo per cui aveva ceduto alle insistenze dei compagni, decidendo quindi di abbandonare la propria casa, per andare in territorio bizantino e vivere lì in penitenza per tutta la vita. Ma quando la notizia della decisione di Vardan si divulgò, gli altri principi armeni si affrettarono a farlo desistere dal suo progetto; perché egli era il generale dell’esercito armeno, e senza la sua presenza sarebbe stato difficile riunire tutti e formare una resistenza contro i Persiani. Una delegazione di sacerdoti e di amici si recò presso Vardan per dissuaderlo e trattenerlo; egli allora accettò l’invito a condizione che tutti accettassero di combattere fino alla morte per difendere la libertà della religione cristiana e per la Chiesa. I principi radunatisiaccettarono la proposta di Vardan, promettendo con giuramento sopra il Vangelo di combattere finno alla morte per la difesa della fede cristiana.
Intanto era arrivato il capodanno del calendario armeno (il 6 agosto dell’anno 450), i magi, secondo quanto era stato stabilito, si accinsero ad entrare nella chiesa per deporvi il fuoco sacro; ma s. Leonzio, che era il preposito, si oppose con fermezza, ed il popolo, armatosi di bastoni, li cacciò con veemenza. L’esercito armeno sotto la guida di Vardan, che aveva l’ordine di difendere i magi, non si mosse, il capo di essi se ne lamentò presso il re. Yazdgerd capì che i principi lo avevano ingannato, ordinò allora al suo generale di occupare l’Armenia con la forza ed imporre la sua volontà. Intanto Vardan ed i suoi compagni si preparavano a difenderla e avevano mandato dei messaggeri all’imperatore Teodosio II, per chiedere aiuto. I messaggeri arrivarono quando questi era già morto (450) e il suo successore, Marciano, non accettò la proposta degli Armeni per non dare motivo ai Persiani di scatenare una guerra contro l’impero.
La notizia dell’arrivo di un esercito persiano di centoventimila uomini con numerosi elefanti, convinse Vardan a radunare i suoi; formò un esercito di sessantaseimila uomini, e si accampò ad Avarair, a Sud del monte Ararat. Era l’anno 451, il venerdì antecedente la Pentecoste. Il katholicos Giuseppe, e molti vescovi e sacerdoti erano nell’accampamento ad incoraggiare ed assistere i soldati. Tutta la notte fu una preparazione spirituale; i sacerdoti battezzarono i catecumeni, amministrarono il sacramento della penitenza, celebrarono la messa, e tutti si comunicarono, come il “giorno della Pasqua” dice lo storiografo Eliseo, uno dei presenti. Vardan tenne un discorso rammentando la loro promessa di combattere per difender ela fede di Cristo e di morire se necessario, per cancellare la macchia del rinnegamento. Tutti risposero a gran voce: “Che la nostra morte sia conforme alla morte dei giusti, e lo spargimento del nostro sangue a quello dei santi martiri. Ed Iddio si compiaccia del nostro volontario olocausto, e non lasci la sua Chiesa nelle mani dei pagani”. Con queste parole, riportate dal surricordato storiografo Eliseo, essi si disponevano al martirio. Poiché era evidente che in una battaglia con forze disuguali, la vittoria militare sarebbe stata dei più forti, la metà dell’esercito armeno con a capo una decina di principi, preferendo la gloria terrestre a quella del martirio disertò il campo. Quelli che rimasero fedeli a Vardan e caddero nella battaglia di Avarair, certamente si immolarono volontariamente per la difesa della fede in Cristo, che i Persiani volevano sopprimere con la forza militare. Era quindi fallace l’obiezione di alcuni teologi del sec. XVII, che osarono metter in dubbio il martirio di Vardan e dei suoi compagni, volendo togliere perfino dal calendario il loro nome. Mentre il sommo teologo, s. Tommaso, aveva già risolto quella stessa obiezione, dicendo: “Et ideo cum quis propter bonum commune, non relatum ad Cristum, mortem sustinet, aureolam non meretur. Sed si hoc referatur ad Cristum, aureolam merebitur et martyr erit; utpote si Rempublicam defendat ab hostium impugnatione, qui fidem Christi corrumpere moliuntur, et in tali defensione mortem sustinet”. La festa di questi martiri si celebrava in Armenia il 20 hrotis (= 5 agosto).
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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
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MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
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