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8º A N O
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JOSUÉ, Santo
Comemoração de São JOSUÉ filho de Nun, servo do Senhor, que, pela imposição das mãos de MOISÉS sobre ele, ficou cheio do espírito de sabedoria e, depois da morte de MOISÉS introduziu de modo maravilhoso o povo de Israel, atravessando o rio Jordão, na terra prometida.
Em Reims, na Gália Bélgica, hoje França, São SISTO que é considerado o primeiro bispo desta cidade. (séc. III)
PRISCO DE CÁPUA, Santo
Em Cápua junto à Via Aquária, na Campânia, Itália, São PRISCO mártir. (séc. IV)
TERENCIANO DE TÓDI, Santo
Em Tódi, na Úmbria, Itália, São TERENCIANO bispo. (séc. IV)
VICENTE DE DAX, Santo
Em Dax, na Aquitânia, hoje França, São VICENTE que é celebrado como bispo e mártir. (séc. IV)
VERENA DE ZURZACH, Santa
Em Zurzach, junto do rio Reno, no território de Zurique da Germânia, hoje na Suíça, Santa VERENA virgem. (séc. IV)
VITÓRIO DE LE MANS, Santo
Em Le Mans, na Gália Lionense, hoje França, São VITÓRIO recordado por São GREGÓRIO DE TOURS. (490)
Em Aquino. no Lácio, Itália, São CONSTÂNCIO bispo cujo dom de profecia é louvado pelo papa São GREGÓRIO MAGNO. (570)
GIL ou EGÍDIO DE NIMES, Santo
No território de Nimes, na Gália Narbonense, hoje França, São GIL ou EGÍDIO de quem tomou o nome a povoação que posteriormente se desenvolveu na região da Camargue, onde ele, segundo a tradição, construiu num mosteiro e terminou o curso da sua vida mortal. (séc. VI)
LOPO DE SENS, Santo
Em Sens, na Nêustria hoje França, São LOPO bispo que foi exilado por ter corajosamente afirmado perante um notável que o povo devia ser dirigido pelo sacerdote e obedecer mais a Deus do que aos príncipes. (623)
JULIANA DE COLLALTO, Beata
Em Veneza, Venéto, Itália, a Beata JULIANA DE COLLALTO abadessa da Ordem de São Bento. (1262)
JOANA DE FLORENÇA, Beata
Em Florença na Etrúria, hoje Toscana, Itália, a Beata JOANA virgem da Ordem Terceira das Servas de Maria, eminente pela sua oração e austeridade. (1367)
CRISTINO (Miguel Roca Huguet) e 11 companheiros PROCESSO (Joaquim Ruiz Cascales), EUTÍMIO (Nicolau Aramêndia Garcia), CANUTO (José Franco Gómez), DOSITEU (Guilherme Rúbio Alonso), CESÁRIO (Mariano Niño Pérez), BENJAMIM (Alexandre Cobos Celada), CARMELO (Isidro Gil Arano), COSME (Simeão Isidoro Joaquim Brun Arará), CECÍLIO (Henrique López López), RUFINO (Crescêncio Lasheras Aizcorbe) e FAUSTINO (António Villanueva Igual), religiosos, Beatos
Em Madrid, Espanha, os beatos CRISTINO (Miguel Roca Huguet) e 11 companheiros PROCESSO (Joaquim Ruiz Cascales), EUTÍMIO (Nicolau Aramêndia Garcia), CANUTO (José Franco Gómez), DOSITEU (Guilherme Rúbio Alonso), CESÁRIO (Mariano Niño Pérez), BENJAMIM (Alexandre Cobos Celada), CARMELO (Isidro Gil Arano), COSME (Simeão Isidoro Joaquim Brun Arará), CECÍLIO (Henrique López López), RUFINO (Crescêncio Lasheras Aizcorbe) e FAUSTINO (António Villanueva Igual), religiosos e mártires, todos da Ordem, de São João de Deus que, durante a guerra civil foram mortos em ódio à religião cristã. (1936)
AFONSO SEBASTIÃO VIÑALS, Beato
Em Paterna, Valência, Espanha, o beato AFONSO SEBASTIÃO VIÑALS presbítero e mártir que, era director espiritual da escola de Formação Social de Valência quando na mesma perseguição contra a fé, recebeu a coroa de glória. (1936)
PEDRO DE ALCÂNTARA (Cândido Rivera Rivera), MARIA DO CARMO MORENO BENITEZ e MARIA DO AMPARO CARBONELL MUÑOZ, Beatos
ADJUTORE, Santo
Adiutore, vescovo, santo, venerato in Campania. La più antica memoria di S. Adiutore si trova
in una lista del Martirologio Geronimiano, in varie date (2 giugno, 17-19 dic.) e nel calendario Marmoreo di Napoli (sec. IX), accoppiata a quella di S. Prisco al 1° settembre.
Il culto del santo è diffuso con maggiore larghezza nelle zone di Benevento, Capua, Caserta, Cava, Salerno. Quanto alla personalità di Adiutore, la leggenda riportata negli Acta Sanctorum al 1° settembre, lo fa compagno di quella schiera di 12 vescovi, che, nella persecuzione dei Vandali del V sec., scacciati dall’Africa, approdarono ai lidi della Campania, donde si sparsero nelle regioni vicine, per predicare il Vangelo. La leggenda è troppo tardiva e oggi non viene presa da alcuno in considerazione. In generale si ritiene che Adiutore, come i suoi compagni, appartengano alle stesse regioni in cui predicarono e nelle quali, in seguito, si diffuse il loro culto. Sebbene il Lanzoni, accennando in particolare a sant’Adiutore, ha affermato di non sapere chi fosse, questo culto non può in alcun modo mettersi in dubbio. S. Adiuore era venerato a Benevento, ma nessuno dei cronisti locali, come il Sarnelli (1691) ed il Borgia (1764), lo includono nella lista dei vescovi di quella diocesi. La festa di Adiutore era già celebrata in quella città il 19 XII, ma il card. Orsini, poi papa Benedetto XIII, la fissò per tutta la diocesi al 28 gennaio, dopo aver collocate le reliquie del santo sotto l’altare maggiore della cattedrale, il 10 XI 1687. Nel nuovo Proprio, pubblicato nel 1945, l’Ufficio del Santo è stato soppresso. Particolare culto Sant’Adiutore riceve in Cava dei Tirreni, dove anche oggi è venerato come patrono della città e della diocesi, come primo evangelizzatore e vescovo.
La festa liturgica è assegnata al 15 maggio. Qui il culto, contrariamente a quanto scrive il Mallardo, ha origini assai più remote che a Capua: un castrum sancti Adiutoris, tuttora esiste e che sarebbe stata la dimora del Santo in Cava, è documentato sin dal sec. IX; nel 1049, sotto il principe longobardo Gisulfo, venne donato a S. Alferio, fondatore e primo abate del monastero della Santissima Trinità di Cava; nel 1064 e nel 1096 vi sono chiese dedicate al santo, rispettivamente in Cava ed in Giffoni (Sa), e nel 1200, si ha notizia di un monte S. Adiutore in Eboli; in un calendario pergamenaceo del 1280 dei Benedettini di Cava la festa del santo è assegnata al 18 XII. Il prof. Adinolfi, nella sua Storia della Cava, aggiunge per Adiutore la qualifica di martire all’altra di vescovo, ma è una notizia isolata, che non trova nessuna conferma in nessun documento. Dalla più antica chiesa di Capua dedicata ad Adiutore si trova menzione in un documento del 1266
AREALDO DE BRÉSCIA, Santo
Secondo il Martirologio di Brescia, Arealdo e due suoi figli subirono il martirio al tempo dei Longobardi e precisamente durante l'anarchia succeduta nel 575 alla morte di Clefi. Nel 576 Alhisio, uno dei pretendenti al trono, iniziò una persecuzione contro i cristiani e in essa mori a Brescia A. assieme ai suoi figli Carillo e Oderico. Il Fayno (Martirologium sanctae Brixianae Ecclesiae, Brescia 1675) afferma di aver desunto queste notizie da una cronaca di Octavius Rossius: tuttavia, mancando qualsiasi indizio sull'esistenza di quest'opera, il racconto di Fayno è ben poco attendibile. Del resto il Ferrari stesso afferma di ignorare tempo e luogo del martirio di Arealdo. Secondo alcuni autori Arealdo sarebbe morto nel 134, ma probabilmente essi credettero di trovarsi di fronte a un compagno dei ss. Faustino e Giovita. Ferrari afferma che nel 1305 il vescovo di Cremona Gerardo Maggi, bresciano, curò la traslazione delle reliquie di Arealdo nella cattedrale della città. Ma nel catalogo dei vescovi di Cremona non si riscontra il nome del Maggi, né si può pensare che Gerardo Maggi, vescovo di Brescia dal 1275 al 1309, abbia retto momentaneamente anche la diocesi adiacente, perché in essa dal 1296 al 1312 o 1313 governò Raniero. D'altra parte la prima traslazione, secondo il Fayno, portò le reliquie di A. a Cremona in una chiesa dedicata al suo nome, poi nel 1484 il canonico Isacco Restalli le trasferì nella cattedrale, presso l'altare del S.mo Sacramento, e infine l'8 giugno 1614 le spoglie di Arealdo discesero nella cripta della cattedrale medesima.
La festa di Arealdo si celebra a Brescia e a Cremona il 1 settembre, mentre i suoi figli non godono di culto alcuno. La tradizione locale intorno ad Arealdo sembra essersi formata non prima del sec. XV, tuttavia Arealdo pare non aver nulla a che vedere con s. Arialdo di Milano.
AUGUSTO DE CASERTA, Santo
Augusto venne dall’Africa. Secondo la tradizione è uno dei dodici religiosi africani, che, a causa delle incursioni vandaliche di Genserico (che saccheggerà Roma del 455), dovettero lasciare la loro terra, caricati su un vecchio battello senza remi e senza vela, e che approdarono miracolosamente sulle coste della Campania.
Il Martirologio romano v.e., fissava al 1 settembre la festività di S. Augusto. In esso leggiamo: “s. Prisco vescovo, il quale fu uno di quei sacerdoti, che nella persecuzione vandalica, per la fede cattolica diversamente tormentati e posti su una vecchia nave, pervennero dall’Africa ai lidi della Campania, propagarono mirabilmente la religione cristiana. Furono anche suoi compagni Castrese, Tammaro, Rosio, Eraclio, Secondino, Adiutore, Marco, Augusto, Elpidio, Canione e Vindonio”.
Considerato primo vescovo dell’antica Galazia, città della Campania presso la via Appia, è venerato nella diocesi di Casa Hirta (Caserta) dopo che la sede vescovile fu spostata nella cittadella collinare a motivo della distruzione dell’antica città un secolo prima del mille dai saraceni.
Augusto morì probabilmente verso il 490, in età avanzata, e fu sepolto monastero di Santa Maddalena e san Marciano, nei pressi dell’attuale città di Maddaloni. Sebbene storici locali accennando in particolare a sant’Augusto, hanno affermato di non sapere realmente chi fosse, questo culto non può in alcun modo mettersi in dubbio.
Una pergamena longobarda del 1020 riporta l’esistenza di una chiesa dedicata a S.Augusto nel territorio dell’attuale città di San Prisco e nonostante la mancanza di un’ ufficiatura liturgica propria fino al 1897, non si può sradicare questa figura dalla storia religiosa e civile di Caserta.
Anche il Papa Giovanni Paolo II nella visita pastorale a Caserta del maggio 1992 ebbe ad affidare la Città alla protezione di S. Augusto, vescovo.
COLOMBA, Santa
Nel campo agiografico, scorrendo l’elenco dei santi medievali, colpisce la particolarità che intere famiglie sono considerate sante nei loro componenti, specie se nobili e regnanti, il fenomeno è più evidente nei Paesi Anglosassoni; ma anche in Italia ci furono vari casi, così come i conti di Pagliara presso Castelli in provincia di Teramo.
Il più celebre della famiglia fu s. Berardo vescovo di Teramo e patrono della città, poi vi è la sorella santa Colomba e i fratelli santi Nicola ed Egidio.
I Pagliara, avevano il titolo di conte, ereditato forse dagli antichi conti dei Marsi ed erano i signori della Valle Siliciana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso d’Italia.
Berardo già monaco benedettino e sacerdote a Montecassino, si ritirò poi nel celebre monastero di S. Giovanni in Venere in Abruzzo, da lì fu chiamato alla sede episcopale di Teramo.
Dei fratelli Nicola ed Egidio non si hanno notizie, solo che sono menzionati in una breve citazione insieme a santa Colomba, dagli studiosi agiografici detti ‘Bollandisti’, costituiti dal gesuita belga Jean Bolland (1596-1665) per compilare gli ‘Acta Sanctorum’.
Nella stessa citazione al 1° settembre è ricordata santa Colomba, giovane contessa di Pagliara che nacque nel 1100; si ritirò giovanissima a fare vita eremitica, sulle pendici del Monte Infornace (Gran Sasso d’Italia).
La grotta in cui visse e morì è posta a mezza costa sotto una rupe, sulla quale è scolpito un segno sporgente detto “pettine di s. Colomba”, a ricordo dell’uso fattone dalla giovane per ravvivare la sua lunga capigliatura; poco distante c’è l’impronta di una mano impressa nella roccia, a ricordo dell’appoggio fatto da s. Colomba, salendo lo scosceso monte.
I due ‘segni’ si collegano al culto delle pietre, ancora fiorente in Abruzzo, anche per la presenza di una buca miracolosa, esistente sotto l’altare della chiesetta a lei dedicata, fatta erigere dal vescovo Berardo suo fratello dopo la morte di Colomba, avvenuta nell’inverno 1116, quindi ad appena 16 anni; i devoti ritengono che introducendo il capo nella buca, possono essere risanati da alcune malattie.
La cappella fu benedetta nel 1216 da s. Attanasio, vescovo di Penne.
EGÍDIO e ARCANO, Santos
La tradizione indica con questi due nomi i pellegrini che, sul finire del X secolo, avrebbero costruito un primo oratorio dedicato al Santo Sepolcro di Cristo, attorno al quale sorsero successivamente un’abbazia benedettina (poi camaldolese) e il borgo che darà origine all’attuale città di Sansepolcro. Secondo le antiche cronache, la cui cronologia è stata in parte riordinata nei secoli XIX e XX, i due pellegrini sarebbe giunti nella zona di Sansepolcro, al tempo detta ‘Noceato’ o ‘Noceati’, fra 936 e 996. L’abbazia è documentata dal 1012. In passato l’intera città festeggiava le proprie origini il 1° settembre, giorno della dedicazione dell’abbazia (l’odierna cattedrale) dedicato a sant’Egidio. In questo giorno si tenevano una grande fiera e gare di tiro con la balestra, mentre i rappresentanti delle arti offrivano la cera all’abbazia e, dopo il 1520, alla cattedrale.
Non esiste un riconoscimento ecclesiastico ufficiale del loro culto, ma vengono citati nella bolla di erezione della diocesi di Sansepolcro nel 1520 (papa Leone X). Sono indicati come santi nella Bibliotheca Sanctorum (vol. II, coll. 374-375).
Attualmente sono ricordati il 1° settembre, giorno in cui si celebra la solennità della dedicazione della Basilica Cattedrale di Sansepolcro.
ELPÍDIO ou ARPINO de ATELLA, Santo
E’ celebrato il 1° settembre dal Martirologio Romano, il cui latercolo riepiloga una non antica leggenda secondo la quale Elpidio fu uno dei dodici vescovi o preti africani che, durante la persecuzione vandalica del V sec. o durante quella ariana del IV, dopo vari tormenti furono caricati su di una vecchia nave senza remi e senza vele perché morissero in mare. Ma la nave non affondò e, spinta da correnti favorevoli, raggiunse la Campania. Tale leggenda, come avevano già sospettato il Ruinart ed il Tillemont e come dimostra ampiamente il Lanzoni, è recente (sec. XII) e non merita alcuna fiducia: essa non fa che riprendere e rifare, ampliandoli, altri episodi del genere, come quello del vescovo di Cartagine Quodvultdens giunto coi suoi chierici a Napoli nel 439-440. Il Lanzoni vede in tutti i dodici nomi, vescovi o santi locali. Prima, infatti, che in tale leggenda, il nome di Elpidio appare in altre fonti ben più importanti.
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l'iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell'872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell'820 testimonia che già in quell'epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l'identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell'omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l'Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l'invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell'antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l'arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l'altare denominato "dei santi confessori". Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall'arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un'iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione. Anche nella lista episcopale di Reggio Emilia, si incontra un Elpidio, vescovo di Atella, che, distrutta la sua sede, cercò rifugio nientemeno che a Reggio Emilia, città di cui sarebbe stato vescovo dal 448 al 453; morto, sarebbe stato sepolto, non si comprende per quale motivo, a Salerno. Il Lanzoni, accennando a queste notizie, le ritiene, e non a torto, "un ammasso mostruoso di errori".
JOANA SODERINI DE FIRENZA, Beata
Giovanna nata a Firenze tra il XIII e XIV secolo dalla nobile famiglia Soderini, una delle principali della città, fu attratta insieme alla giovane Giuliana Falconieri dalla vita penitente ed evangelica dei Sette Mercanti, che lasciato ogni cosa si ritirarono prima alla periferia di Firenze ed in seguito sul Monte Senario per vivere al servizio della Vergine Santa.
Si consacra dodicenne alla Vergine Santa e rivestita dell’abito dei Servi di Maria, sui passi della Falconieri sua madre e maestra nella vita spirituale, si dedica tutta alla meditazione della Passione di Gesù e dei Dolori della Santa Madre.
Come la sua maestra anch’ella amante dell’Eucaristia, ogni giorno si ciba del Pane degli Angeli e diverse ore del giorno e della notte le trascorre dinanzi a Gesù Sacramentato.
Altre compagne la seguono, e di queste, dopo la morte di Santa Giuliana, diventa guida sicura e madre,alimentando sull’esempio della sua maestra e dei Sette Santi Padri quella lampada iniziale del movimento femminile servitano, che ben presto si sarebbe evoluto nel mondo intero. Fiduciosa di Dio solo alle tante difficoltà soleva affidarsi alla Divina Clemenza e diceva: "Nulla sono, nulla posso, Signore, Voi tutto operate in me, vostra povera serva".
Santamente, cibata della Divina Eucaristia, muore con serafico ardore il 1° settembre 1367.È ascritta da Papa Leone XII nell’albo dei Beati il 1° ottobre 1828.
PREGHIERA
O Dio che accordasti alla tua vergine Giovanna
di custodire l’innocenza con una vita di continua austerità,
concedi a noi, per sua intercessione,
di convertirci a te e servirti con animo puro.
JUSTINO DE PARIS, Santo
Nato a Parigi, San Giustino, insegnava all'Università della sua città, materie giuridiche in cui era versatissimo. Entrato poi nell'Ordine Mercedario ricevette l'abito nel convento di Valenza (Spagna) come cavaliere laico. In seguito venne inviato nella città di Granada in missione di redenzione, dove fortificò alcuni prigionieri che sotto le pressioni dei mori erano sul punto di rinnegare la loro fede. I mori infuriati del suo successo e sentendolo parlare con ardore sulle verità della religione cattolica mentre disprezzava la legge di Maometto, lo presero, gli spaccarono le mascelle ed infine lo appesero con una corda al collo ad un albero.Invocando il nome di Gesù spirò santamente raggiungendo la schiera dei martiri nell'anno 1337.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
LUGI CONCISO, Beato
Famoso dottore in Sacra Teologia, il Beato Luigi Conciso, scrisse molti libri importanti facendo onore all'Ordine Mercedario.Inviato in Missione di redenzione ad Algeri in Africa, liberò 88 cristiani dalle mani dei nemici della fede cattolica. Carico di buone opere morì nell'anno 1372.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
MADONNA DE MONTEVERGINE
A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.
Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo.
Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania.
Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli.
Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana.
Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia.
San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi.
Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza.
I re normanni ed angioini fecero a gara a dare all’abbazia, sorta vicino alla chiesetta, una autosufficienza economica, esentandola da tributi e donandole feudi e un castello per l’abate.
Sotto gli angioini (1266-1435) la chiesa di stile romanico fu trasformata notevolmente nelle strutture ed ampliata in stile gotico, con altare maggiore cosmatesco e a tre ordini di colonne.
La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia.
L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste. Il quadro sarebbe stato prima esposto a Gerusalemme, poi trasferito ad Antiochia, poi a Costantinopoli, infine a Napoli, qui finì nelle mani di Caterina II sposa di Filippo di Taranto, la quale lo fece completare, si dice, da Montano d’Arezzo e lo donò al Santuario di Montevergine.
Studi espletati nei secoli successivi, hanno escluso la pittura sia di s. Luca che di Montano d’Arezzo, attribuendo l’esecuzione dell’opera a Pietro Cavallino dei Cerroni, pittore di corte di Carlo II d’Angiò, che l’avrebbe dipinta fra il 1270 e il 1325, egli era portato per le opere di grandi dimensioni, infatti il quadro del santuario misura metri 4,60 x 2,10 e pesa otto quintali, con linee bizantineggianti e con intonazione personale proprio dello stile del Cavallino.
Al popolo non è mai interessato chi l’avesse dipinta, essa piacque subito e nella semplicità della fede che gli venne tributata, la chiamarono la “Madonna Bruna” o anche “Mamma Schiavona”, etimologia incerta ma di sicura presa.. C’è tutta una letteratura descrittiva dei pellegrinaggi a Montevergine, con quadri e disegni di illustri viaggiatori che ne descrivevano il folklore, specie per quelli provenienti da Napoli; su carretti addobbati con cavalli e i suoni e feste che accompagnavano il ritorno; fino agli anni ’60 del nostro secolo i carretti erano stati sostituiti da auto decappottabili, tutte addobbate, come i pellegrini compreso l’autista noleggiatore, vestivano abiti uguali e tutti dello stesso colore sgargiante degli addobbi dell’auto.
Oggi si sale con una comoda funicolare e con un agevole strada per auto e i bus; i pellegrini sono calcolati sul milione e mezzo ogni anno. Ma i pellegrinaggi veri e propri che si fanno da secoli, sono a piedi, salendo il monte anche di notte, molti a piedi nudi, per penitenza o per chiedere una grazia per sé o per i suoi cari.
Per secoli sotto l’altare maggiore del Santuario furono custodite le reliquie di s. Gennaro, finché vinte la resistenze dei monaci e dei fedeli locali, esse poterono essere trasferite nel duomo di Napoli.
Il Santuario ebbe ancora due rifacimenti, uno nel 1622 per ragioni statiche e di moda, con trasformazioni barocche e l’altro a partire dal 1948 fino al 1961, quando ci fu l’intera costruzione di un santuario più grande, inglobando però la precedente struttura.
L’enorme quadro della Madonna è posto sulla parete di fondo su un nuovo trono che prende tutta l’altezza della parete. Interessante la sala degli ex-voto, dove già dal 1599 erano raccolte le tabelle votive, scolpite o dipinte raffiguranti le grazie che si era ricevuto, quasi tutte in argento; testimonianza storica di una fede ormai millenaria nella Madre celeste.
Nella cripta vi sono in un’urna d’argento, i resti di s. Guglielmo di Vercelli fondatore, nelle due basiliche la vecchia e la nuova vi sono le tombe di vari principi, nobili, ecclesiastici, che nei secoli hanno voluto riposare accanto alla Madonna di Montevergine.
Ai piedi del monte vi è il palazzo abbaziale di Loreto del 1700, residenza d’inverno dell’abate e di quasi tutti i monaci, spostamento dovuto al clima molto rigido ed alla neve del periodo invernale. Nel palazzo è ospitata la farmacia con una importante raccolta di vasi e l’archivio con incunaboli e novecento pergamene, molte scritte da re e pontefici, alcune risalenti all’epoca di s. Guglielmo.
NIVARDO (Nivard ou Nivo) de Reims, Santo
Nato nei primi anni del sec. VII da una famiglia ricca e appartenente all'alta nobiltà merovingia, nella regione di Reims, Nivardo fu allevato alla corte ed entrò molto tardi tra il clero. Avendo ricevuto successivamente tutti gli ordini - cosa poco comune in quell'epoca - nel 657 egli succedette al vescovo di Reims, Landone.
La città di Reims era allora la capitale del re Clodoveo II. Rimasti estranei alle controversie politiche, Nivardo e la sua diocesi non ebbero a soffrire dei cambiamenti di dinastia, ma anzi beneficiarono sempre del favore dei potenti.
Dal canto suo, Nivardo dimostrò sempre una grande sollecitudine per i monaci. Cooperò con s. Bercario alla fondazione del monastero di Hautvilliers, la cui regola era una fusione di quella di s. Benedetto e di quella di s. Colombano. La scelta del luogo fece sorgere molte difficoltà, Nivardo però riuscì non solo a costruire l'abbazia, ma a riconciliare coloro che vi si opponevano. Alcuni di questi entrarono persino nel monastero la cui direzione era stata affidata a s. Bercario.
La benevolenza e l'aiuto finanziario di Nivardo si estesero anche ad altri celebri monasteri (Corbie, Soissons, Fontenelle, oggi Saint-Wandrille). Egli fu inoltre un mecenate per le chiese di Reims, specialmente S. Maria e S. Remigio, che dotò largamente. Avendo ottenuto per Hautvilliers un ptivilegio di immunità e per il vescovo di Reims la piena giurisdizione sull'abbazia, Nivardo la scelse come suo soggiorno preferito. Ivi morì il 1° settembre 673.
L'abbazia di Hautvilliers divenne, nel sec. IX, una celebre scuola di miniatura e uno dei suoi monaci, Pérignon, nel sec. XVIII mise a punto la "maniera di trattare i vini" inventando così lo champagne.
SIMONE PONCE, beato
Mercedario spagnolo, il Beato Simone Ponce, incominciò a farsi conoscere per i suoi meriti e virtù nel 1349 passando in redenzione nell'Andalusia. Liberò dalla prigione dei mussulmani 137 schiavi e dopo una vita piena di meriti e tante sofferenze subite da parte dei mori, concluse la sua vita terrena in pace in una serena vecchiaia nell'anno 1359.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
TANMARO, Santo
Un immigrato dal Nord Africa. Un profugo, arrivato via mare insieme con altri compagni nella regione dell’Agro campano detta Terra di Lavoro (e corrispondente a gran parte dell’attuale provincia di Caserta). Ma quando è arrivato? Un antico documento, la “Vita di san Castrense”, parla del Quinto secolo, dopo l’invasione del Nord Africa da parte dei Vandali di re Genserico (che saccheggerà anche Roma nel 455). Questi ordina una rigida separazione tra la nuova popolazione dei Vandali e i cittadini Romani assoggettati, ed espelle dall’Africa molti preti.
Tra essi, secondo il documento citato, ci sono anche Tammaro e dodici suoi compagni, che dopo aver subito minacce e tormenti vengono imbarcati su una nave e lasciati alla deriva. Giungono fortunosamente sulle coste campane. Di qui i compagni si divideranno, dedicandosi alla predicazione del Vangelo nel Sud dell’Italia. Tammaro ha lasciato ben poche notizie di sé. C’è persino chi lo dice allievo della scuola di sant’Agostino, ma anche qui mancano conferme e documenti certi.
Secondo lo storico capuano Michele Monaco, Tammaro si fa poi eremita nei dintorni di Capua (Caserta). Ma lo vengono a prendere anche nella sua solitudine, e lo acclamano vescovo di Benevento. Troviamo incertezze e difformità su questa nomina, ma è indiscussa la venerazione per Tammaro vescovo, documentata da antichi calendari e dalle molte chiese a lui dedicate in tutta la regione.
Tammaro è uno di quei santi che sembrano aver scelto una sorta di clandestinità, cancellando tracce, lasciando pochissime informazioni sul proprio conto; e tuttavia, misteriosamente, il loro ricordo percorre lo stesso i secoli e i millenni. (Si chiama tuttora Tammaro anche un comune in provincia di Benevento).
Ma un legame particolare ha unito poi il suo nome alla città di Grumo Nevano (Napoli), che oggi rappresenta un importante centro per l’industria dell’abbigliamento. Eredi della secolare devozione a questo santo, già nel XVII secolo gli abitanti di Grumo Nevano lo avevano proclamato loro patrono, portando da Benevento alcune sue reliquie e diffondendone il culto. Tammaro morì probabilmente verso il 490, in età avanzata, e fu sepolto nella sua cattedrale beneventana. Con i successivi rifacimenti del tempio, i suoi resti, con quelli di altri santi, furono collocati in un’arca marmorea. E in quella solida custodia sono rimasti indenni anche sotto il tremendo bombardamento che durante la seconda guerra mondiale distrusse la cattedrale. Una parte delle sue reliquie si trova ora custodita a Grumo, nella chiesa dedicata al santo, e recentemente innalzata alla dignità di basilica.
Nella festa in suo onore vengono esposte in un reliquiario che in un certo senso arriva anch’esso “da oltremare”, come san Tammaro e i suoi compagni, perché è stato donato dai numerosi cittadini di Grumo emigrati negli Stati Uniti.
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Desde o dia 1 de Janeiro que venho colocando aqui os meus Votos de um Bom Ano de 2016.
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
UM BOM resto do ANO DE 2016
Nº 2864 - (245 - 2016)
1 DE SETEMBRO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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JOSUÉ, Santo
Comemoração de São JOSUÉ filho de Nun, servo do Senhor, que, pela imposição das mãos de MOISÉS sobre ele, ficou cheio do espírito de sabedoria e, depois da morte de MOISÉS introduziu de modo maravilhoso o povo de Israel, atravessando o rio Jordão, na terra prometida.
SISTO DE REIMS, Santo
Em Reims, na Gália Bélgica, hoje França, São SISTO que é considerado o primeiro bispo desta cidade. (séc. III)
PRISCO DE CÁPUA, Santo
Em Cápua junto à Via Aquária, na Campânia, Itália, São PRISCO mártir. (séc. IV)
TERENCIANO DE TÓDI, Santo
Em Tódi, na Úmbria, Itália, São TERENCIANO bispo. (séc. IV)
VICENTE DE DAX, Santo
Em Dax, na Aquitânia, hoje França, São VICENTE que é celebrado como bispo e mártir. (séc. IV)
VERENA DE ZURZACH, Santa
Em Zurzach, junto do rio Reno, no território de Zurique da Germânia, hoje na Suíça, Santa VERENA virgem. (séc. IV)
VITÓRIO DE LE MANS, Santo
Em Le Mans, na Gália Lionense, hoje França, São VITÓRIO recordado por São GREGÓRIO DE TOURS. (490)
CONSTÂNCIO DE AQUINO, Santo
Em Aquino. no Lácio, Itália, São CONSTÂNCIO bispo cujo dom de profecia é louvado pelo papa São GREGÓRIO MAGNO. (570)
GIL ou EGÍDIO DE NIMES, Santo
No território de Nimes, na Gália Narbonense, hoje França, São GIL ou EGÍDIO de quem tomou o nome a povoação que posteriormente se desenvolveu na região da Camargue, onde ele, segundo a tradição, construiu num mosteiro e terminou o curso da sua vida mortal. (séc. VI)
LOPO DE SENS, Santo
Em Sens, na Nêustria hoje França, São LOPO bispo que foi exilado por ter corajosamente afirmado perante um notável que o povo devia ser dirigido pelo sacerdote e obedecer mais a Deus do que aos príncipes. (623)
JULIANA DE COLLALTO, Beata
Em Veneza, Venéto, Itália, a Beata JULIANA DE COLLALTO abadessa da Ordem de São Bento. (1262)
JOANA DE FLORENÇA, Beata
Em Florença na Etrúria, hoje Toscana, Itália, a Beata JOANA virgem da Ordem Terceira das Servas de Maria, eminente pela sua oração e austeridade. (1367)
CRISTINO (Miguel Roca Huguet) e 11 companheiros PROCESSO (Joaquim Ruiz Cascales), EUTÍMIO (Nicolau Aramêndia Garcia), CANUTO (José Franco Gómez), DOSITEU (Guilherme Rúbio Alonso), CESÁRIO (Mariano Niño Pérez), BENJAMIM (Alexandre Cobos Celada), CARMELO (Isidro Gil Arano), COSME (Simeão Isidoro Joaquim Brun Arará), CECÍLIO (Henrique López López), RUFINO (Crescêncio Lasheras Aizcorbe) e FAUSTINO (António Villanueva Igual), religiosos, Beatos
Em Madrid, Espanha, os beatos CRISTINO (Miguel Roca Huguet) e 11 companheiros PROCESSO (Joaquim Ruiz Cascales), EUTÍMIO (Nicolau Aramêndia Garcia), CANUTO (José Franco Gómez), DOSITEU (Guilherme Rúbio Alonso), CESÁRIO (Mariano Niño Pérez), BENJAMIM (Alexandre Cobos Celada), CARMELO (Isidro Gil Arano), COSME (Simeão Isidoro Joaquim Brun Arará), CECÍLIO (Henrique López López), RUFINO (Crescêncio Lasheras Aizcorbe) e FAUSTINO (António Villanueva Igual), religiosos e mártires, todos da Ordem, de São João de Deus que, durante a guerra civil foram mortos em ódio à religião cristã. (1936)
AFONSO SEBASTIÃO VIÑALS, Beato
Em Paterna, Valência, Espanha, o beato AFONSO SEBASTIÃO VIÑALS presbítero e mártir que, era director espiritual da escola de Formação Social de Valência quando na mesma perseguição contra a fé, recebeu a coroa de glória. (1936)
PEDRO DE ALCÂNTARA (Cândido Rivera Rivera), MARIA DO CARMO MORENO BENITEZ e MARIA DO AMPARO CARBONELL MUÑOZ, Beatos
Em Barcelona, Espanha, os beatos mártires PEDRO DE ALCÂNTARA (Cândido Rivera Rivera), presbitero da Ordem dos Frades Menores Conventuais MARIA DO CARMO MORENO BENITEZ e MARIA DO AMPARO CARBONELL MUÑOZ virgens do Instituto de Maria Auxiliadora que, djurante a mesma perseguição configurando-se à paixão de Cristo, seu Esposo, alcançaram a recompensa da paz eterna. (1936)
BENTO CLEMENTE (Félix España Ortiz), Beato
Em, Barcelona, Espanha, em dia incerto de Setembro o Beato BENTO CLEMENTE (Félix España Ortiz) religioso da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs e mártir. (1936)
EUGÉNIO ANDRÉS AMO, Beato
Em Sotillo, Cantábria, Espanha, em dia incerto de Setembro, o beato EUGÉNIO ANDRÉS AMO religioso da Ordem dos Pregadores e mártir. (1936)
JOSÉ SAMSÓ I ELIAS, Beato
Em Mataró, na Catalunha, Espanha, o Beato JOSÉ SAMSÓ I ELIAS presbitero da diocese de Barcelona e mártir. (1936)
... E AINDA ...
ADJUTORE, Santo
Adiutore, vescovo, santo, venerato in Campania. La più antica memoria di S. Adiutore si trova
in una lista del Martirologio Geronimiano, in varie date (2 giugno, 17-19 dic.) e nel calendario Marmoreo di Napoli (sec. IX), accoppiata a quella di S. Prisco al 1° settembre.
Il culto del santo è diffuso con maggiore larghezza nelle zone di Benevento, Capua, Caserta, Cava, Salerno. Quanto alla personalità di Adiutore, la leggenda riportata negli Acta Sanctorum al 1° settembre, lo fa compagno di quella schiera di 12 vescovi, che, nella persecuzione dei Vandali del V sec., scacciati dall’Africa, approdarono ai lidi della Campania, donde si sparsero nelle regioni vicine, per predicare il Vangelo. La leggenda è troppo tardiva e oggi non viene presa da alcuno in considerazione. In generale si ritiene che Adiutore, come i suoi compagni, appartengano alle stesse regioni in cui predicarono e nelle quali, in seguito, si diffuse il loro culto. Sebbene il Lanzoni, accennando in particolare a sant’Adiutore, ha affermato di non sapere chi fosse, questo culto non può in alcun modo mettersi in dubbio. S. Adiuore era venerato a Benevento, ma nessuno dei cronisti locali, come il Sarnelli (1691) ed il Borgia (1764), lo includono nella lista dei vescovi di quella diocesi. La festa di Adiutore era già celebrata in quella città il 19 XII, ma il card. Orsini, poi papa Benedetto XIII, la fissò per tutta la diocesi al 28 gennaio, dopo aver collocate le reliquie del santo sotto l’altare maggiore della cattedrale, il 10 XI 1687. Nel nuovo Proprio, pubblicato nel 1945, l’Ufficio del Santo è stato soppresso. Particolare culto Sant’Adiutore riceve in Cava dei Tirreni, dove anche oggi è venerato come patrono della città e della diocesi, come primo evangelizzatore e vescovo.
La festa liturgica è assegnata al 15 maggio. Qui il culto, contrariamente a quanto scrive il Mallardo, ha origini assai più remote che a Capua: un castrum sancti Adiutoris, tuttora esiste e che sarebbe stata la dimora del Santo in Cava, è documentato sin dal sec. IX; nel 1049, sotto il principe longobardo Gisulfo, venne donato a S. Alferio, fondatore e primo abate del monastero della Santissima Trinità di Cava; nel 1064 e nel 1096 vi sono chiese dedicate al santo, rispettivamente in Cava ed in Giffoni (Sa), e nel 1200, si ha notizia di un monte S. Adiutore in Eboli; in un calendario pergamenaceo del 1280 dei Benedettini di Cava la festa del santo è assegnata al 18 XII. Il prof. Adinolfi, nella sua Storia della Cava, aggiunge per Adiutore la qualifica di martire all’altra di vescovo, ma è una notizia isolata, che non trova nessuna conferma in nessun documento. Dalla più antica chiesa di Capua dedicata ad Adiutore si trova menzione in un documento del 1266
ANEA, Santo
A Como, nella chiesa di S. Croce, fuori le mura antiche, si venera questo fanciullo che morì a Roma per la fede. Il suo corpo giunse a Como nel 1700 e fu posto nella cappella dell’Addolorata. La notizia è tolta dal Martirologio della chiesa di Como redatto dal p. Luigi Tatti, comasco, autore che scrisse molto, ma con assoluta mancanza di spirito critico: tuttavia di Anea egli dice prudentemente che si ignorano l’anno, il giorno, il genere di martirio subito ed il suo persecutore. Attualmente si ritiene che Anea sia uno dei “Corpi Santi” estratti dalle catacombe in varie epoche. La festa del santo cade la prima domenica di settembre, mentre i Bollandisti pongono Anea tra i Praetermissi del 1° settembre.
A Como, nella chiesa di S. Croce, fuori le mura antiche, si venera questo fanciullo che morì a Roma per la fede. Il suo corpo giunse a Como nel 1700 e fu posto nella cappella dell’Addolorata. La notizia è tolta dal Martirologio della chiesa di Como redatto dal p. Luigi Tatti, comasco, autore che scrisse molto, ma con assoluta mancanza di spirito critico: tuttavia di Anea egli dice prudentemente che si ignorano l’anno, il giorno, il genere di martirio subito ed il suo persecutore. Attualmente si ritiene che Anea sia uno dei “Corpi Santi” estratti dalle catacombe in varie epoche. La festa del santo cade la prima domenica di settembre, mentre i Bollandisti pongono Anea tra i Praetermissi del 1° settembre.
AREALDO DE BRÉSCIA, Santo
Secondo il Martirologio di Brescia, Arealdo e due suoi figli subirono il martirio al tempo dei Longobardi e precisamente durante l'anarchia succeduta nel 575 alla morte di Clefi. Nel 576 Alhisio, uno dei pretendenti al trono, iniziò una persecuzione contro i cristiani e in essa mori a Brescia A. assieme ai suoi figli Carillo e Oderico. Il Fayno (Martirologium sanctae Brixianae Ecclesiae, Brescia 1675) afferma di aver desunto queste notizie da una cronaca di Octavius Rossius: tuttavia, mancando qualsiasi indizio sull'esistenza di quest'opera, il racconto di Fayno è ben poco attendibile. Del resto il Ferrari stesso afferma di ignorare tempo e luogo del martirio di Arealdo. Secondo alcuni autori Arealdo sarebbe morto nel 134, ma probabilmente essi credettero di trovarsi di fronte a un compagno dei ss. Faustino e Giovita. Ferrari afferma che nel 1305 il vescovo di Cremona Gerardo Maggi, bresciano, curò la traslazione delle reliquie di Arealdo nella cattedrale della città. Ma nel catalogo dei vescovi di Cremona non si riscontra il nome del Maggi, né si può pensare che Gerardo Maggi, vescovo di Brescia dal 1275 al 1309, abbia retto momentaneamente anche la diocesi adiacente, perché in essa dal 1296 al 1312 o 1313 governò Raniero. D'altra parte la prima traslazione, secondo il Fayno, portò le reliquie di A. a Cremona in una chiesa dedicata al suo nome, poi nel 1484 il canonico Isacco Restalli le trasferì nella cattedrale, presso l'altare del S.mo Sacramento, e infine l'8 giugno 1614 le spoglie di Arealdo discesero nella cripta della cattedrale medesima.
La festa di Arealdo si celebra a Brescia e a Cremona il 1 settembre, mentre i suoi figli non godono di culto alcuno. La tradizione locale intorno ad Arealdo sembra essersi formata non prima del sec. XV, tuttavia Arealdo pare non aver nulla a che vedere con s. Arialdo di Milano.
AUGUSTO DE CASERTA, Santo
Augusto venne dall’Africa. Secondo la tradizione è uno dei dodici religiosi africani, che, a causa delle incursioni vandaliche di Genserico (che saccheggerà Roma del 455), dovettero lasciare la loro terra, caricati su un vecchio battello senza remi e senza vela, e che approdarono miracolosamente sulle coste della Campania.
Il Martirologio romano v.e., fissava al 1 settembre la festività di S. Augusto. In esso leggiamo: “s. Prisco vescovo, il quale fu uno di quei sacerdoti, che nella persecuzione vandalica, per la fede cattolica diversamente tormentati e posti su una vecchia nave, pervennero dall’Africa ai lidi della Campania, propagarono mirabilmente la religione cristiana. Furono anche suoi compagni Castrese, Tammaro, Rosio, Eraclio, Secondino, Adiutore, Marco, Augusto, Elpidio, Canione e Vindonio”.
Considerato primo vescovo dell’antica Galazia, città della Campania presso la via Appia, è venerato nella diocesi di Casa Hirta (Caserta) dopo che la sede vescovile fu spostata nella cittadella collinare a motivo della distruzione dell’antica città un secolo prima del mille dai saraceni.
Augusto morì probabilmente verso il 490, in età avanzata, e fu sepolto monastero di Santa Maddalena e san Marciano, nei pressi dell’attuale città di Maddaloni. Sebbene storici locali accennando in particolare a sant’Augusto, hanno affermato di non sapere realmente chi fosse, questo culto non può in alcun modo mettersi in dubbio.
Una pergamena longobarda del 1020 riporta l’esistenza di una chiesa dedicata a S.Augusto nel territorio dell’attuale città di San Prisco e nonostante la mancanza di un’ ufficiatura liturgica propria fino al 1897, non si può sradicare questa figura dalla storia religiosa e civile di Caserta.
Anche il Papa Giovanni Paolo II nella visita pastorale a Caserta del maggio 1992 ebbe ad affidare la Città alla protezione di S. Augusto, vescovo.
COLOMBA, Santa
Nel campo agiografico, scorrendo l’elenco dei santi medievali, colpisce la particolarità che intere famiglie sono considerate sante nei loro componenti, specie se nobili e regnanti, il fenomeno è più evidente nei Paesi Anglosassoni; ma anche in Italia ci furono vari casi, così come i conti di Pagliara presso Castelli in provincia di Teramo.
Il più celebre della famiglia fu s. Berardo vescovo di Teramo e patrono della città, poi vi è la sorella santa Colomba e i fratelli santi Nicola ed Egidio.
I Pagliara, avevano il titolo di conte, ereditato forse dagli antichi conti dei Marsi ed erano i signori della Valle Siliciana, che abbracciava un vasto territorio sotto il Gran Sasso d’Italia.
Berardo già monaco benedettino e sacerdote a Montecassino, si ritirò poi nel celebre monastero di S. Giovanni in Venere in Abruzzo, da lì fu chiamato alla sede episcopale di Teramo.
Dei fratelli Nicola ed Egidio non si hanno notizie, solo che sono menzionati in una breve citazione insieme a santa Colomba, dagli studiosi agiografici detti ‘Bollandisti’, costituiti dal gesuita belga Jean Bolland (1596-1665) per compilare gli ‘Acta Sanctorum’.
Nella stessa citazione al 1° settembre è ricordata santa Colomba, giovane contessa di Pagliara che nacque nel 1100; si ritirò giovanissima a fare vita eremitica, sulle pendici del Monte Infornace (Gran Sasso d’Italia).
La grotta in cui visse e morì è posta a mezza costa sotto una rupe, sulla quale è scolpito un segno sporgente detto “pettine di s. Colomba”, a ricordo dell’uso fattone dalla giovane per ravvivare la sua lunga capigliatura; poco distante c’è l’impronta di una mano impressa nella roccia, a ricordo dell’appoggio fatto da s. Colomba, salendo lo scosceso monte.
I due ‘segni’ si collegano al culto delle pietre, ancora fiorente in Abruzzo, anche per la presenza di una buca miracolosa, esistente sotto l’altare della chiesetta a lei dedicata, fatta erigere dal vescovo Berardo suo fratello dopo la morte di Colomba, avvenuta nell’inverno 1116, quindi ad appena 16 anni; i devoti ritengono che introducendo il capo nella buca, possono essere risanati da alcune malattie.
La cappella fu benedetta nel 1216 da s. Attanasio, vescovo di Penne.
EGÍDIO e ARCANO, Santos
La tradizione indica con questi due nomi i pellegrini che, sul finire del X secolo, avrebbero costruito un primo oratorio dedicato al Santo Sepolcro di Cristo, attorno al quale sorsero successivamente un’abbazia benedettina (poi camaldolese) e il borgo che darà origine all’attuale città di Sansepolcro. Secondo le antiche cronache, la cui cronologia è stata in parte riordinata nei secoli XIX e XX, i due pellegrini sarebbe giunti nella zona di Sansepolcro, al tempo detta ‘Noceato’ o ‘Noceati’, fra 936 e 996. L’abbazia è documentata dal 1012. In passato l’intera città festeggiava le proprie origini il 1° settembre, giorno della dedicazione dell’abbazia (l’odierna cattedrale) dedicato a sant’Egidio. In questo giorno si tenevano una grande fiera e gare di tiro con la balestra, mentre i rappresentanti delle arti offrivano la cera all’abbazia e, dopo il 1520, alla cattedrale.
Non esiste un riconoscimento ecclesiastico ufficiale del loro culto, ma vengono citati nella bolla di erezione della diocesi di Sansepolcro nel 1520 (papa Leone X). Sono indicati come santi nella Bibliotheca Sanctorum (vol. II, coll. 374-375).
Attualmente sono ricordati il 1° settembre, giorno in cui si celebra la solennità della dedicazione della Basilica Cattedrale di Sansepolcro.
ELPÍDIO ou ARPINO de ATELLA, Santo
E’ celebrato il 1° settembre dal Martirologio Romano, il cui latercolo riepiloga una non antica leggenda secondo la quale Elpidio fu uno dei dodici vescovi o preti africani che, durante la persecuzione vandalica del V sec. o durante quella ariana del IV, dopo vari tormenti furono caricati su di una vecchia nave senza remi e senza vele perché morissero in mare. Ma la nave non affondò e, spinta da correnti favorevoli, raggiunse la Campania. Tale leggenda, come avevano già sospettato il Ruinart ed il Tillemont e come dimostra ampiamente il Lanzoni, è recente (sec. XII) e non merita alcuna fiducia: essa non fa che riprendere e rifare, ampliandoli, altri episodi del genere, come quello del vescovo di Cartagine Quodvultdens giunto coi suoi chierici a Napoli nel 439-440. Il Lanzoni vede in tutti i dodici nomi, vescovi o santi locali. Prima, infatti, che in tale leggenda, il nome di Elpidio appare in altre fonti ben più importanti.
La passio del martire atellano s. Canione dice che il vescovo Elpidio eresse una basilica sul suo sepolcro ed anzi ne riporta l'iscrizione dedicatoria col nome del costruttore. Un altro documento, la Vita S. Elpidii, lo celebra al 24 maggio, lo dice fratello di s. Cione, zio di s. Elpicio, non altrimenti noto, e vescovo di Atella ai tempi di papa Siricio (384-399) e di Arcadio (395-408): questi dati cronologici sono probabilmente quelli giusti. Gli Atti della traslazione di s. Atanasio di Napoli ci informano che in Atella nell'872 vi era una ecclesia S. Elpidii, mentre un istrumento notarile dell'820 testimonia che già in quell'epoca tutta la zona circostante era chiamata S. Elpidio (oggi S. Arpino). E, finalmente, il Calendario marmoreo di Napoli (cf. Mallardo, op. cit in bibl., p. 21) ne celebra la memoria al 15 gennaio con le parole: ET s. EEPIDII EPI[SCOPI]; e, malgrado che l'identità della data abbia fatto concludere al Delehaye che in questa nota si tratti dell'omonimo Elpidio, celebrato pure al 15 gennaio dal Sinassario Costantinopolitano, il Lanzoni ed il Mallardo accettano la tradizione di quegli studiosi che videro celebrato nel Calendario marmoreo il vescovo di Atella, perché l'Elpidio bizantino non consta fosse vescovo.
Distrutta la città con l'invasione longobarda, pare che alcuni cittadini atellani, portando con sé i corpi di Elpidio, Cione ed Elpicio, si rifugiassero a Salerno, dove le sacre reliquie vennero collocate sotto un altare dell'antica cattedrale. Il clero di Salerno da secoli ne celebra la festa liturgica al 24 maggio. Recentemente, nel 1958, l'arcivescovo Demetrio Moscato ha voluto compiere una ricognizione canonica delle reliquie dei santi che la storia salernitana confermava essere sepolti nella cripta del duomo, propriamente sotto l'altare denominato "dei santi confessori". Fra le altre reliquie furono rinvenute anche quelle dei tre santi Elpidio, Cione ed Elpicio, ivi collocate dall'arcivescovo Alfano I nel marzo 1081, come è chiaramente detto in un'iscrizione marmorea, collocata dal medesimo arcivescovo nella parte interna della lastra di copertura delle reliquie, che ora avranno nuova decorosa sistemazione. Anche nella lista episcopale di Reggio Emilia, si incontra un Elpidio, vescovo di Atella, che, distrutta la sua sede, cercò rifugio nientemeno che a Reggio Emilia, città di cui sarebbe stato vescovo dal 448 al 453; morto, sarebbe stato sepolto, non si comprende per quale motivo, a Salerno. Il Lanzoni, accennando a queste notizie, le ritiene, e non a torto, "un ammasso mostruoso di errori".
JOANA SODERINI DE FIRENZA, Beata
Giovanna nata a Firenze tra il XIII e XIV secolo dalla nobile famiglia Soderini, una delle principali della città, fu attratta insieme alla giovane Giuliana Falconieri dalla vita penitente ed evangelica dei Sette Mercanti, che lasciato ogni cosa si ritirarono prima alla periferia di Firenze ed in seguito sul Monte Senario per vivere al servizio della Vergine Santa.
Si consacra dodicenne alla Vergine Santa e rivestita dell’abito dei Servi di Maria, sui passi della Falconieri sua madre e maestra nella vita spirituale, si dedica tutta alla meditazione della Passione di Gesù e dei Dolori della Santa Madre.
Come la sua maestra anch’ella amante dell’Eucaristia, ogni giorno si ciba del Pane degli Angeli e diverse ore del giorno e della notte le trascorre dinanzi a Gesù Sacramentato.
Altre compagne la seguono, e di queste, dopo la morte di Santa Giuliana, diventa guida sicura e madre,alimentando sull’esempio della sua maestra e dei Sette Santi Padri quella lampada iniziale del movimento femminile servitano, che ben presto si sarebbe evoluto nel mondo intero. Fiduciosa di Dio solo alle tante difficoltà soleva affidarsi alla Divina Clemenza e diceva: "Nulla sono, nulla posso, Signore, Voi tutto operate in me, vostra povera serva".
Santamente, cibata della Divina Eucaristia, muore con serafico ardore il 1° settembre 1367.È ascritta da Papa Leone XII nell’albo dei Beati il 1° ottobre 1828.
PREGHIERA
O Dio che accordasti alla tua vergine Giovanna
di custodire l’innocenza con una vita di continua austerità,
concedi a noi, per sua intercessione,
di convertirci a te e servirti con animo puro.
JUSTINO DE PARIS, Santo
Nato a Parigi, San Giustino, insegnava all'Università della sua città, materie giuridiche in cui era versatissimo. Entrato poi nell'Ordine Mercedario ricevette l'abito nel convento di Valenza (Spagna) come cavaliere laico. In seguito venne inviato nella città di Granada in missione di redenzione, dove fortificò alcuni prigionieri che sotto le pressioni dei mori erano sul punto di rinnegare la loro fede. I mori infuriati del suo successo e sentendolo parlare con ardore sulle verità della religione cattolica mentre disprezzava la legge di Maometto, lo presero, gli spaccarono le mascelle ed infine lo appesero con una corda al collo ad un albero.Invocando il nome di Gesù spirò santamente raggiungendo la schiera dei martiri nell'anno 1337.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
LUGI CONCISO, Beato
Famoso dottore in Sacra Teologia, il Beato Luigi Conciso, scrisse molti libri importanti facendo onore all'Ordine Mercedario.Inviato in Missione di redenzione ad Algeri in Africa, liberò 88 cristiani dalle mani dei nemici della fede cattolica. Carico di buone opere morì nell'anno 1372.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
MADONNA DE MONTEVERGINE
A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità.
Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo.
Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania.
Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli.
Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana.
Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia.
San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi.
Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza.
I re normanni ed angioini fecero a gara a dare all’abbazia, sorta vicino alla chiesetta, una autosufficienza economica, esentandola da tributi e donandole feudi e un castello per l’abate.
Sotto gli angioini (1266-1435) la chiesa di stile romanico fu trasformata notevolmente nelle strutture ed ampliata in stile gotico, con altare maggiore cosmatesco e a tre ordini di colonne.
La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia.
L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste. Il quadro sarebbe stato prima esposto a Gerusalemme, poi trasferito ad Antiochia, poi a Costantinopoli, infine a Napoli, qui finì nelle mani di Caterina II sposa di Filippo di Taranto, la quale lo fece completare, si dice, da Montano d’Arezzo e lo donò al Santuario di Montevergine.
Studi espletati nei secoli successivi, hanno escluso la pittura sia di s. Luca che di Montano d’Arezzo, attribuendo l’esecuzione dell’opera a Pietro Cavallino dei Cerroni, pittore di corte di Carlo II d’Angiò, che l’avrebbe dipinta fra il 1270 e il 1325, egli era portato per le opere di grandi dimensioni, infatti il quadro del santuario misura metri 4,60 x 2,10 e pesa otto quintali, con linee bizantineggianti e con intonazione personale proprio dello stile del Cavallino.
Al popolo non è mai interessato chi l’avesse dipinta, essa piacque subito e nella semplicità della fede che gli venne tributata, la chiamarono la “Madonna Bruna” o anche “Mamma Schiavona”, etimologia incerta ma di sicura presa.. C’è tutta una letteratura descrittiva dei pellegrinaggi a Montevergine, con quadri e disegni di illustri viaggiatori che ne descrivevano il folklore, specie per quelli provenienti da Napoli; su carretti addobbati con cavalli e i suoni e feste che accompagnavano il ritorno; fino agli anni ’60 del nostro secolo i carretti erano stati sostituiti da auto decappottabili, tutte addobbate, come i pellegrini compreso l’autista noleggiatore, vestivano abiti uguali e tutti dello stesso colore sgargiante degli addobbi dell’auto.
Oggi si sale con una comoda funicolare e con un agevole strada per auto e i bus; i pellegrini sono calcolati sul milione e mezzo ogni anno. Ma i pellegrinaggi veri e propri che si fanno da secoli, sono a piedi, salendo il monte anche di notte, molti a piedi nudi, per penitenza o per chiedere una grazia per sé o per i suoi cari.
Per secoli sotto l’altare maggiore del Santuario furono custodite le reliquie di s. Gennaro, finché vinte la resistenze dei monaci e dei fedeli locali, esse poterono essere trasferite nel duomo di Napoli.
Il Santuario ebbe ancora due rifacimenti, uno nel 1622 per ragioni statiche e di moda, con trasformazioni barocche e l’altro a partire dal 1948 fino al 1961, quando ci fu l’intera costruzione di un santuario più grande, inglobando però la precedente struttura.
L’enorme quadro della Madonna è posto sulla parete di fondo su un nuovo trono che prende tutta l’altezza della parete. Interessante la sala degli ex-voto, dove già dal 1599 erano raccolte le tabelle votive, scolpite o dipinte raffiguranti le grazie che si era ricevuto, quasi tutte in argento; testimonianza storica di una fede ormai millenaria nella Madre celeste.
Nella cripta vi sono in un’urna d’argento, i resti di s. Guglielmo di Vercelli fondatore, nelle due basiliche la vecchia e la nuova vi sono le tombe di vari principi, nobili, ecclesiastici, che nei secoli hanno voluto riposare accanto alla Madonna di Montevergine.
Ai piedi del monte vi è il palazzo abbaziale di Loreto del 1700, residenza d’inverno dell’abate e di quasi tutti i monaci, spostamento dovuto al clima molto rigido ed alla neve del periodo invernale. Nel palazzo è ospitata la farmacia con una importante raccolta di vasi e l’archivio con incunaboli e novecento pergamene, molte scritte da re e pontefici, alcune risalenti all’epoca di s. Guglielmo.
NIVARDO (Nivard ou Nivo) de Reims, Santo
Nato nei primi anni del sec. VII da una famiglia ricca e appartenente all'alta nobiltà merovingia, nella regione di Reims, Nivardo fu allevato alla corte ed entrò molto tardi tra il clero. Avendo ricevuto successivamente tutti gli ordini - cosa poco comune in quell'epoca - nel 657 egli succedette al vescovo di Reims, Landone.
La città di Reims era allora la capitale del re Clodoveo II. Rimasti estranei alle controversie politiche, Nivardo e la sua diocesi non ebbero a soffrire dei cambiamenti di dinastia, ma anzi beneficiarono sempre del favore dei potenti.
Dal canto suo, Nivardo dimostrò sempre una grande sollecitudine per i monaci. Cooperò con s. Bercario alla fondazione del monastero di Hautvilliers, la cui regola era una fusione di quella di s. Benedetto e di quella di s. Colombano. La scelta del luogo fece sorgere molte difficoltà, Nivardo però riuscì non solo a costruire l'abbazia, ma a riconciliare coloro che vi si opponevano. Alcuni di questi entrarono persino nel monastero la cui direzione era stata affidata a s. Bercario.
La benevolenza e l'aiuto finanziario di Nivardo si estesero anche ad altri celebri monasteri (Corbie, Soissons, Fontenelle, oggi Saint-Wandrille). Egli fu inoltre un mecenate per le chiese di Reims, specialmente S. Maria e S. Remigio, che dotò largamente. Avendo ottenuto per Hautvilliers un ptivilegio di immunità e per il vescovo di Reims la piena giurisdizione sull'abbazia, Nivardo la scelse come suo soggiorno preferito. Ivi morì il 1° settembre 673.
L'abbazia di Hautvilliers divenne, nel sec. IX, una celebre scuola di miniatura e uno dei suoi monaci, Pérignon, nel sec. XVIII mise a punto la "maniera di trattare i vini" inventando così lo champagne.
SIMONE PONCE, beato
Mercedario spagnolo, il Beato Simone Ponce, incominciò a farsi conoscere per i suoi meriti e virtù nel 1349 passando in redenzione nell'Andalusia. Liberò dalla prigione dei mussulmani 137 schiavi e dopo una vita piena di meriti e tante sofferenze subite da parte dei mori, concluse la sua vita terrena in pace in una serena vecchiaia nell'anno 1359.
L'Ordine lo festeggia l'1 settembre
TANMARO, Santo
Un immigrato dal Nord Africa. Un profugo, arrivato via mare insieme con altri compagni nella regione dell’Agro campano detta Terra di Lavoro (e corrispondente a gran parte dell’attuale provincia di Caserta). Ma quando è arrivato? Un antico documento, la “Vita di san Castrense”, parla del Quinto secolo, dopo l’invasione del Nord Africa da parte dei Vandali di re Genserico (che saccheggerà anche Roma nel 455). Questi ordina una rigida separazione tra la nuova popolazione dei Vandali e i cittadini Romani assoggettati, ed espelle dall’Africa molti preti.
Tra essi, secondo il documento citato, ci sono anche Tammaro e dodici suoi compagni, che dopo aver subito minacce e tormenti vengono imbarcati su una nave e lasciati alla deriva. Giungono fortunosamente sulle coste campane. Di qui i compagni si divideranno, dedicandosi alla predicazione del Vangelo nel Sud dell’Italia. Tammaro ha lasciato ben poche notizie di sé. C’è persino chi lo dice allievo della scuola di sant’Agostino, ma anche qui mancano conferme e documenti certi.
Secondo lo storico capuano Michele Monaco, Tammaro si fa poi eremita nei dintorni di Capua (Caserta). Ma lo vengono a prendere anche nella sua solitudine, e lo acclamano vescovo di Benevento. Troviamo incertezze e difformità su questa nomina, ma è indiscussa la venerazione per Tammaro vescovo, documentata da antichi calendari e dalle molte chiese a lui dedicate in tutta la regione.
Tammaro è uno di quei santi che sembrano aver scelto una sorta di clandestinità, cancellando tracce, lasciando pochissime informazioni sul proprio conto; e tuttavia, misteriosamente, il loro ricordo percorre lo stesso i secoli e i millenni. (Si chiama tuttora Tammaro anche un comune in provincia di Benevento).
Ma un legame particolare ha unito poi il suo nome alla città di Grumo Nevano (Napoli), che oggi rappresenta un importante centro per l’industria dell’abbigliamento. Eredi della secolare devozione a questo santo, già nel XVII secolo gli abitanti di Grumo Nevano lo avevano proclamato loro patrono, portando da Benevento alcune sue reliquie e diffondendone il culto. Tammaro morì probabilmente verso il 490, in età avanzata, e fu sepolto nella sua cattedrale beneventana. Con i successivi rifacimenti del tempio, i suoi resti, con quelli di altri santi, furono collocati in un’arca marmorea. E in quella solida custodia sono rimasti indenni anche sotto il tremendo bombardamento che durante la seconda guerra mondiale distrusse la cattedrale. Una parte delle sue reliquie si trova ora custodita a Grumo, nella chiesa dedicata al santo, e recentemente innalzata alla dignità di basilica.
Nella festa in suo onore vengono esposte in un reliquiario che in un certo senso arriva anch’esso “da oltremare”, come san Tammaro e i suoi compagni, perché è stato donato dai numerosi cittadini di Grumo emigrati negli Stati Uniti.
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MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
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