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sexta-feira, 21 de outubro de 2016

Nº 2914 - (295-2016) - SANTOS DE CADA DIA - 21 DE OUTUBRO DE 2016 - OITAVO ANO

Caros Amigos:





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Desde o dia 1 de Janeiro que venho colocando aqui os meus Votos de um Bom Ano de 2016.
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar

UM BOM resto do ANO DE 2016

Nº 2914-  (295 - 2016) 

21 DE OUTUBRO DE 2016

SANTOS DE CADA DIA

8º   A N O



 miscelania 008



LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO



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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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DÁSIO, ZÓTICO e CAIO, Santos
        
 
Em Nicomédia, na Bitínia, hoje Izmit. na Turquia, os santos DÁSIO, ZÓTICO e CAIO que eram servos do imperador Diocleciano e, falsamente acusados de terem incendiado o palácio foram condenados à morte e lançados ao mar com grandes pedras atadas ao pescoço. (303)
 ÚRSULA e as 1000 virgens, Santas

 

Em Colónia, na Germânia, hoje Alemanha, a comemoração das MIL SANTAS VIRGENS que deram a sua vida por Cristo no lugar da cidade onde mais tarde foi levantada a basílica  dedicada à jovem ÚRSULA virgem inocente considerada a principal do grupo. (séc. IV)


HILARIÃO, Santo
   
 

Na ilha de Chipre, Santo HILARIÃO abade que seguindo os passos de Santo ANTÃO depois de passar algum tempo em vida solitária perto da cidade de Gaza, foi fundador e exemplo da vida eremítica nesta região. (371)

 
MALCO DE MARÓNIA, Santo
 


Em Comemoração de São MALCO monge cuja vida ascética em Marónia, perto de Antioquia da Síria, na actual Turquia, é referida por São JERÓNIMO. (séc. IV)

SEVERINO DE BORDÉUS, Santo


Em Bordéus, na Aquitânia na actual França, São SEVERINO bispo que originário das terras do Oriente, foi honrosamente recebido por Santo AMANDO que o quis como seu sucessor. (séc. V)


CILÍNIA, Santa

 


Em Laon, na Gália, hoje Na França, Santa CILÍNIA mãe dos santos bispos PRINCÍPIO DE SOISSONS e REMÍGIO DE REIMS. (458)

 

VIADOR DE LIÃO, Santo



Em Lião, na Gália, hoje França, a comemoração de São VIADOR leitor que foi discípulo e ministro de São JUSTO bispo de Lião e o acompanhou no ermo do Egipto e na sua morte. (481)

VENDELINO DE TRÉVERIS, Santo

 


Em Tréveris, na Austrásia, hoje Alemanha, São VENDELINO eremita. (séc. VII)

MAURONTO DE MARSELHA, Santo


Em Marselha, na Provença da Gália hoje França, São MAURONTO bispo que foi tamnbém abade do mosteiro de São Vítor. (780)


PEDRO CAPÚCCI, Beat

 

Em Cortona, na Etrúria, hoje Toscana, Itália, o Beato PEDRO CAPÚCCI presbitero da Ordem dos Pregadores que, meditando sobre a morte se voltou para as realidades celestes e com fervorosa pregação exortou os fiéis a evitar a morte eterna. (1445)


JULIÃO NAKAURA, Beato

 

Em Nishizaka, Japão JULIÃO NAKAURA religioso da Compa nhia deJesus e mártir. (1633) 


PEDRO YU TAE-CH'OI, Santo





Em Seul, na Coreia, São PEDRO YU TAE-CH'OI mártir que com a idade de treze anos no cárcere exortava os compoabnheiros de cativeiro a suportar os suplícios e, flagelado com cem açoites e depois estrangulado, consumou o seu martítrio. (1839) 


ESTANISLAU GARCIA OBESO, Beato

 Em Montes de Saja, na Cantábria, no litoral de Espanha, o Beato ESTANISLAU GARCIA OBESO presbitero da Ordem dos Pregadores e mártir. (1936)


LAURA DE SANTA CATARINA DE SENA 
(Laura Montoya Y Upegui), Santa





Em Belencito, povoação perto de Medelín, Colômbia Santa LAURA DE SANTA CATARINA DE SENA (Laura Montoya y Upegui) virgem que com grande sucesso se dedicou a anunciar o Evangelho aos indigenas que ainda desconheciam a fé em Cristo e fundou a Congregação das Irmãs Missionárias de Maria Imaculada e Santa Catarina de Sena. (1949)



 ... E AINDA  ...

AGATÃO e HILARIÃO DO EGIPTO, Santo



Santi Ilarione e Agatone

Ilarione e Agatone furono ambedue solitari nel IV secolo, in Egitto: monaci cioè che, dietro l'esempio di Sant'Antonio Abate, si ritirarono nel deserto della Tebaide, conducendovi vita di isolamento e di rigore.
Nel ricordo che di loro ci è pervenuto, appaiono ambedue pieni di saggezza, di pazienza e di devozione. Da giovani, gravi e dignitosi come vecchi; da vecchi, freschi e lieti come giovani .Sempre umili e sereni, fecero guerra sempre e soltanto alle tentazioni, sia da giovani che da vecchi, e al demonio, che abita anch'esso i luoghi deserti.
Su Sant'Ilarione, esiste uno scritto di San Girolamo, nel quale si trovano episodi di freschissima suggestione. I ladroni del deserto, per esempio, si presentano un giorno a lui. Ilarione li accoglie senza timore. " Che cosa diresti se i briganti ti assalissero? ", gli chiedono. " Quando non si possiede nulla - risponde, -i briganti non fanno paura ". " E non avresti paura di essere ucciso? ". " lo paura? Io paura? No davvero, poiché anche senza di essi dovrò morire ".
Giunto a più di ottant'anni, ecco Ilarione dire alla propria anima: " Esci dunque dal corpo: che cosa temi? Esci, anima mia, perché esiti? Sono quasi sessant'anni che servi Cristo, e hai paura di morire? ".
Ad Agatone, che in greco vuol dire " ottimo ", sono attribuiti detti spirituali e morali bellissimi. " Con il lavoro - egli asseriva - si provvede alla nostra salute e si fa guerra al demonio ".
" Siate - insegnava poi - come una colonna di pietra, che non monta in collera quando viene maltrattata, ma che neanche diventa più alta quando viene lodata ".
La Leggenda Aurea narra poi altri esempi della vita virtuosa di questi eremiti. Ne basterà uno per farsi un'idea dell'incantevole clima spirituale del loro mondo.
" Una volta - si legge - disse l'uno all'altro: - Abbiamo briga insieme, come hanno gli uomini del mondo? - Rispuose l'altro: - Io non so come la briga nasce. - Disse quel frate: - Poni fra te e me uno mattoncello; e io dirò: Mio è. Tu dirai: "Anzi è mio". E quindi nascerà la briga.
" Sì che fu posto il mattone in mezzo, e disse l'uno: - Egli è mio. - Disse l'altro: - No, anzi è mio. - Rispuose il primo: - Ed elli sia tuo; tollilo, e va' con Dio. - Partirono insieme, e non poterono contendere ".
Uomini pacifici, giusti, mansueti, sullo sfondo dei deserto. Uomini irsuti e barbuti di fuori, come fiere; ma di dentro, teneri e delicati più che bambini. 
BERTOLDO DE PARMA, Santo


Il Santo - non unico di questo nome nei calendari - visse a Parma, e mori nel 1106.
Non ebbe nulla in comune con il goffo contadino pavese, arguto e astuto, narrato da Giulio Cesare Croce nel famoso libro di Bertoldo. Il Santo invece discendeva da una famiglia straniera: inglese il padre, Abbondio, brèttone la madre, Berta. Erano giunti in Italia, poverissimi artigiani, fuggendo l'invasione normanna dell'Inghilterra, e in un primo tempo si stabilirono a Milano, dove Abbondio esercitò il mestiere del calzolaio, ma con poca o punta fortuna.
Passarono allora di là dal Po, fissandosi a Parma, dove nacque, verso il 1072, il loro unico figlio, Bertoldo.
A sette anni, il ragazzo lavorava già nella bottega paterna, aiutando nello stentato mestiere. Ma a dodici, Bertoldo abbandonò lesina e trincetto, per servire il Signore con pari zelo e immutata umiltà.
Dovette vincere la resistenza dei genitori, del padre soprattutto, che forse nutriva per quell'unico figlio l'ambizione di tutto quanto era stato a lui negato dalla vita.
Ma la vocazione di Bertoldo, pur nella sua semplicità, fu più forte delle ambizioni paterne, e il ragazzo poté così cambiare la bottega del calzolaio per la chiesa parmense di Sant'Alessandro, presso la quale esisteva un monastero di monache Benedettine.
Nella storia degli Ordini religiosi, Bertoldo è considerato così un precursore di quei conversi, o fratelli laici, detti Oblati Regolari, che divennero più tardi comuni - e ancora lo sono - presso le abbazie e i monasteri benedettini. Le sue mansioni, nella chiesa di Sant'Alessandro, furono quelle di un sagrestano; un sagrestano che faceva parte della comunità, e ne viveva la Regola con puntualissimo zelo.
Viveva alla base del campanile, ed era desto prima dell'alba, per pregare davanti all'altare, dopo aver tutto preparato per le prime Messe. Indossava un cilicio, e ogni venerdì si flagellava. Sempre obbediente, umile e sereno, le monache lo additavano addirittura come modello alle giovani novizie.
Con il permesso del Superiore, fu pellegrino a Roma e poi in Francia, dove visitò l'ospedale di Sant'Antonio Abate, lasciandosi dietro il ricordo di prodigiose guarigioni. E umili, toccanti miracoli gli vennero attribuiti anche dopo il ritorno a Parma, dove morì ancora giovane, mentre pregava, salutato da un insistente stormo di campane.
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CARLOSI DE HABSBURGO, Beato



Il Beato Carlo d’Asburgo, ultimo imperatore cattolico (1887-1922) e la Serva di Dio Zita di Borbone Parma (1892-1989) vissero la vocazione familiare aspirando alla perfezione cristiana e sono diventati modello di coerenza, di fedeltà e di felicità coniugale. Questa è la pastorale della Chiesa che prende le mosse dalla dottrina, non viceversa, creando ordine e giustizia secondo le leggi della natura e di Dio.
«Certo, sembra incredibile, ma l’amore tra Carlo e Zita fu veramente bellissimo», afferma l’avvocato Andrea Ambrosi, Postulatore della causa di beatificazione dell’Imperatore. «Studiando migliaia di pagine per preparare il processo, ho trovato testimonianze straordinarie e leggendole io stesso mi commuovevo». Ambrosi ha curato un nutrito volume sulle virtù eroiche cristiane esercitate da Carlo d’Austria e in questo approfondito studio emerge una spiritualità eccezionale. «Non è proprio possibile rimanere indifferenti di fronte all’esistenza di questo giovane imperatore. Carlo condusse un’esistenza integerrima, pur vivendo in un ambiente difficile e pieno di insidie. Fu un fervente cattolico, un marito e padre esemplare ed amatissimo, un figlio fedele della Chiesa e un pugnace avversario dei molti nemici del Papa e della Chiesa stessa».
Carlo e Zita salirono al trono austro-ungarico il 21 novembre 1916, succedendo all’Imperatore Francesco Giuseppe (di cui Carlo era pronipote) e all’Imperatrice Sissi: lui aveva 29 anni, lei 24 ed erano sposati da cinque. Una serie di gravi lutti, fra cui l’assassinio di Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 1914, portò Carlo a governare, e tale esercizio lo assunse con la responsabilità di chi sa che il potere gli viene dato da Dio. Fin da ragazzo aveva dimostrato un’attenzione particolare alla Fede cattolica e nonostante avesse un padre libertino, l’Arciduca Ottone, egli imparò sempre più a stare alla presenza di Dio. Amò sempre la vita militare e una volta divenuto Imperatore continuò a visitare le truppe al fronte, sfidando i bombardamenti nemici, fermandosi a parlare con i soldati, inginocchiandosi accanto ai feriti e ai moribondi.
Durante la Prima guerra mondiale fu il sovrano che fece maggiori appelli ai Capi di Stato affinché firmassero la pace senza condizioni. La sua cristiana azione di governo allarmò i poteri massonici, i quali fecero di tutto per fermarlo: fu calunniato, tradito, costretto all’esilio nel 1919. Egli venne sacrificato perché propugnatore di verità e perché credeva nel Regno sociale di Gesù Cristo Nostro Signore.
Zita era italiana, diciassettesima dei ventiquattro figli di Roberto di Borbone-Parma. Il fidanzamento con Carlo d’Asburgo avvenne il 13 giugno 1911 e il 21 ottobre si celebrarono le loro nozze. Il matrimonio fu benedetto da San Pio X, il quale, in un’udienza privata a Zita, le predisse il futuro di imperatore del consorte, rivelandole che le virtù cristiane di Carlo sarebbero state di esempio per tutti i popoli.
La testimonianza di Zita agli interrogatori del processo di beatificazione di Carlo d’Austria fu fondamentale per conoscere al meglio la vita interiore di un monarca che ebbe sempre a cuore il suo popolo perché, prima di tutto, assolveva ai diritti di Dio. Ha dichiarato ancora Ambrosi riferendosi ai primi tempi della loro conoscenza, disse: «Già allora mi pareva un cattolico veramente buono, ma non potevo completamente capire quanto grande e profonda fossero la sua bontà e la sua fede. Sotto l’influsso della santa Comunione dapprima frequente, poi quotidiana, si svilupparono le virtù, che erano nel suo carattere e gli erano concesse dalla grazia di Dio. Questo crescere era così poco appariscente e così naturale, che mi riusciva difficile percepirlo. Non vi era nulla a metà in lui. La mancanza d’ogni presunzione, la sua refrigerante naturalezza e semplicità, si approfondivano in sempre maggiore umiltà. La sua affettuosità di cuore ed il suo desiderio di far felice tutta la gente ricevevano sempre più una impronta paterna ed una profonda, consapevole prontezza al sacrificio. La sua fortezza ed il suo senso del dovere divennero totale dedizione al dovere datogli da Dio».
Zita ebbe accanto a sé un uomo ricco di Fede, di Speranza e di Carità, teso a soddisfare i voleri del Signore a dispetto, spesso, dei voleri degli uomini e da lui prese esempio, migliorandosi giorno dopo giorno nell’ascesi spirituale.
San Pio X, subito dopo l’assassinio dell’Arciduca a Sarajevo, inviò a Carlo, attraverso un alto funzionario vaticano, una lettera in cui lo pregava di far presente a Francesco Giuseppe il pericolo di una guerra che avrebbe portato immane sventura sull’Austria e su tutta l’Europa. Il contenuto della missiva venne scoperto da chi, al contrario, favoriva gli eventi bellici; fu così che il funzionario vaticano venne bloccato alla frontiera italiana e l’epistola giunse a destinazione molto tempo dopo.
Tuttavia l’Imperatore fece di tutto per ristabilire la pace. Egli vide nelle relazioni con la Francia la possibilità per un accordo. Ma i nemici erano troppi e troppo forti. Lo storico Gordon Brook-Shepherd nel libro La tragedia degli ultimi Asburgo (1974) individua nel ministro degli Esteri austriaco Ottokar Czernin un amico incondizionato di quei tedeschi desiderosi che la guerra non terminasse; ne sarebbe prova il fatto che Czernin, nel 1918, fece in modo che il Presidente del Consiglio francese Clemenceau rivelasse al mondo il segreto negoziato imperiale sulla pace separata, mettendo così a rischio la vita dello stesso Carlo d’Austria.
Nella Postio super virtutibus si legge che malgrado la tragica situazione in cui versava l’Austria e l’Europa intera, l’Imperatore non perse mai la speranza, perché egli sapeva guardare oltre le contingenze del tempo e dello spazio, e ogni sera continuò a recitare il Te Deum, perché «dobbiamo ringraziare Dio, giacché le sue vie non sono le nostre vie».
Questo degno e saggio uomo di Stato, che avrebbe avuto le capacità di far emergere il volto vero, sano e naturale di un’Europa rispettosa delle sue radici, ben migliore di quella presente, venne abbandonato da tutti e giunse a patire la fame, insieme alla sua famiglia, formata da otto figli. Ma tutto visse, con il suo sguardo soprannaturale, in serenità e pazienza. Dapprima si stabilì in Svizzera, poi a Funchal, nell’isola portoghese di Madeira. Fra le testimonianze del processo per la beatificazione, che portarono Carlo I d’Austria all’onore degli altari il 3 ottobre 2004 (festa liturgica 21 ottobre), ricordiamo quella di Monsignor Ernesto Seydl, che fu vicino ai sovrani esiliati: «assisteva quotidianamente alla santa Messa, faceva la Comunione e restavo sempre colpito dal profondo raccoglimento con cui l’imperatore faceva il ringraziamento dopo la Comunione. Si vedeva come, chiuso a tutte le impressioni del mondo esterno, fosse completamente immerso in Dio. La sera tardi tornava sempre ancora una volta con l’Imperatrice per una visita al Santissimo. Ero spesso commosso nel più profondo dell’anima, vedendo inginocchiati davanti all’Eucaristico Dio nel silenzio notturno i due duramente provati, illuminati solo delicatamente dal chiarore della lampada eucaristica».
Il Beato Carlo morì in povertà a soli 34 anni. Nel corso della sua ultima notte di vita terrena disse all’amata consorte, che gli sopravvisse, fedele sposa, ancora 67 anni: «Tutta la mia aspirazione è sempre stata quella di conoscere il più chiaramente possibile, in ogni cosa, la volontà di Dio, e di eseguirla nella maniera più perfetta».
Autore: Cristina Siccardi



Nella pianura del Danubio, cavalcava agile sul suo cavallo bianco, splendido nella sua divisa, durante le manovre militari. Colto e affabile, soldati e ufficiali lo sentivano fratello. Al mattino e alla sera, i suoi uomini potevano trovarlo nella sua tenda o davanti al Tabernacolo, raccolto in preghiera con la fede semplice e forte di un bambino.
Era Carlo d’Asburgo, principe d’Austria.
Il nonno suo era fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe. Il papà era Ottone d’Asburgo, la mamma era Giuseppina di Sassonia. Lui era nato il 17 agosto 1887 a Persenbeug sul Danubio. La mamma, ricca di fede e di carità cristiana, sottrasse il piccolo agli istitutori dello Stato e lo educò personalmente e affidandolo ad ottimi maestri cattolici.
Cresceva come un bambino bello e dolcissimo, limpido e buono. L’ambiente di corte, in cui viveva, raffinato e frivolo, neppure lo sfiorò.
Adolescente, circondato da cento occasioni di male, si distingueva per la purezza e la generosità.
Intelligentissimo, tra i compagni del liceo di Vienna, si faceva amare per la sua bontà. Molti pensavano a divertirsi; lui, Carlo, aveva una sola passione: l’adorazione eucaristica davanti al Tabernacolo e la Comunione quotidiana. Era un giovane affamato di Dio.
Un giorno, Miss Casey, addetta al suo guardaroba, si accorse che nell’armadio c’erano solo più due camicie consunte. Le altre, le più belle, sua Altezza le aveva regalate ad alcuni bambini poveri, suoi piccoli amici. Gli orfani, a causa delle guerre o di epidemie, erano i suoi prediletti.

Principe ereditario

A 16 anni, intraprese la carriera militare. Viveva come uno qualsiasi dei suoi soldati. Sapeva comandare e ubbidire. Nelle ore di libertà, conversava con soldati e ufficiali, sovente interessati solo ad avventure, ma lui parlava loro di Gesù e dell’amicizia con Lui.
Frequentò l’Università a Praga, studioso e appassionato alle lingue, in primo luogo a quelle parlate nell’Impero d’Austria. Durante le manovre militari del 1907, ormai ufficiale d’ordinanza dello zio Francesco Ferdinando, principe ereditario, si dimostrò un capo perfetto nel talento militare e nel senso tattico. Aveva 20 anni, parlava quasi una decina di lingue, era ammirato da tutti e da non poche principesse d’Europa e capitava spesso di vederlo pregare in pubblico, inginocchiato per terra come un fratino in un convento.
Alla corte di Vienna, aveva conosciuto la principessa Zita di Borbone-Parma, nata a Lucca nel maggio del 1892. Tra i due sbocciò l’amore. Nell’aprile del 1911, si iniziò a parlare delle nozze. In occasione del fidanzamento ufficiale, Zita e la madre andarono in udienza dal Papa Pio X. Il quale, accennando a Carlo, lo chiamò “principe ereditario”. Zita rettificò: «Non è lui l’erede al trono». Pio X non se ne diede per inteso e continuò a parlare di Carlo come del principe ereditario.
Un’altra volta, Pio X affermò: «È un dono della Provvidenza di Dio alla Casa d’Austria».
Sotto la guida del gesuita Padre Andlau, Carlo e Zita si prepararono al sacramento del matrimonio, pregando e facendo opere di penitenza e di carità, mentre attorno a loro volteggiavano balli e si tessevano avventure. Il 21 ottobre 1911, nel castello di Schwarzau, Mons. Bisletti, mandato dal Papa, benedisse le nozze di Carlo e di Zita.
Terminato il rito, Carlo disse alla sua sposa: «E ora dobbiamo aiutarci insieme per raggiungere il Paradiso».
ubito partirono per Mariazell, il santuario mariano dell’Austria, dove si affidarono alla Madonna. Negli anni appresso, vennero i primi loro bambini, accolti come dono di Dio.
Una sera del maggio 1914, Francesco Ferdinando invitò a cena, nella reggia di Vienna, Carlo e la sua famiglia. Il principe ereditario gli disse: «So che tra poco mi uccideranno. Ti affido i documenti di questa scrivania». Il 28 giugno, Francesco Ferdinando cadeva a Sarajevo e Carlo diventava l’erede al trono.

Costruttore di pace

La guerra iniziava su tutti i fronti d’Europa. Due anni dopo, alla morte di Francesco Giuseppe, il 21 novembre 1916, Carlo d’Asburgo saliva al trono imperiale. Andò di nuovo a Marianzell e là cominciò a regnare dinanzi a Maria Santissima.
Da quei giorni, ebbe un solo pensiero: la pace. Nessuno come lui ascoltò il Papa Benedetto XV nel ricercare la pace. Ma le proposte del Papa fallirono. Carlo si rivolse a Guglielmo di Germania per indurlo alla pace. Questi si illudeva ancora di vincere la guerra. Anzi, propose a Carlo di lasciare passare in Austria Lenin, esule in Svizzera, perché andasse in Russia ad abbattere con la rivoluzione comunista l’impero dello Zar, quindi assicurare la fine delle ostilità sul fronte orientale. Carlo inorridì: «Guai se il comunismo dovesse trionfare: sarebbe il danno più grave all’intelligenza e alla fede cristiana». I fatti gli avrebbero dato ragione.
Si rivolse allora con tutti gli sforzi possibili alle altre nazioni in guerra. Erano chiamate “le missioni Sisto”, dal nome di suo cognato, Sisto di Borbone che faceva da intermediario. Occorreva arrivare alla pace. Ma il nemico numero uno dei tentativi di pacificazione era la massoneria che aveva giurato di far sparire dall’Europa quell’Imperatore cattolico che viveva la sua fede in chiesa come in politica e che non aveva mai permesso che una sola loggia massonica si aprisse nei suoi Stati.
«È tra le più grandi personalità di tutti i tempi, affermava Stefan Zweig. Se si fossero seguite le sue idee, l’Europa non avrebbe conosciuto in seguito le più aspre dittature».
Diceva l’anglicano Gordon: «È capace di pensare con undici menti e di amare con undici cuori, uno per ogni nazionalità del suo Impero. Carlo è sempre uno nella fede e nella vita: fede e vita in lui si fondono in uno fino a farsi indistinguibili nell’esercizio della regalità». Benedetto XV assicurava: «Carlo d’Austria è un santo!».
Il novembre del 1918 segnò il crollo dell’Impero. Nelle città dei suoi Stati era la rivolta. Il 12 novembre a Vienna si proclamava la repubblica. Tutto avveniva secondo i piani della massoneria. L’11 novembre, Carlo aveva abdicato al trono. Cominciava per lui l’esilio. Il 24 marzo 1919, riparava in Svizzera.

L’esule e il martire

Allora la massoneria tentò il ricatto, proponendo al sovrano la restituzione della corona se fosse venuto a patti con essa. Carlo rispose: «Come principe cattolico, non ho nessuna risposta da darvi». Quando quelli se ne andarono, aggiunse: «Ora, ogni mia cosa avrà cattiva riuscita».
Nel mondo, vennero diffuse contro di lui calunnie ed oltraggi. Carlo rispose sempre da cristiano.
Nel 1920, Mons. Eugenio Pacelli, nunzio apostolico a Monaco di Baviera, ebbe un giorno l’occasione di viaggiare in treno con lui. Al ritorno, il nunzio andò in cappella dove disse ad alta voce: «Ti ringrazio, o Signore, di avermi fatto incontrare così grande anima!».
Nel 1921, seguirono due tentativi da parte del sovrano di riprendere la corona d’Ungheria a cui non aveva mai rinunciato. Ma il 24 ottobre, insieme a Zita, fu fatto prigioniero dalle truppe di Horty, il reggente di Ungheria e consegnato agli Inglesi. Caricati su una nave, attraverso il Danubio, il Mar Nero, il Mediterraneo, Carlo e Zita furono portati nell’isola di Madera, in mezzo all’Atlantico. Ora aveva perso davvero tutto, il trono, i beni temporali, povero tra i poveri. Solo il Papa pensava a lui e ai suoi familiari.
A Madera, finalmente poterono raggiungerli i loro bambini, il più grande dei quali aveva solo nove anni. Nella casa dove abitavano, Carlo aveva avuto il permesso di avere una cappellina con Gesù Eucaristico.
Chi voleva trovare l’Imperatore doveva cercarlo là, davanti al tabernacolo.
Maturò un’idea: offrire la vita per il bene dei suoi popoli. Guardando il Santuario della Madonna di Madera, offrì la vita come vittima con Gesù. Qualche giorno dopo, sempre più a corto di mezzi, lasciò la casa per trasferirsi in una povera abitazione priva di tutto, sopportando, ma diffondendo luce e gioia attorno a sé: «Così Dio vuole; perché preoccuparmi? Tutto per Lui!».
Il 9 marzo 1922, Carlo prese un raffreddore e fu subito polmonite: gravissimo. Sofferenze fortissime. La tosse lo squassava. Le cure sommarie, il vitto scarso. L’unico ad essere sereno, quasi felice era lui, Carlo, il sovrano dalla fede granitica e dolce. Zita raccoglieva una per una le ultime parole del suo sposo:
«Adesso voglio dirti che ho sempre cercato di conoscere la volontà di Dio e di eseguirla nel modo più perfetto». «Io devo ancora soffrire tanto affinché i miei popoli si ritrovino ancora tra loro... Gesù, proteggi i nostri bambini... ma falli piuttosto morire che commettere un solo peccato mortale». «Gesù sia fatta la tua volontà».
Pregavano insieme, Carlo e Zita, con il Rosario e le litanie alla Madonna. Cantavano il Te Deum in ringraziamento a Dio per la croce posatasi sulle loro spalle. E Carlo era morente!
1° aprile 1922. Il cappellano gli amministrò l’Unzione degli Infermi. Carlo volle avere vicino il figlioletto Ottone:
«Desidero che veda come muore un cattolico». Il sacerdote espose il Santissimo Sacramento nella stanzetta. Carlo non finiva più di adorarlo: «Gesù, io confido in Te. Gesù, in Te vivo, in Te muoio. Gesù io sono tuo, nella vita e nella morte. Tutto come vuoi Tu».
Il sacerdote gli diede la Comunione eucaristica, come Viatico per l’eternità. Il sovrano si raccolse sereno, ilare di un’intima gioia. Zita gli disse: «Carlo, Gesù, viene a prenderti».
Rispose: «Oh sì, Gesù, vieni». Poi ancora: «Oh, Gesù, Gesù!».
Erano le ore 12 e ventitré minuti. Carlo d’Austria, 35 anni appena, contemplava Dio. Il medico che lo curava, miscredente, esclamò: «Alla morte di questo santo, devo ritrovare la fede perduta». E si convertì. Da tutta l’isola vennero a rendergli omaggio. Ai funerali, lo seguirono 30 mila persone.
Il 3 ottobre 2004, Papa Giovanni Paolo II, con la beatificazione in San Pietro a Roma, elevava alla gloria degli altari Carlo d’Asburgo, l’Imperatore che dal trono d’Austria, attraverso la via regale della Croce di Cristo, ha scalato la vetta più sublime: la santità.

Autore: Paolo Risso



Carlo Francesco Giuseppe di Asburgo Lorena, nacque nel castello di Persenburg (Austria) il 17 agosto 1887, dall’arciduca Ottone d’Austria e dall’arciduchessa Maria Giuseppina di Sassonia; ed era pronipote dell’imperatore Francesco Giuseppe I (1830-1916).
La buona e devota madre, influenzò fortemente l’animo del giovane principe; ebbe una formazione umanistica sotto la guida di eccellenti precettori; poi proseguì i suoi studi presso il famoso “Schottengymnasium” dei Benedettini di Vienna, dove dai compagni veniva chiamato ‘arcicarlo’.
Seguendo le tradizioni della dinastia, finiti gli studi liceali, Carlo divenne ufficiale di cavalleria; uomo di viva intelligenza e dotato di un’enorme memoria, ricevette una formazione universitaria e l’istruzione di Stato Maggiore; fu dislocato in piccole guarnigioni della Baviera e della Galizia e poi a Vienna.
Sposò nel 1911 la principessa Zita di Borbone - Parma, dalla loro unione nacquero cinque figli maschi e tre figlie. Per la serie di disgrazie familiari che colpì la dinastia di Francesco Giuseppe, il pronipote Carlo venne a trovarsi in linea di successione, ad essere inaspettatamente erede al trono imperiale.
Nel 1915 l’anziano imperatore cercò di introdurre Carlo negli affari di governo; senza coinvolgerlo però in settori essenziali e vitali. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale, comandando il XX Corpo dei Cacciatori imperiali “Edelweiss”, dimostrando le sue capacità militari e di coraggio fisico-morale; poi gli fu dato il comando della XII Armata in Galizia, poi ancora quello delle Armate contro i russi diretti da Brusilov, la cui offensiva venne fermata.
Dopo l’entrata in guerra della Romania, Carlo vinse la battaglia di Hermannstadt e si accingeva a conquistare anche Bucarest; le sue qualità militari gli vennero riconosciute dal suo Capo di Stato Maggiore, il prussiano Hans von Seeckt, che lo considerava un bigotto.
Il 21 novembre 1916 morì l’imperatore Francesco Giuseppe I e Carlo in piena Guerra Mondiale, divenne imperatore d’Austria (Carlo I) e re d’Ungheria (Carlo IV).
Sin da fanciullo aveva dimostrato una particolare inclinazione verso la religione e la preghiera, si sentiva chiamato alla carità per il prossimo e fin da ragazzo raccoglieva soldi per i poveri. Da giovane ufficiale in Galizia, cercò sempre con successo di elevare la vita morale dei suoi soldati, i quali vedevano in lui il modello dell’uomo cattolico.
I suoi principi religiosi lo portarono, da imperatore, a sostituire il feldmaresciallo Conrad, perché agnostico e che all’età di 64 anni aveva sposato una donna divorziata, inoltre aveva usato indiscriminatamente le corti marziali, alienando i cechi dalla Casa d’Austria.
Benché fornito di ottima preparazione militare, fu l’unico fra i belligeranti ad accogliere le iniziative di pace di papa Benedetto XV; del resto sin dall’inizio del suo governo era deciso a riportare la pace ai suoi popoli.
Intraprese varie iniziative di pacificazione con le altre potenze, senza riuscire a prevalere però nella cerchia dei generali e statisti tedeschi; non andarono in porto nemmeno due tentativi di pace separata, a causa della fiera resistenza del governo italiano e che si seppero poi in giro.
Così da parte degli alleati, da parte tedesca e da parte di austriaci pangermanici, fu imbastita una enorme propaganda contro il giovane sovrano, il quale con calunnie venne accusato di essere un debole, un donnaiolo, incompetente, ubriacone e molto dipendente dalla volontà della moglie ‘italiana’.
Non riuscì a realizzare una riforma costituzionale dello Stato in forma confederale, per l’opposizione dei nazionalisti austro-pangermanisti e dei circoli governanti ungheresi, capeggiati dal conte Tisza, i quali si rifiutarono in modo assoluto, di dare delle concessioni agli oltre otto milioni di non magiari, presenti in Ungheria.
Attorno a sé non trovò nessun uomo politico, disposto ad appoggiare i suoi piani di riforma, anzi il ministro degli esteri conte Czernin, ligio alla prepotenza germanica, entrò ben presto in piena divergenza con il suo sovrano. L’unico consigliere politico di cui dispose, il conte Polzer-Hoditz, divenne bersaglio e vittima di una ben orchestrata campagna denigratoria.
Il 4 novembre 1918, a seguito del crollo militare sul fronte italiano, si firmò l’armistizio con l’Italia e come conseguenza la monarchia danubiana decadde e in Austria, il 12 novembre, venne proclamata la Repubblica Austriaca. Carlo si ritirò dapprima in Ungheria, rinunciando ad ogni partecipazione agli affari di Stato, ma senza abdicare come sovrano; poi fino al 24 marzo 1919 visse con la famiglia nel castello di Eckartsan presso Vienna, da dove dovette trasferirsi, sotto protezione britannica in Svizzera; ritenendosi fedele al giuramento fatto all’incoronazione di re dell’Ungheria, fece due tentativi di riprendere il potere in questo Stato, ambedue nel 1921.
Ma essi fallirono per l’ostilità di alcune potenze della Piccola Intesa, contrarie ad una restaurazione, nonostante le simpatie verso la sua persona, mostrate dalla Francia e dalla Romania; inoltre il reggente d’Ungheria Nicola von Horthy, si mise contro il re legittimo, nonostante il giuramento che lo legava al sovrano esiliato.
I tentativi di riprendere il trono, furono espletati per sua volontà, senza usare la forza militare, risparmiando così un alto costo di vite umane; tale atteggiamento gli costò la corona.
Fu fatto prigioniero dal governo del reggente Horthy e consegnato agli inglesi, i quali lo condussero insieme alla moglie Zita ed ai figli a Funchal nell’isola portoghese di Madeira. Senza risorse economiche, la famiglia dovette vivere in uno stato precario, lasciato presto l’albergo che li ospitava, si sistemarono in una villa isolata denominata ‘Villa Quinta do Monte’, che non poteva essere riscaldata.
A causa del clima umido e freddo del monte, Carlo si ammalò di una complicata polmonite; il suo cuore già debole non superò la malattia e quindi morì il 1° aprile 1922; venne sepolto nel santuario di ‘Nossa Senhora do Monte’.
Sia nella vita privata che in quella pubblica, Carlo aveva cercato in modo sempre più perfetto di ubbidire alle leggi di Dio e della Chiesa, vivendo in modo straordinario le virtù cristiane. Con coraggio straordinario soppresse il duello, disposizione che lo rese fortemente impopolare negli ambienti militari; unito da devozione filiale alla persona del Sommo Pontefice, dimostrava una ubbidienza spirituale al suo magistero.
Dotato di una fortissima coscienza di responsabilità sociale, conduceva anche una vita ricca di preghiera che ne tratteggiava l’ascetica. Divenuto sovrano, soppresse le manifestazioni sfarzose della vita di corte, abolì i supplementi per le cariche supreme della corte imperiale-reale, introducendo uno stile di vita decisamente sobrio.
Tutta una serie di iniziative sociali a favore dei suoi sudditi, specie i più poveri, furono interrotte per la caduta della monarchia, ma anche nella condizione di esiliato, divenne popolare per il suo senso della giustizia e per la cordialità con i dipendenti, certamente non usuale nella severa corte asburgica.
Ultimo sovrano della duplice monarchia austro-ungarica, ne dovette subire il crollo, pur essendo tanto diverso dai suoi predecessori, per la sua religiosità, dirittura morale, visione sociale e riforma di uno Stato assolutista in uno confederale.
La Radio Vaticana, il 3 novembre 1949 annunziava l’apertura del processo di beatificazione, gli atti furono consegnati alla Congregazione dei Riti il 22 maggio 1954; a maggio 2003 sono state riconosciute le ‘virtù eroiche’ e quindi il titolo di venerabile.
E' stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004.

Autore:
Antonio Borrelli

Note:
Causa di Canonizzazione: www.emperorcharles.org

Sito ufficiale della Gebetsliga in Italia: www.beatocarloabrescia.it

Mauro Faverzani - Carlo I d'Asburgo. Un Imperatore santo. Una biografia spirituale - Ed. Il Cerchio
Oscar Sanguinetti e Ivo Musajo Somma - Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo - Ed. D’Ettoris
Vincenzo Mercante - Carlo I d'Austria. Tra politica e santità - Ed. Gribaudi
Giuseppe Dalla Torre - Carlo d'Austria. Ritratto spirituale – Ed. Ancora
David Murgia - Carlo d'Asburgo. Intrighi, complotti e segreti dell'ultimo erede del Sacro Romano Impero - Ed. Segno
Mario Carotenuto - Carlo I d'Austria e la pace sabotata . Ragioni e conseguenze del fallimento delle trattative di pace nella Grande Guerra – Ed. Fede & Cultura
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CELINA DE MEAUX, Santa
 

Nata da nobile famiglia, desiderò consacrarsi a Dio, malgrado l'ambiente che la circondava. L'occasione di abbracciare la vita religiosa le fu offerta dall'incontro con s. Genoveffa, che era di passaggio nella sua città, Meaux. Celina, opposta resistenza al suo fidanzato che tentava di trattenerla. si rifugiò con s. Genoveffa nella cattedrale, le cui porte miracolosamente si aprirono e si richiusero dietro di loro. Da allora Celina, preso l'abito delle vergini, si consacrò interamente alle opere di carità. Nessun documento contemporaneo, però, ci permette di verificare l'autenticità di questi episodi biografici che furono dapprima raccolti da Usuardo, ripresi poi da Fulcanio di Meaux nel sec. XI e, infine, citati dal Tillemont. Morì dopo il 480 e fu sepolta presso Meaux; le sue reliquie, che durante la Rivoluzione furono nascoste al riparo, si trovano attualmente nella cattedrale di Meaux.
La festa della santa Celina è celebrata il 21 ottobre, giorno nel quale è ricordata anche l'omonima s. Celina, madre di s. Remigio; la coincidenza di questa data e l'imprecisione delle fonti non permettono di decidere se il culto di Celina, localizzato a Meaux e risalente lontano nel tempo, sia tributato a Celina, amica di s. Genoveffa, o alla sua omonima, madre del santo vescovo di Reims.


CORDULA DE COLÓNIA, Santa




S. Cordula, compagna di s. Orsola, segue nell’agiografia il racconto leggendario del martirio della grande vergine brettone. Forse non vi è santa più rappresentata nell’arte dei secoli passati, di s. Orsola, il suo martirio subìto insieme alle numerose compagne, ha sempre stimolato la fantasia degli artisti.
Secondo una prima ‘passio’ scritta intorno al 975, la pia e bella figlia di un re brettone, aveva consacrato a Dio la sua verginità, l’epoca della sua vita è il IV secolo; ma fu chiesta in matrimonio da Erterio, figlio di un re pagano. Poiché un suo rifiuto avrebbe provocato una guerra, Orsola consigliata da una visione angelica, chiese una dilazione di tre anni, facendosi promettere dal promesso sposo, che si sarebbe convertito al cristianesimo.
Trascorsi i tre anni, Orsola fuggì con una flotta di undici triremi, insieme ad undicimila compagne. Una tempesta spinse le navi ad approdare alla foce del fiume Waal; le vergini proseguirono il viaggio lungo il fiume, fino a Colonia. La leggenda racconta ancora, che incoraggiate da un angelo, decisero di fare un pellegrinaggio a Roma, quindi navigarono fino a Basilea, continuando il viaggio a piedi.
Nello stesso modo ritornarono a Colonia, che nel frattempo era stata conquistata dagli Unni, i quali le uccisero tutte, Orsola, che aveva rifiutato di sposare il capo dei barbari, fu trafitta con una freccia; morirono tutte per la fede e per la purezza.
L’eccidio provocò la reazione dei nemici degli Unni, i quali dopo questo misfatto fuggirono; gli abitanti di Colonia recuperarono i corpi ed un uomo venuto dall’Oriente certo Clematius, costruì sul luogo del martirio una basilica consacrata alle vergini; una lapide marmorea giudicata dagli esperti autentica, attesta la costruzione a proprie spese della basilica, da parte di Clematius.
L’importanza di questa iscrizione assegnata al secolo IV-V è fondamentale per attestare l’autenticità e la realtà del martirio a Colonia di un gruppo di vergini cristiane, la cui epoca del martirio, si può inquadrare nella persecuzione di Diocleziano (304); a questo punto rimane da chiarire il punto più controverso e direi più incredibile, cioè il numero di undicimila martiri; la tradizione primitiva ne parla in modo imprecisato, ma fin dal secolo VIII viene indicato il numero di undici, che poi divenne undicimila; si pensa che il numero romano XI, fu erroneamente letto come undicimila per esservi stata sovrapposta una lineetta trasversale, che sta ad indicare le migliaia nella numerazione romana; ad ogni modo la consistenza del gruppo è rimasta incerta.
Per i nomi, Orsola compare per la prima volta nel secolo IX e successivamente ne vengono altri come Brittola, Martha, Saula, Sambatia, Saturnina, Gregoria, Pinnosa, Palladia, Cordula.
Quando nel 1106 fu ampliata la città di Colonia, si trovò nelle vicinanze della chiesa di s. Orsola, un cimitero, le ossa lì rinvenute furono ritenute quelle delle martiri vergini. Il ritrovamento delle supposte reliquie di s. Orsola e compagne, diede luogo a diverse traslazioni in tante Nazioni europee, come Germania, Italia, Spagna, Francia, Danimarca, Polonia e altre, dove il culto si diffuse rapidamente.
Ed a tutto questo va collegato il culto per s. Cordula, che era venerata a Colonia, Vicogne (Valenciennes), a Marchiennes nella diocesi di Cambrai-Arras, a Osnabrück, a Tortosa in Spagna.
A Colonia il culto è conosciuto sin dal secolo X; le sue reliquie furono scoperte, perdute, ritrovate e trasferite tanta volte; tanto è vero che nel secolo XVII ben dodici chiese asserivano di possedere il suo corpo o il suo capo, si pensò anche che nel gruppo di martiri vi fossero più sante con questo nome, ma ciò non è confortato da nessuna notizia, s. Cordula dovrebbe essere una sola.
Come si vede sia per Cordula che per tutte le altre compagne, conosciute o no, non si sa niente della loro vita personale precedente il loro martirio. A conclusione, aggiungiamo che nella Cappella delle Reliquie del Tempio Malatestiano di Rimini, esiste un busto reliquiario di s. Cordula, di anonimo del sec. XV; a Lanciano credo che vi sia qualche reliquia nella cattedrale, non l’intero corpo, oltretutto quasi impossibile dato il tempo trascorso. 


GIUSEPPE PUGLISI, Beato



Dallo 25 maggio 2013 l’antimafia va in paradiso; anche se il primo a riderne sarebbe proprio lui, don Pino Puglisi, il prete antimafia per eccellenza, che tuttavia non è stato mai una prete ”anti”, piuttosto sempre un prete “per”. Le sue umili origini (papà calzolaio, mamma sarta) affondano a Brancaccio, il quartiere palermitano dove nasce il 15 settembre 1937 e sempre ad alta concentrazione di miseria (non sempre solo materiale), di delinquenza, di corruzione. E di mafia. Con la quale il prete di Brancaccio deve ben presto confrontarsi, perché del suo quartiere finisce nel 1990 per essere nominato parroco.  Nei 28 anni precedenti ha ricoperto i più svariati incarichi, dall’insegnamento alla pastorale vocazionale, dalla direzione spirituale di giovani e religiose alla rettoria del seminario minore fino all’accompagnamento delle giovani coppie, rivelandosi sempre fine educatore, consigliere illuminato ed incisivo formatore di coscienze, comunque un prete “rompiscatole”, come ama definirsi, che non lascia tranquilli i suoi interlocutori, sempre stimolandoli ad una maggior autenticità cristiana. Significativi, dal punto di vista pastorale, i suoi otto anni passati nella comunità di Godrano, contrassegnata da una atavica e sanguinosa faida, che riesce a debellare a colpi di Vangelo e carità, insegnando e inculcando la forza trasformante della riconciliazione cristiana e del perdono vicendevole. Ritorna a Brancaccio da parroco, umanamente ormai maturo perché oltre la soglia dei 50 anni, ma, soprattutto, pastoralmente ben collaudato, con uno stile pedagogico e formativo ben definito e una passione per i giovani che con il tempo è andata aumentando anziché affievolirsi.  Sono loro, infatti, a dover essere sottratti, uno ad uno, all’influenza mafiosa, per creare una nuova cultura della legalità e un’autentica promozione umana, che passi attraverso il risanamento del quartiere, la creazione di nuove opportunità lavorative, il recupero di condizioni di vita dignitose, ulteriori possibilità di scolarizzazione. Per fare questo don Puglisi non si risparmia e non esclude alcun mezzo, dalla predica in chiesa con toni accesi ed inequivocabili alla promozione in piazza di manifestazioni e marce antimafia che raccolgono sempre più adesioni e che per la malavita locale sono un autentico pugno nello stomaco.  In soli tre anni di intensa attività la mafia si vede progressivamente privata di manovalanza e, soprattutto, di consenso popolare da quel prete che ben presto diventa una sgradita “interferenza” e che raccoglie i giovani in un centro, intitolato al Padre Nostro, dove fa ripetizione ai bambini poveri, destinati a un futuro di disagio o di asservimento alla potenza dei boss. A tutti ripete che “da soli, non saremo noi a trasformare il quartiere. Noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa, e se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto…”. Cominciano ad arrivare i primi avvertimenti, le prime molotov e le prime porte incendiate, ma don Pino non è tipo da lasciarsi intimorire: “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti”, denuncia in chiesa. È in questo contesto che viene decretata la sua condanna a morte da parte dei boss Graviano. I sicari lo avvicinano davanti alla porta di casa il 15 settembre 1993, sera del suo 56° compleanno e lo eliminano con un colpo di pistola alla nuca, tentando di far apparire l’omicidio come conseguenza di una rapina finita male. È Salvatore Grigoli, quello che ha premuto il grilletto, a ricordare il suo ultimo sorriso e le parole “Me l’aspettavo”, che dicono come quella morte non sia un incidente di percorso ma un rischio di cui don Pino era ben cosciente. Quell’assassinio “ci sembrò subito come una maledizione, perché da allora cominciò ad andarci tutto storto”, riferisce sempre Grigoli, che intanto ha iniziato un percorso di conversione, imitato alcuni anni dopo dall’altro sicario, Gaspare Spatuzza. Entrambi attribuiscono il ravvedimento alla loro vittima, da cui sono certi di essere stati perdonati. Dopo trent’anni la Chiesa riconosce la morte di don Puglisi come martirio “in odio alla fede”, privando di fatto la mafia di quell’aura di religiosità, o meglio di devozionismo che alcuni boss hanno ostentato. Chissà se a lui non sta un po’ stretta, ora, la nuova qualifica di “beato”, che può rischiare, come qualcuno teme, di trasformarlo in un “santino” più che in un santo, edulcorando cioè la forza della sua testimonianza. Ma, a ben guardare, non dipende da lui: dipende da noi.
Autore: Gianpiero Pettiti



Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.
Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.
Nel 1963 è nominato cappellano presso l'istituto per orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma Assunta a Valdesi.
Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle chiese locali.
Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesù Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.
In questi anni segue anche le battaglie sociali di un'altra zona della periferia orientale della citt., lo "Scaricatore".
Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell'anno seguente direttore del Centro diocesano vocazioni.
Nel 1983 diventa responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di "campi scuola", un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.
Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole. Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal '78 al '93.
A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame. Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.
Questa sua attività pastorale - come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strada e le piazze a lui intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l'apertura dell'anno pastorale della diocesi di Palermo.
Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio, che ha iniziato ad ascoltare i testimoni. Un archivio di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si è costituito presso il "Centro ascolto giovani don Giuseppe Puglisi" in via Matteo Bonello a Palermo (091-334669).
La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all'unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l'assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.
"Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella rivelazione non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita. I 2000 anni dalla nascita di Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza dei martiri" (Giovanni Paolo II, Incarnationis Misterium, n.10).

HA DETTO

La testimonianza cristiana è una testimonianza che diventa martirio. Infatti testimonianza in greco si dice martyrion. Dalla testimonianza al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza." Essa servirà a dar fiducia "a chi, nel profondo, conserva rabbia nei confronti della società che vede ostile… A chi è disorientato, il testimone della speranza indica non cos’è la speranza, ma chi è la speranza. La speranza è Cristo, e si indica logicamente attraverso una propria vita orientata verso Cristo.

INTERVENTO DEL CARDINALE SALVATORE DE GIORGI
ARCIVESCOVO DI PALERMO
NELLA SEDUTA CONCLUSIVA DEL PROCEDIMENTO
DELLA FASE DIOCESANA PER IL RICONOSCIMENTO
DA PARTE DELLA CHIESA DEL MARTIRIO
DEL SERVO DI DIO IL SACERDOTE DON GIUSEPPE PUGLISI
CATTEDRALE, 6 MAGGIO 2001

E’ significativo che ogni anno nella Chiesa di Palermo, l'apertura dell'itinerario pastorale si svolga nel giorno anniversario dell’uccisione del Servo di Dio. Significa non solo che la memoria del suo sacrificio non può morire né diminuire, ma, anche e soprattutto, che la memoria della sua sacrilega uccisione - per il modo in cui è avvenuta e per le motivazioni per le quali è stata eseguita - resta per la Chiesa di Palermo e per la nostra azione pastorale la voce perenne e implacabile del sangue che invita al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell'esercizio del ministero sacerdotale e di ogni altro servizio nella Chiesa per il trionfo del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male.
Padre Puglisi, infatti, è stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell'annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore, di guida, di pastore. "Coraggioso testimone della verità del Vangelo" lo ha definito il Papa Giovanni Paolo II a Catania, e tra i "ministri coraggiosi del Vangelo" lo ha annoverato parlando a Siracusa. E il suo nome è stato inserito nell’elenco dei "testimoni della fede del Novecento", dei quali, per volontà dello stesso Pontefice, è stata fatta memoria il 7 maggio 2000 al Colosseo, durante il Grande Giubileo.
È stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale sottraeva le nuove generazioni alle aggressioni della mafia. Divenuto, come Gesù, segno di contraddizione, è stato oggetto di amore da parte di coloro che sono al servizio dell’amore e della vita e di odio da parte di quanti sono al servizio dell’odio e della morte. L'odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione e di formazione delle coscienze soprattutto giovanili, il suo impegno preferenziale per gli ultimi, che è parte integrante dell'evangelizzazione, non è semplicemente l'odio a un Sacerdote: è l'odio a Cristo, è l'odio alla Chiesa, è l'odio al Vangelo, col quale la mafia è assolutamente inconciliabile.
Sia ben chiaro: riconoscere il martirio per la fede spetta solo alla Suprema Autorità della Chiesa. Ma io, come Pastore della Chiesa Palermitana, non posso non auspicare che questo - con i tempi e le modalità previste dalle norme canoniche - possa avvenire a gloria di Dio, a edificazione della nostra Chiesa, a incoraggiamento del Clero, a sostegno di quanti lavorano per il riscatto della Città e anche come invito alla conversione dei mafiosi e di quanti operano il male. Vengono spontanee alla mente le parole espresse dal Santo Padre il giorno dei funerali del Servo di Dio parlando alla Verna: "Elevo la mia voce per deplorare che un sacerdote impegnato nell’annuncio del Vangelo e nell’aiutare i fratelli a vivere onestamente, ad amare Dio e il prossimo, sia stato barbaramente eliminato. Mentre imploro da Dio il premio eterno per questo generoso ministro di Cristo, invito i responsabili di questo delitto a ravvedersi e a convertirsi. Che il sangue innocente di questo sacerdote porti pace alla cara Sicilia".
Non è un semplice auspicio: è una speranza. Per tutti un impegno. Per questo da oggi dobbiamo intensificare la nostra preghiera.
E' stato beatificato a Palermo il 25 maggio 2013.


GUILHERME DE MONTREAL, Santo




Cavaliere laico spagnolo d'Aragona, il Beato Guglielmo da Montreal, fu uno dei primi nobillissimi cavalieri che formarono e diedero vita all'Ordine Mercedario. Santamente terminò i suoi giorni nel convento di Sant'Eulalia in Barcellona.
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.

ILARIONE DE MOGLENA, Santo



Moglena è una regione montana della Macedonia occidentale, posta a Sud-Est del lago di Prespa, a Sud di Bjtoli (Monastir); essa è formata essenzialmente da una catena di montagne chiamate oggi Neretchka Planina (l'Almopia dell'antichità). Ci fu una sede vescovile di questo nome fin dal Medio Evo (probabilmente già dal sec. X), il cui titolare risiedeva a Florina.
Ilarione, che l'ha illustrata nel XII sec., è molto poco noto. Egli era iscritto nei calendari slavi alla data del 21 ottobre, ma la sua personalità rimaneva oscura. Fortunatamente la sua vita, scritta dall'ultimo patriarca Eutimio (1375-1393), fu pubblicata nel testo originale (bulgaro) da E. Kaluzniacky. Posteriore di due secoli agli avvenimenti, essa però ci dà pochi particolari.
Dopo aver condotto vita monastica, Ilarione venne nominato vescovo di Moglena in data sconosciuta. La sua attività pastorale consistette soprattutto nel lottare contro gli eretici, numerosi nella regione: manichei, armeni, e principalmente bogomili. Egli ne ricondusse alla Chiesa un certo numero e abbandonò gli altri al braccio secolare. Morí il 21 ottobre 1164.
Verso il 1205, Calogiovanni zar di Bulgaria, trasportò il suo corpo a Trnovo. Ivan Assen II, figlio di Assen I, costruí nel 1230 la chiesa dei Quaranta Martiri, nella quale furono deposte le sue reliquie. Questa chiesa, trasformata in moschea, esiste ancor oggi e conserva la maggior parte della sua antica decorazione.

 LETÍCIA, Santa



Notizie su santa Letizia, purtroppo, non se ne trovano, segno che una santa o beata con questo nome non c’è, ciò nonostante la tradizione vuole che la ricorrenza sia il 21 ottobre.
E' citata una s. Laetitia (latino) vergine al 13 marzo.
Il significato del nome è evidente, cioè ‘lieta’ ma in precedenza significava ‘grasso’. Molto diffuso in Corsica (si chiamava così la madre di Napoleone) in Francia; Inghilterra (Letycie) e in Spagna (Leticia). Leticia è anche il nome di una città e porto della Colombia


ODÍLIA, Santa
(Uma das 1000 Virgens)



Principessa. Amica di Sant'Orsola, ha viaggiato e fu martirizzata con lei

PONZIO DE CLARIANA, beato

  

Entrato nell'Ordine Mercedario fra i cavalieri laici, il Beato Ponzio de Clariana, si rese famoso per molte virtù della vita e imprese.Colmo di meriti terminò i suoi giorni nel convento di Sant'Antonio Abate in Tarragona (Spagna).
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.


RAIMUNDO e GUILHERME DE GRANADA, Beatos





Questi validi mercedari, Beati Raimondo e Guglielmo da Granada, redentori, si offrirono spontaneamente al pericolo esponendo le loro vite senza temere per la difesa dei cristiani. Tuttavia morirono confessori testimoniando la fede cattolica verso l'unico e vero Dio.
L'Ordine lo festeggia il 21 ottobre.


SANCHO DE ARAGÃO, Beato




Quarto figlio del Beato Giacomo I°, Re d’Aragona, il Beato Sancio, nacque nel 1238. Disprezzando la sede regale per cercare di seguire solamente Cristo, entrò nell’Ordine Mercedario ricevendo l’abito dalle mani di San Pietro Nolasco.
Nominato arcivescovo di Toledo fu in seguito preso dai saraceni i quali in odio alla fede in Cristo prima gli troncarono la mano destra che portava l’anello poi lo pugnalarono alla gola.
Glorioso raggiunse in cielo la lunga schiera dei martiri nell’anno 1275.
L’Ordine lo festeggia il 21 ottobre.


ZAIRA, Santa

Le notizie su santa Zaira sono veramente poche, anzi quasi nulle; non è citata nei testi ufficiali della Chiesa, forse lo era in qualche edizione precedente del ‘Martyrologium Romanum’ che dal Cinquecento, quando fu fatta la prima stesura, ha avuto vari aggiornamenti.
Comunque in un catalogo odierno degli onomastici, essa viene citata come martirizzata in Spagna, durante l’occupazione dei Mori e ricordata il 21 ottobre.
Altro sulla figura di questa santa non si sa, ma facendo qualche riflessione possiamo dedurre che deve perlomeno essere esistita.
Il nome deriva dall’arabo Zahirah e significa “la rosa” e ricorre spesso nella letteratura orientale, anche nella forma Zara. In Spagna l’occupazione dei Mori musulmani, che durò dal 711 fino al 1212 per buona parte della Spagna, cadendo completamente solo nel 1492 con la perdita di Granada; provocò una nutrita persecuzione religiosa contro i cristiani preesistenti e le loro Istituzioni, con lo scopo di imporre la religione musulmana, negli stati diventati islamici con la loro dominazione.
E in quel lungo periodo, in varie regioni spagnole, si ebbero molti martiri cristiani, i quali resistettero alle ingiunzioni, difendendo la fede cristiana, che grazie a loro non fu mai soppressa.
In quel periodo di convivenza forzata e di schiavitù dei cristiani, imbarcati e portati nei paesi arabi d’origine degli occupanti, parecchi arabi si convertirono al cristianesimo, cambiando il loro nome arabo in un nome cristiano; cito ad esempio s. Bernardo di Alzira che si chiamava Hamed, s. Maria di Alzira che si chiamava Zaida e s. Grazia di Alzira che si chiamava Zoraide, fratelli, convertiti e diventati monaci poi martiri per mano dei parenti musulmani.
Come si vede in questo esempio, c’è una Zaida e una Zoraide, nomi arabi simili a Zaira, quindi è probabile che se fino a noi è arrivato il nome di una martire Zaira, essa probabilmente deve essere conosciuta anche con altro nome cristiano, che non si riesce ad abbinare, perché probabilmente si tratta di una convertita.
Altra riflessione è che il nome Zaira è stato l’ispiratore di opere letterarie e musicali che ebbero fortuna per tutto l’Ottocento, come la tragedia “Zaire” di François-Marie Voltaire (1694-1778), scritta nel 1763 e l’opera lirica omonima di Vincenzo Bellini (1801-1835).
La tragedia “Zaira” di Voltaire, è considerata la più riuscita opera drammatica del grande autore francese, animato da una sottile polemica contro l’intolleranza religiosa. Il soggetto si rifà al periodo già citato dell’occupazione ed espansione musulmana in Europa, agli schiavi cristiani in Medio Oriente, ai tentativi di riscatto dei prigionieri da parte dei principi cristiani e di Ordini religiosi sorti per questo, come i Mercedari.
È probabile che Voltaire si sia rifatto alla martire Zaira per il suo soggetto, anche se non ambientato proprio in Spagna e con un contorno sociale di fantasia; vale la pena di raccontarne la trama.
Prossima alle nozze con il valoroso Orosmane, soldano (sultano) di Gerusalemme, la bella schiava Zaira (cristiana) scopre d’essere sorella del cavaliere francese Nerestano, giunto in Medio Oriente per riscattare i prigionieri, e figlia del vecchio Lusignano, discendente dei principi cristiani di Gerusalemme, anch’egli tenuto come ostaggio dagli arabi, al quale promette di non tradire la fede cristiana.
Rinvia perciò le nozze, tormentata dal conflitto tra amore e religione, cercando di trovare soluzione al suo dramma, in un colloquio con il fratello.
Ma Orosmane la scopre e sospettando in Nerestano un rivale, travolto dalla gelosia la pugnala; poi resosi conto dell’errore, si uccide a sua volta, dopo aver concesso la libertà a tutti i cristiani prigionieri.Il finale è tipico dei drammi e melodrammi dell’Ottocento, ma l’opera ha avuto il pregio di lanciare e sostenere il nome Zaira, a ricordo di una lontana martire cristiana ad opera dei musulmani.  

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miscelania 003


Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.

Textos recolhidos

In

MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII

e

sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros











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Nº 5 801 - SÉRIE DE 2024 - Nº (277) - SANTOS DE CADA DIA - 2 DE OUTUBRO DE 2024

   Caros Amigos 17º ano com início na edição  Nº 5 469  OBSERVAÇÃO: Hoje inicia-se nova numeração anual Este é, portanto, o 277º  Número da ...