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8º A N O
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Em Hierápolis, na Frígia, hoje na Turquia, Santo ABÉRCIO bispo que, segundo o seu próprio epitáfio, foi discípulo em Cristo Bom Pastor, conduzido pela fé em peregrinação por várias regiões e alimentado pelo místico alimento. (séc. III)
FILIPE e HERMES, Santos
Em Adrianópolis, na Trácia, hoje Edirne, na Turquia, os santos FILIPE bispo de Heracleia e HERMES diácono. O primeiro, durante a perseguição de Diocleciano quando recebeu a ordem de fechar a Igreja e de entregar os vasos e os livros sagrados, respondeu ao prefeito Justino que não podia dar estas coisas nem ele apropriar-se delas; por isso, depois de encarcerado e flagelado foi queimado juntamente com o diácono na fogueira. (303)
MALONO DE RUÃO, Santo
Em Ruão, na Gália Lionense, hoje França, São MALONO bispo que é considerado apóstolo da fé cristã nesta cidade e fundador da sede episcopal. (séc. IV)
VALÉRIO DE BESANÇON, Santo
Em Besançon, na Germânia, hoje França, São VALÉRIO diácono da Igreja de Langres, morto pelos indigenas. (séc, IV)
Em Chalons, na Nêustria, hoje França, São LUPÊNCIO abade da basílica de Saint-Privat-de-Javols que, depois de ter recebido injustamente muitas tribulações da parte de Inocêncio conde da cidade, morreu decapitado. (684)
LEOTÁDIO DE AUCH, Santo
Em Auch, na Aquitânia, França, São LEOTÁDIO bispo. (séc. VII)
MODERANO DE BERCETO, Santo
No mosteiro de Berceto, na Lombardia, Itália, São MODERANO abade anteriormente bispo de Rennes, na Gália, insigne pelo seu amor à solidão e pela sua devioção aos lugares de Santos. (720)
BENTO DE NANTES, Santo
Em Na<ntes, na Bretanha Menor, França, São BENTO que viveu vida eremítica em Macérac. (séc. IX)
NÚNILO e ALÓDIA, Santas
APOLO DE BAWITT, Santo
Basandosi su alcuni menei bizantini e sull'autorità di Massimo Margounios, vescovo di Citera (sec. XVI), i Bollandisti hanno inserito, alla data del 25 gennaio, la vita di Apollo, abate nella Tebaide: questa non è d'altronde che la riproduzione del capitolo LII della Historia Lausiaca come l'aveva pubblicata Rosweyde nel libro VIII delle Vitae Patrum. La si cercherebbe invano nell'edizione di C. Butler; costui in realtà ha visto che questa vita di Apollo era, in una recensione appena differente, un'interpolazione del capitolo VII della Historia Monachorum dell'arcidiacono Timoteo di Alessandria (verso il 400), la cui traduzione latina di Rufino è stata ugualmente pubblicata da Rosweyde come libro II delle Vitae Patrum.
Nuovamente al 22 ottobre i Bollandisti hanno introdotto la vita dei santi Abib e Apollo, monaci in Egitto, senza neanche sollevare il minimo dubbio sulla possibile identità con l'omonimo del 25 gennaio. L'Encomium pubblicato non è altro che la notizia relativa al 25 bãbah (22 ottobre) del sinassario alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig. La traduzione latina è stata fatta sul ms. Vaticano Arabo 62, di cui il cardinal Angelo Mai aveva già riprodotto un'analisi assai dettagliata, e questo stesso manoscritto è uno dei testi di cui si è servito R. Basset per stabilire l'edizione critica del Sinassario Alessandrino.
La notizia del Sinassario Alessandrino riporta, luogo comune agiografico, la nascita quasi miracolosa di Apollo, i cui genitori Amãni di Ahmim e Aysi erano vissuti in una grande santità senza avere avuto, fino alla vecchiaia, la gioia di vedere un figlio venire ad assicurare la loro posterità. Dopo essersi dedicato allo studio delle scienze ecclesiastiche, Apollo, preso dal desiderio della vita monastica, andò, accompagnato dal suo amico Abib in un monastero (il cui nome non ci è rivelato). L'uno e l'altro praticarono la loro nuova vita rivaleggiando in austerità. Abib morì assai presto, e Apollo lasciò il monastero per ritirarsi sulla montagna di Ablug (la cui localizzazione non è identificata) e menarvi vita eremitica. Ma la rinomanza della sua santità si sparse rapidamente, e numerosi furono i discepoli che si raccolsero intorno a lui, docili ai suoi insegnamenti nella pratica delle virtù e meravigliati dai miracoli che Apollo non cessava di operare. Apollo morì molto vecchio.
Il Sinassario fa allusione a una lettera scritta ad Apollo da Macario; questa sarebbe l'unica indicazione che permetta di stabilire, molto vagamente del resto, l'epoca della vita di Apollo
L'autore della Historia Monachorum racconta la visita che egli fece con i suoi compagni ad Apollo: questa volta ci è data una preziosa indicazione topografica: il santo viveva nella Tebaide, nella regione di Hermopolis (oggi Asmunayn), non lontano dal santuario di Dayr Al-Muharrag ove si perpetua il ricordo del passaggio della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto. Se Timoteo si attarda soprattutto a descrivere ciò che vede, introduce nondimeno nella sua narrazione qualche particolare relativo alla vita passata di Apollo. Secondo questo autore, Apollo all'età di 15 anni, si sarebbe ritirato dalla vita del mondo. Egli fa altresì allusione a un fratello molto amato da Apollo, morto prima di questo, ma che era stato solitario come lui. Dobbiamo vedere in questo personaggio l'Abib del Sinassario? In ogni caso non si fa questione qui del doppio stadio: vita monastica e vita eremitica. Dopo quaranta anni, alla chiamata di un angelo, ci riferisce ancora Timoteo, Apollo si sarebbe avvicinato ai luoghi abitati pur continuando la sua vita in una caverna isolata. Ciò accadeva sotto il regno di Giuliano l'Apostata (361-63). La sua riputazione di santità attrasse rapidamente numerosi discepoli intorno a lui, i quali costruirono un immenso monastero: 500 monaci vi stavano al momento della visita di Timoteo.
Il racconto di Timoteo è pieno di informazioni sulla vita dei monaci di questo monastero. Essi dividevano il loro tempo fra la meditazione solitaria e la preghiera in comune, senza disdegnare tuttavia la pratica dei differenti mestieri necessari alla vita di una così grande comunità. Il digiuno del mercoledì e del venerdì, la presenza quotidiana alle funzioni liturgiche durante le quali ci si comunicava, le penitenze esteriori, tutto è orientato verso la vita di unione con Dio, presentata con insistenza da Apollo come il vero fine ricercato. La figura di Apollo è molto attraente: è lui che veglia per far praticare dai suoi monaci questa vita ascetica armoniosamente equilibrata. Animato di un ardente spirito missionario, è anche preoccupato della conversione del popolo ancora pagano che abita i villaggi vicini al monastero. Egli tiene altresì ad essere il pacificatore degli animi dei suoi figli spirituali del pari che il conciliatore dei contadini dei dintorni allorché le querele o le gelosie li opponevano gli uni agli altri.
IL MONASTERO DI BAWIT. Due campagne di scavi organizzate dall'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo, la prima nel 1901-1902 diretta da J. Clédat, la seconda nel 1913 sotto la guida di J. Maspéro, dovevano condurre a conclusioni del più alto interesse per la storia dei monachesimo in Egitto fino sotto l'occupazione araba. Con questi scavi è stata scoperta una serie di tells emergenti sulla riva occidentale dei Nilo, tra le antiche città di Aphroditopolis e di Hermopolis Magna, ad ovest di Dayrut al-Sirif, in prossimità del villaggio moderno di Bãwit. Vennero alla luce le rovine imponenti di un immenso monastero fortificato, forse di un doppio monastero, la cui pianta ha potuto essere ricostituita con precisione. Il materiale epigrafico e iconografico raccolto ha permesso di identificare con certezza questo monastero come quello di Apollo, localizzato già dall'autore dell'Historia Monachorum nella regione di Hermopolis.
Sposa di Giacomo II°, Re di Maiorca (Spagna), la Beata Esclaramunda, fu ricevuta fra le sorelle dell’Ordine Mercedario da San Pietro de Amer nell’anno 1291.
Fu di grande aiuto all’Ordine e lo onorò con le virtù finché ornata di moltissimi doni e favori celesti, da Dio, meritò di ricevere il premio eterno.
L’Ordine la festeggia il 22 ottobre.
JOÃO PAULO II, Santo
Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.
Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.
A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universaledella Chiesa.
Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati 104.
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).
Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.
La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale al 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa.
LÚCIA BARTOLINI RUCELLAI, Beata
I Rucellai erano mercanti che avevano fatto fortuna soprattutto con la tintura delle stoffe. Conservarono gelosamente il segreto -scoperto casualmente, in circostanze quanto mai impensate, per non dire imbarazzanti -per ottenere quel bel colore violetto, detto appunto " oricello ".
A Firenze, i Rucellai erano da generazioni una delle casate più illustri e munifiche della città. Si può dire che un intero quartiere cittadino, quello di Santa Maria Novella fosse sotto il patronato dei Rucellai, il cui stemma ricorreva su molti monumenti, simbolo di fierezza e sinonimo di opulenza. Era infatti formato da una vela, gonfia dal vento della propizia fortuna.
La Beata oggi festeggiata si chiamava, nel secolo, Cammilla, ed era nata nella nobile famiglia dei Bartolini. Adolescente, sposò Rodolfo Rucellai, e andò a vivere nello splendido palazzo albertino dei fortunati tintori.
Sui trent'anni, però, le parole del Savonarola la trassero dalle cure mondane, accendendo in lei i fuochi della più profonda e sofferta spiritualità.
Anche Rodolfo, il marito, fu scosso dalle profetiche orazioni del predicatore, e decise, un po' affrettatamente, di dividersi dalla moglie, che non aveva avuto figli, per vestire, a San Marco, l'abito domenicano.
Cammilla accettò la decisione del marito, pur non condividendone l'opportunità. Divenne terziaria di San Domenico. Dopo pochi mesi, Rodolfo Rucellai, più impulsivo, ma meno forte della moglie, si stancò dello stato religioso e volle tornare al mondo, tentando di convincere la moglie di fare altrettanto. Ma allora fu lei ad opporsi con inaspettata tenacia. La donna infatti, dopo un sofferto travaglio, aveva trovato nel nuovo stato una ricchezza spirituale al confronto della quale tutte le lusinghe del mondo apparivano labili.
Rodolfo mori poco dopo, e Cammilla, suora con il nome di Lucia, restò nel convento delle terziarie domenicane, facendosi promotrice di una nuova fondazione, intitolata a Santa Caterina da Siena.
Dopo la tragica fine del Savonarola, impiccato ed arso come eretico, sulla Piazza della Signoria, nel maggio del 1498, Lucia Bartolini Rucellai fu guida saggia e rigorosa del convento fiorentino di Santa Caterina, in qualità di priora, ottenendo per le sue terziarie, il permesso di emettere tre voti e più tardi quello di vestire l'abito delle suore del secondo Ordine.
Mortificata, penitente, severissima con se stessa, Lucia pregava con tanto fervore che, si diceva, il convento di Santa Caterina appariva coronato di fiamme, nel tempo in cui era in orazione. E appena morì, nel 1520, dopo una malattia serenamente accettata, la sua aureola di Beata venne a impreziosire la gloria della ricchissima famiglia dei Rucellai.
NANCTO ou NUNCTO, Santo
Ci è noto esclusivamente dalla relazione fatta dall'anonimo autore delle Vitas SS. Pairum emeretensium (III) scritte verso il 640. Secondo costui, molti anni prima, ai tempi di re Leovigildo (568-586) era arrivato in Lusitania, proveniente dall'Africa, l'abate Nancto, il quale, dopo qualche tempo, attratto dalla devozione a s. Eulalia, venne ad abitare nella casa-monastero presso la basilica della santa, sotto il governo del diacono Redento.
A questo punto l'agiografo descrive una singolare caratteristica della spiritualità di Nancto: evitava, come avrebbe evitato il morso di una vipera, di guardare le donne e d'essere guardato da loro e a questo scopo si faceva precedere e seguire ovunque da due monaci; per questa ragione supplicò accoratamente il diacono Redento di prendere ogni misura necessaria ad impedire che quando egli fosse andato di notte a pregare s. Eulalia potesse essere visto da qualche donna. C'era però una « nobilissima e santissima vedova » chiamata Eusebia, che aveva chiesto tante volte di poterlo vedere senza giungere ad averne il consenso; riuscì invece a guadagnarsi la complicità di Redento riuscendo a vedere il santo abate di nascosto. Ma non appena lo sguardo della donna si posò su di lui, Nancto diede un grido e cadde prostrato come se fosse stato colpito da una grossa pietra; più tardi disse a Redento: « Iddio ti perdoni, fratello; che cosa hai fatto? ».
Nancto si ritirò, quindi, con alcuni monaci in un luogo deserto, dove si costruì una poverissima dimora, ma la fama delle sue virtù si diffuse rapidamente e venne perfino a conoscenza del re Leovigildo, il quale, benché ariano, si raccomandò alle sue preghiere e gli fece dono di un certo terreno perché da esso potesse ricavare quanto bastava per il vitto e il vestiario necessari a lui e ai suoi fratelli.
Poco tempo dopo, però, gli abitanti di quel luogo, non volendo sottostare al dominio di un signore che giudicavano rozzo e indegno, lo uccisero mentre si trovava solo a pascolare alcune pecore. Gli assassini furono subito presi e condotti davanti al re, ma questi non volle condannarli perché, disse, « se veramente hanno ucciso il servo di Dìo, sarà Dio stesso a punirli ». L'agiografo ne loda la sentenza e finisce il racconto dicendo che gli assassini furono presi dai demoni e, dopo molte sofferenze spirituali e corporali, ebbero una morte crudele.
La narrazione è indubbiamente degna di fede, anche se alcune affermazioni sono caratteristicamente agiografiche. Tenendo conto dell'intervento del re Leovigildo, inspiegabile nel periodo in cui divenne persecutore dei cattolici, la vita di Nancto in Spagna dovette chiudersi prima dell'anno 580.
Il biografo non dice nulla che possa essere interpretato come indizio di culto, né in documenti posteriori appare traccia di esso, come di solito è avvenuto per i vescovi di Mérida, di cui si narrarono poi le Vitae; il primo ad annoverare Nancto tra i santi martiri, fu Tamayo de Salazar, assegnandogli la data del 22 ott., e, dopo di lui, è da tutti, anche dal Flórez, accettato come tale.
Per quanto riguarda il titolo di martire bisogna tener presente, come nota il bollandista B. Bossue, che anticamente erano pure venerati come martiri coloro che « piamente avevano ricevuto una immeritata morte violenta ».
SIMMACO DE CÁPUA, Santo
Approfonditi studi storici e cronologici, hanno accertato, tramite i vari studiosi della storia capuana, che san Simmaco fu vescovo dell’antica città di Capua nel 430 e morto nel 449 ca.
Va fatta una premessa storica, quando si parla dell’antica città di Capua, ci si riferisce alla grande e famosa città fondata nel VI secolo a.C. dagli Etruschi, poi dominata dai Sanniti e che assimilò la cultura etrusca, greca ed ellenistica.
Nel 343 a.C. era considerata, secondo Livio, la più grande e ricca città d’Italia; nel 338 entrò nell’orbita politica di Roma, con un’alternanza di alleanze, distacchi, scontri, concordati, distruzione, riedificazione e colonizzazione, fino al 456 d.C., quando fu devastata da Genserico re dei Vandali, risorta floridamente nell’VIII secolo, fu di nuovo distrutta dai Saraceni nell’840.
Pertanto i profughi superstiti, nell’856 fondarono la nuova Capua in un luogo più sicuro, in un’ansa del fiume Volturno, e fu l’origine dell’attuale città di Capua.
Sul posto dell’antica città, rimase solo la chiesa di S. Maria Maggiore, il Duomo attuale, attorno alla quale man mano si formò un modesto abitato, che dopo il 1315 prese il nome di Villa Sanctae Mariae Maioris, che divenne frazione di Capua fino al 1806 e divendando poi Comune autonomo col nome di Santa Maria Capua Vetere, i cui abitanti oggi sono il doppio di quelli della Capua attuale.
Quindi s. Simmaco fu vescovo dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere e non dell’attuale Capua distante 35 km, ambedue oggi in provincia di Caserta.
Il vescovo san Simmaco, fu il fondatore della Basilica di S. Maria Maggiore o S, Maria Suricorum, sopravvissuta poi alla distruzione dei Saraceni e diventata il nucleo iniziale della nuova città, la futura Santa Maria Capua Vetere, divenendone la Cattedrale.
La basilica va messa in rapporto con quella eretta a Roma da papa Sisto III e con il Concilio di Efeso del 431, che proclamò la divina maternità di Maria.
L’abside era adorna di un mosaico, andato completamente distrutto nel 1754, che rappresentava la Vergine col Bambino e nella sottostante fascia decorativa, recava l’iscrizione: “Sanctae Mariae Symmachus Episcopus”.
L’esistenza del vescovo Simmaco, è attestata nella lettera “De obitu Paulini” del prete Uranio, che narra la visita dei vescovi Simmaco e Acindino, accorsi nel giugno 431 a far visita al morente vescovo della vicina Nola, san Paolino, morto poi tre giorni dopo.
Simmaco sarebbe morto nel 449, dopo 19 anni di episcopato a Capua e il suo culto si mantenne vivo fino al XIV secolo, quando ebbe un forte incremento.
Dal 1313 comparvero i primi calendari che portano inserito il suo nome, ed erano inoltre presenti nel territorio capuano, varie chiese a lui intitolate, anche nelle forme popolari, Simo, Simmio, Simbrico.
Patrono di Santa Maria Capua Vetere, san Simmaco vescovo è festeggiato il 22 ottobre.
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Desde o dia 1 de Janeiro que venho colocando aqui os meus Votos de um Bom Ano de 2016.
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
UM BOM resto do ANO DE 2016
Nº 2915- (296 - 2016)
22 DE OUTUBRO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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MARCOS DE JERUSALÉM, Santo
Em Comemoração de São MARCOS bispo de Jerusalém que foi o primeiro bispo procedente dos gentios a ocupar a sede da Igreja da Cidade Santa e, com fé e sabedoria conseguiu reunir os seus fiéis dispersos pela guerra. (séc. II)
ABÉRCIO DE HIERÁPOLIS, Santo
Em Hierápolis, na Frígia, hoje na Turquia, Santo ABÉRCIO bispo que, segundo o seu próprio epitáfio, foi discípulo em Cristo Bom Pastor, conduzido pela fé em peregrinação por várias regiões e alimentado pelo místico alimento. (séc. III)
FILIPE e HERMES, Santos
Em Adrianópolis, na Trácia, hoje Edirne, na Turquia, os santos FILIPE bispo de Heracleia e HERMES diácono. O primeiro, durante a perseguição de Diocleciano quando recebeu a ordem de fechar a Igreja e de entregar os vasos e os livros sagrados, respondeu ao prefeito Justino que não podia dar estas coisas nem ele apropriar-se delas; por isso, depois de encarcerado e flagelado foi queimado juntamente com o diácono na fogueira. (303)
MALONO DE RUÃO, Santo
Em Ruão, na Gália Lionense, hoje França, São MALONO bispo que é considerado apóstolo da fé cristã nesta cidade e fundador da sede episcopal. (séc. IV)
VALÉRIO DE BESANÇON, Santo
Em Besançon, na Germânia, hoje França, São VALÉRIO diácono da Igreja de Langres, morto pelos indigenas. (séc, IV)
LUPÊNCIO DE CHALONS, Santo
Em Chalons, na Nêustria, hoje França, São LUPÊNCIO abade da basílica de Saint-Privat-de-Javols que, depois de ter recebido injustamente muitas tribulações da parte de Inocêncio conde da cidade, morreu decapitado. (684)
LEOTÁDIO DE AUCH, Santo
Em Auch, na Aquitânia, França, São LEOTÁDIO bispo. (séc. VII)
MODERANO DE BERCETO, Santo
No mosteiro de Berceto, na Lombardia, Itália, São MODERANO abade anteriormente bispo de Rennes, na Gália, insigne pelo seu amor à solidão e pela sua devioção aos lugares de Santos. (720)
BENTO DE NANTES, Santo
Em Na<ntes, na Bretanha Menor, França, São BENTO que viveu vida eremítica em Macérac. (séc. IX)
NÚNILO e ALÓDIA, Santas
Em Huesca cidade de Aragão, Espanha, as santas NUNILO e ALÓDIA virgens e mártires que nascidas de pai muçulmano mas educadas por sua mãe na doutrina cristã, se recusaram a abandonar a fé em Cristo e por isso, depois de longo cativeiro foram degoladas por ordem do rei de Córdova, "Abd ar-Rahman II". (851
DONATO ESCOTO (de Fièsole), Santo
Em Fièsole, na Etrúria, hoje Toscana, Itália, São DONATO ESCOTO bispo, insigne pela sua erudição e piedade que, vindo da Irlanda em peregrinação a Roma, foi eleito bispo daquela cidade. (875)
GERMANO CABALLERO ATIENZA,
JOSÉ MENÉNDEZ GARCIA e
VITORIANO IBAÑES ALONSO, Beatos
Em Montes de Saja, na Cantábrica, Espanha, os beatos mártires GERMANO CABALLERO ATIENZA e JOSÉ MENÉNDEZ GARCIA presbiteros e VITORIANO IBAÑES ALONSO religioso, todos da Ordem dos Pregadores. (1936)
LUÍS MARIA DE NOSSA SENHORA DAS MERCÊS (Luís Minguell Ferrer), Beato
Em Barcelona, Espanha, o Beato LUÍS MARIA DE NOSSA SENHORA DAS MERCÊS (Luís Minguell Ferrer) presbitero dos carmelitas Descalços e mártir. (1936)
DONATO ESCOTO (de Fièsole), Santo
Em Fièsole, na Etrúria, hoje Toscana, Itália, São DONATO ESCOTO bispo, insigne pela sua erudição e piedade que, vindo da Irlanda em peregrinação a Roma, foi eleito bispo daquela cidade. (875)
GERMANO CABALLERO ATIENZA,
JOSÉ MENÉNDEZ GARCIA e
VITORIANO IBAÑES ALONSO, Beatos
Em Montes de Saja, na Cantábrica, Espanha, os beatos mártires GERMANO CABALLERO ATIENZA e JOSÉ MENÉNDEZ GARCIA presbiteros e VITORIANO IBAÑES ALONSO religioso, todos da Ordem dos Pregadores. (1936)
LUÍS MARIA DE NOSSA SENHORA DAS MERCÊS (Luís Minguell Ferrer), Beato
Em Barcelona, Espanha, o Beato LUÍS MARIA DE NOSSA SENHORA DAS MERCÊS (Luís Minguell Ferrer) presbitero dos carmelitas Descalços e mártir. (1936)
... E AINDA ...
APOLO DE BAWITT, Santo
Basandosi su alcuni menei bizantini e sull'autorità di Massimo Margounios, vescovo di Citera (sec. XVI), i Bollandisti hanno inserito, alla data del 25 gennaio, la vita di Apollo, abate nella Tebaide: questa non è d'altronde che la riproduzione del capitolo LII della Historia Lausiaca come l'aveva pubblicata Rosweyde nel libro VIII delle Vitae Patrum. La si cercherebbe invano nell'edizione di C. Butler; costui in realtà ha visto che questa vita di Apollo era, in una recensione appena differente, un'interpolazione del capitolo VII della Historia Monachorum dell'arcidiacono Timoteo di Alessandria (verso il 400), la cui traduzione latina di Rufino è stata ugualmente pubblicata da Rosweyde come libro II delle Vitae Patrum.
Nuovamente al 22 ottobre i Bollandisti hanno introdotto la vita dei santi Abib e Apollo, monaci in Egitto, senza neanche sollevare il minimo dubbio sulla possibile identità con l'omonimo del 25 gennaio. L'Encomium pubblicato non è altro che la notizia relativa al 25 bãbah (22 ottobre) del sinassario alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig. La traduzione latina è stata fatta sul ms. Vaticano Arabo 62, di cui il cardinal Angelo Mai aveva già riprodotto un'analisi assai dettagliata, e questo stesso manoscritto è uno dei testi di cui si è servito R. Basset per stabilire l'edizione critica del Sinassario Alessandrino.
La notizia del Sinassario Alessandrino riporta, luogo comune agiografico, la nascita quasi miracolosa di Apollo, i cui genitori Amãni di Ahmim e Aysi erano vissuti in una grande santità senza avere avuto, fino alla vecchiaia, la gioia di vedere un figlio venire ad assicurare la loro posterità. Dopo essersi dedicato allo studio delle scienze ecclesiastiche, Apollo, preso dal desiderio della vita monastica, andò, accompagnato dal suo amico Abib in un monastero (il cui nome non ci è rivelato). L'uno e l'altro praticarono la loro nuova vita rivaleggiando in austerità. Abib morì assai presto, e Apollo lasciò il monastero per ritirarsi sulla montagna di Ablug (la cui localizzazione non è identificata) e menarvi vita eremitica. Ma la rinomanza della sua santità si sparse rapidamente, e numerosi furono i discepoli che si raccolsero intorno a lui, docili ai suoi insegnamenti nella pratica delle virtù e meravigliati dai miracoli che Apollo non cessava di operare. Apollo morì molto vecchio.
Il Sinassario fa allusione a una lettera scritta ad Apollo da Macario; questa sarebbe l'unica indicazione che permetta di stabilire, molto vagamente del resto, l'epoca della vita di Apollo
L'autore della Historia Monachorum racconta la visita che egli fece con i suoi compagni ad Apollo: questa volta ci è data una preziosa indicazione topografica: il santo viveva nella Tebaide, nella regione di Hermopolis (oggi Asmunayn), non lontano dal santuario di Dayr Al-Muharrag ove si perpetua il ricordo del passaggio della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto. Se Timoteo si attarda soprattutto a descrivere ciò che vede, introduce nondimeno nella sua narrazione qualche particolare relativo alla vita passata di Apollo. Secondo questo autore, Apollo all'età di 15 anni, si sarebbe ritirato dalla vita del mondo. Egli fa altresì allusione a un fratello molto amato da Apollo, morto prima di questo, ma che era stato solitario come lui. Dobbiamo vedere in questo personaggio l'Abib del Sinassario? In ogni caso non si fa questione qui del doppio stadio: vita monastica e vita eremitica. Dopo quaranta anni, alla chiamata di un angelo, ci riferisce ancora Timoteo, Apollo si sarebbe avvicinato ai luoghi abitati pur continuando la sua vita in una caverna isolata. Ciò accadeva sotto il regno di Giuliano l'Apostata (361-63). La sua riputazione di santità attrasse rapidamente numerosi discepoli intorno a lui, i quali costruirono un immenso monastero: 500 monaci vi stavano al momento della visita di Timoteo.
Il racconto di Timoteo è pieno di informazioni sulla vita dei monaci di questo monastero. Essi dividevano il loro tempo fra la meditazione solitaria e la preghiera in comune, senza disdegnare tuttavia la pratica dei differenti mestieri necessari alla vita di una così grande comunità. Il digiuno del mercoledì e del venerdì, la presenza quotidiana alle funzioni liturgiche durante le quali ci si comunicava, le penitenze esteriori, tutto è orientato verso la vita di unione con Dio, presentata con insistenza da Apollo come il vero fine ricercato. La figura di Apollo è molto attraente: è lui che veglia per far praticare dai suoi monaci questa vita ascetica armoniosamente equilibrata. Animato di un ardente spirito missionario, è anche preoccupato della conversione del popolo ancora pagano che abita i villaggi vicini al monastero. Egli tiene altresì ad essere il pacificatore degli animi dei suoi figli spirituali del pari che il conciliatore dei contadini dei dintorni allorché le querele o le gelosie li opponevano gli uni agli altri.
IL MONASTERO DI BAWIT. Due campagne di scavi organizzate dall'Istituto Francese di Archeologia Orientale del Cairo, la prima nel 1901-1902 diretta da J. Clédat, la seconda nel 1913 sotto la guida di J. Maspéro, dovevano condurre a conclusioni del più alto interesse per la storia dei monachesimo in Egitto fino sotto l'occupazione araba. Con questi scavi è stata scoperta una serie di tells emergenti sulla riva occidentale dei Nilo, tra le antiche città di Aphroditopolis e di Hermopolis Magna, ad ovest di Dayrut al-Sirif, in prossimità del villaggio moderno di Bãwit. Vennero alla luce le rovine imponenti di un immenso monastero fortificato, forse di un doppio monastero, la cui pianta ha potuto essere ricostituita con precisione. Il materiale epigrafico e iconografico raccolto ha permesso di identificare con certezza questo monastero come quello di Apollo, localizzato già dall'autore dell'Historia Monachorum nella regione di Hermopolis.
BERTÁRIO DE MONTECASSINO, Santo
Di nobile origine e probabilmente di stirpe longobarda, ancora giovane si recò in pellegrinaggio a Montecassino al tempo dell’abate Bassacio e qui, colpito dalla vita austera e orante dei monaci, volle rimanere come monaco. La scelta fece di lui un ‘uomo completo’ dedito alla preghiera e al lavoro, nel suo caso intellettuale, vissuti in gioia e serenità secondo la Regola di s. Benedetto. Nell’856 successe a Bassacio di cui era stato discepolo ed imitatore fedele, specie nel coltivare gli studi, divenendo così il 19° successore del santo fondatore, patriarca del monachesimo occidentale. Il suo governo abbaziale avvenne in un periodo oltremodo critico a causa delle incursioni dei saraceni, che già da una decina d’anni, imperversavano sulle coste e all’interno dell’Italia Meridionale; nell’846 avevano già distrutto il monastero di s. Maria in Cingla, nei pressi di Alife, dipendente da Montecassino, provenienti da Benevento. Ma essi avevano raggiunto nelle vicinanze anche l’abbazia, provenienti dall’altro lato cioè dalle vicinanze di Roma, dopo essere giunti via mare da Palermo e dopo che per la via Appia si erano spinti nella valle del Liri, mettendo a sacco Fondi e Gaeta, da lì si spinsero a saccheggiare i monasteri di S. Andrea e S. Apollinare, tutto ciò avveniva con Bassacio abate; poi con l’aiuto divino e con l’apparire nelle acque di Gaeta della flotta napoletana, essi furono costretti per quella volta a ritornare in Africa. Bassacio e l’abate di S. Vincenzo al Volturno, Giacomo chiesero a più riprese l’intervento dell’imperatore Lotario, ma solo nell’852 arrivò nell’Italia Meridionale Ludovico II, figlio di Lotario, ma questi quasi subito se ne ripartì per l’ostilità trovata dai longobardi di Capua e dai principi feudatari. Allora Bertario fece per prima cosa fortificare l’abbazia munendola di muraglioni e torri e quando poi fra l’856 e l’873, Ludovico II condusse varie spedizioni contro i saraceni, egli l’accolse più volte, insieme all’imperatrice Engelberga, favorendo in ogni modo la sua impresa e adoperandosi affinché i principi del meridione si alleassero in una Lega; nel portare avanti quest’opera di mediazione, venne a trovarsi in contrasto politico con il papa Giovanni VIII, il quale però poco prima della sua morte, gli rilasciò un ampio diploma di esenzione e privilegi che costituirono l’organizzazione del patrimonio del monastero a cui Bertario si era anche dedicato. Bonificò la vallata sottostante, fondando la città che chiamò Eulogimenopoli (cioè città di s. Benedetto) poi chiamata S. Germano, l’odierna Cassino. Promosse gli studi sacri e profani scrivendo egli stesso testi di grammatica, di medicina, di prosa e versi, in parte giunti fino a noi. Abbellì la chiesa abbaziale con preziosi arredi sacri e fondò a Teano un monastero femminile; ebbe autonomia decisionale non dipendente dalla giurisdizione del vescovo locale; ma tanto fervore di opere e di intenti non ebbero fortuna, perché ripartito Ludovico II nell’873, i saraceni ripresero a fare scorrerie nelle campagne e cittadine sia della Campania che del Lazio, nell’882 una di queste bande annidata nell’Appennino sannitico, distrusse l’abbazia di S. Vincenzo al Volturno, facendo strage di monaci e il 4 settembre 883 presero di sorpresa anche l’abbazia di Montecassino devastandola. Bertario ed i monaci scampati al massacro, si rifugiarono nella città ai piedi del monte, nel monastero di S. Salvatore; alcune settimane dopo i saraceni ritornarono e mentre la maggioranza dei monaci sotto la guida di Angelario priore del monastero, si rifugiavano a Teano, Bertario e un gruppo di religiosi furono ammazzati davanti all’altare, era il 22 ottobre dell’883. Il corpo dell’abate martire fu in seguito trasportato a Montecassino e nel 1486 trasferito nella chiesa abbaziale, davanti alle tombe di s. Benedetto e santa Scolastica; nel 1514 gli venne dedicata una cappella in suo onore con il corpo sotto l’altare. Svariati artisti l’hanno raffigurato durante i secoli, su tele che poi sfortunatamente sono andate perse nell’ultima distruzione dell’abbazia avvenuta nella II Guerra Mondiale. Culto confermato da papa Benedetto XIII il 26 agosto 1727, festa il 22 ottobre. |
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ESCLARAMUNDA, Santa
Sposa di Giacomo II°, Re di Maiorca (Spagna), la Beata Esclaramunda, fu ricevuta fra le sorelle dell’Ordine Mercedario da San Pietro de Amer nell’anno 1291.
Fu di grande aiuto all’Ordine e lo onorò con le virtù finché ornata di moltissimi doni e favori celesti, da Dio, meritò di ricevere il premio eterno.
L’Ordine la festeggia il 22 ottobre.
JOÃO PAULO II, Santo
Karol Józef Wojtyła, eletto Papa il 16 ottobre 1978, nacque a Wadowice, città a 50 km da Cracovia, il 18 maggio 1920.
Era il secondo dei due figli di Karol Wojtyła e di Emilia Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932 e suo padre, sottufficiale dell’esercito, nel 1941.
A nove anni ricevette la Prima Comunione e a diciotto anni il sacramento della Cresima. Terminati gli studi nella scuola superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 si iscrisse all’Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay per potersi guadagnare da vivere ed evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo di Cracovia, il Cardinale Adam Stefan Sapieha. Nel contempo, fu uno dei promotori del "Teatro Rapsodico", anch’esso clandestino.
Dopo la guerra, continuò i suoi studi nel seminario maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella Facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale a Cracovia il 1 novembre 1946. Successivamente, fu inviato dal Cardinale Sapieha a Roma, dove conseguì il dottorato in teologia (1948), con una tesi sul tema della fede nelle opere di San Giovanni della Croce. In quel periodo, durante le sue vacanze, esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio e Olanda.
Nel 1948 ritornò in Polonia e fu coadiutore dapprima nella parrocchia di Niegowić, vicino a Cracovia, e poi in quella di San Floriano, in città. Fu cappellano degli universitari fino al 1951, quando riprese i suoi studi filosofici e teologici. Nel 1953 presentò all’Università cattolica di Lublino una tesi sulla possibilità di fondare un’etica cristiana a partire dal sistema etico di Max Scheler. Più tardi, divenne professore di Teologia Morale ed Etica nel seminario maggiore di Cracovia e nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII lo nominò Vescovo titolare di Ombi e Ausiliare di Cracovia. Ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale del Wawel (Cracovia), dalle mani dell’Arcivescovo Eugeniusz Baziak.
Il 13 gennaio 1964 fu nominato Arcivescovo di Cracovia da Paolo VI che lo creò Cardinale il 26 giugno 1967.
Partecipò al Concilio Vaticano II (1962-65) con un contributo importante nell’elaborazione della costituzione Gaudium et spes. Il Cardinale Wojtyła prese parte anche alle 5 assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Viene eletto Papa il 16 ottobre 1978 e il 22 ottobre segue l'inizio solenne del Suo ministero di Pastore Universaledella Chiesa.
Dall’inizio del suo Pontificato, Papa Giovanni Paolo II ha compiuto 146 visite pastorali in Italia e, come Vescovo di Roma, ha visitato 317 delle attuali 332 parrocchie romane. I viaggi apostolici nel mondo - espressione della costante sollecitudine pastorale del Successore di Pietro per tutte le Chiese - sono stati 104.
Tra i suoi documenti principali si annoverano 14 Encicliche, 15 Esorta-zioni apostoliche, 11 Costituzioni apostoliche e 45 Lettere apostoliche. A Papa Giovanni Paolo II si ascrivono anche 5 libri: "Varcare la soglia della speranza" (ottobre 1994); "Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio" (novembre 1996); "Trittico romano", meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); "Alzatevi, andiamo!" (maggio 2004) e "Memoria e Identità" (febbraio 2005).
Papa Giovanni Paolo II ha celebrato 147 cerimonie di beatificazione - nelle quali ha proclamato 1338 beati - e 51 canonizzazioni, per un totale di 482 santi. Ha tenuto 9 concistori, in cui ha creato 231 (+ 1 in pectore) Cardinali. Ha presieduto anche 6 riunioni plenarie del Collegio Cardinalizio.
Dal 1978 ha convocato 15 assemblee del Sinodo dei Vescovi: 6 generali ordinarie (1980, 1983, 1987, 1990; 1994 e 2001), 1 assemblea generale straordinaria (1985) e 8 assemblee speciali (1980, 1991, 1994, 1995, 1997, 1998 [2] e 1999).
Nessun Papa ha incontrato tante persone come Giovanni Paolo II: alle Udienze Generali del mercoledì (oltre 1160) hanno partecipato più di 17 milioni e 600mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo; numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con Capi di Stato, come pure le 246 udienze e incontri con Primi Ministri.
Muore a Roma, nel suo alloggio nella Città del Vaticano, alle ore 21.37 di sabato 2 aprile 2005. I solenni funerali in Piazza San Pietro e la sepoltura nelle Grotte Vaticane seguono l'8 aprile.
La festa liturgica è iscritta nel Calendario Romano generale al 22 ottobre, con il grado di memoria facoltativa.
LÚCIA BARTOLINI RUCELLAI, Beata
I Rucellai erano mercanti che avevano fatto fortuna soprattutto con la tintura delle stoffe. Conservarono gelosamente il segreto -scoperto casualmente, in circostanze quanto mai impensate, per non dire imbarazzanti -per ottenere quel bel colore violetto, detto appunto " oricello ".
A Firenze, i Rucellai erano da generazioni una delle casate più illustri e munifiche della città. Si può dire che un intero quartiere cittadino, quello di Santa Maria Novella fosse sotto il patronato dei Rucellai, il cui stemma ricorreva su molti monumenti, simbolo di fierezza e sinonimo di opulenza. Era infatti formato da una vela, gonfia dal vento della propizia fortuna.
La Beata oggi festeggiata si chiamava, nel secolo, Cammilla, ed era nata nella nobile famiglia dei Bartolini. Adolescente, sposò Rodolfo Rucellai, e andò a vivere nello splendido palazzo albertino dei fortunati tintori.
Sui trent'anni, però, le parole del Savonarola la trassero dalle cure mondane, accendendo in lei i fuochi della più profonda e sofferta spiritualità.
Anche Rodolfo, il marito, fu scosso dalle profetiche orazioni del predicatore, e decise, un po' affrettatamente, di dividersi dalla moglie, che non aveva avuto figli, per vestire, a San Marco, l'abito domenicano.
Cammilla accettò la decisione del marito, pur non condividendone l'opportunità. Divenne terziaria di San Domenico. Dopo pochi mesi, Rodolfo Rucellai, più impulsivo, ma meno forte della moglie, si stancò dello stato religioso e volle tornare al mondo, tentando di convincere la moglie di fare altrettanto. Ma allora fu lei ad opporsi con inaspettata tenacia. La donna infatti, dopo un sofferto travaglio, aveva trovato nel nuovo stato una ricchezza spirituale al confronto della quale tutte le lusinghe del mondo apparivano labili.
Rodolfo mori poco dopo, e Cammilla, suora con il nome di Lucia, restò nel convento delle terziarie domenicane, facendosi promotrice di una nuova fondazione, intitolata a Santa Caterina da Siena.
Dopo la tragica fine del Savonarola, impiccato ed arso come eretico, sulla Piazza della Signoria, nel maggio del 1498, Lucia Bartolini Rucellai fu guida saggia e rigorosa del convento fiorentino di Santa Caterina, in qualità di priora, ottenendo per le sue terziarie, il permesso di emettere tre voti e più tardi quello di vestire l'abito delle suore del secondo Ordine.
Mortificata, penitente, severissima con se stessa, Lucia pregava con tanto fervore che, si diceva, il convento di Santa Caterina appariva coronato di fiamme, nel tempo in cui era in orazione. E appena morì, nel 1520, dopo una malattia serenamente accettata, la sua aureola di Beata venne a impreziosire la gloria della ricchissima famiglia dei Rucellai.
NANCTO ou NUNCTO, Santo
Ci è noto esclusivamente dalla relazione fatta dall'anonimo autore delle Vitas SS. Pairum emeretensium (III) scritte verso il 640. Secondo costui, molti anni prima, ai tempi di re Leovigildo (568-586) era arrivato in Lusitania, proveniente dall'Africa, l'abate Nancto, il quale, dopo qualche tempo, attratto dalla devozione a s. Eulalia, venne ad abitare nella casa-monastero presso la basilica della santa, sotto il governo del diacono Redento.
A questo punto l'agiografo descrive una singolare caratteristica della spiritualità di Nancto: evitava, come avrebbe evitato il morso di una vipera, di guardare le donne e d'essere guardato da loro e a questo scopo si faceva precedere e seguire ovunque da due monaci; per questa ragione supplicò accoratamente il diacono Redento di prendere ogni misura necessaria ad impedire che quando egli fosse andato di notte a pregare s. Eulalia potesse essere visto da qualche donna. C'era però una « nobilissima e santissima vedova » chiamata Eusebia, che aveva chiesto tante volte di poterlo vedere senza giungere ad averne il consenso; riuscì invece a guadagnarsi la complicità di Redento riuscendo a vedere il santo abate di nascosto. Ma non appena lo sguardo della donna si posò su di lui, Nancto diede un grido e cadde prostrato come se fosse stato colpito da una grossa pietra; più tardi disse a Redento: « Iddio ti perdoni, fratello; che cosa hai fatto? ».
Nancto si ritirò, quindi, con alcuni monaci in un luogo deserto, dove si costruì una poverissima dimora, ma la fama delle sue virtù si diffuse rapidamente e venne perfino a conoscenza del re Leovigildo, il quale, benché ariano, si raccomandò alle sue preghiere e gli fece dono di un certo terreno perché da esso potesse ricavare quanto bastava per il vitto e il vestiario necessari a lui e ai suoi fratelli.
Poco tempo dopo, però, gli abitanti di quel luogo, non volendo sottostare al dominio di un signore che giudicavano rozzo e indegno, lo uccisero mentre si trovava solo a pascolare alcune pecore. Gli assassini furono subito presi e condotti davanti al re, ma questi non volle condannarli perché, disse, « se veramente hanno ucciso il servo di Dìo, sarà Dio stesso a punirli ». L'agiografo ne loda la sentenza e finisce il racconto dicendo che gli assassini furono presi dai demoni e, dopo molte sofferenze spirituali e corporali, ebbero una morte crudele.
La narrazione è indubbiamente degna di fede, anche se alcune affermazioni sono caratteristicamente agiografiche. Tenendo conto dell'intervento del re Leovigildo, inspiegabile nel periodo in cui divenne persecutore dei cattolici, la vita di Nancto in Spagna dovette chiudersi prima dell'anno 580.
Il biografo non dice nulla che possa essere interpretato come indizio di culto, né in documenti posteriori appare traccia di esso, come di solito è avvenuto per i vescovi di Mérida, di cui si narrarono poi le Vitae; il primo ad annoverare Nancto tra i santi martiri, fu Tamayo de Salazar, assegnandogli la data del 22 ott., e, dopo di lui, è da tutti, anche dal Flórez, accettato come tale.
Per quanto riguarda il titolo di martire bisogna tener presente, come nota il bollandista B. Bossue, che anticamente erano pure venerati come martiri coloro che « piamente avevano ricevuto una immeritata morte violenta ».
SIMMACO DE CÁPUA, Santo
Approfonditi studi storici e cronologici, hanno accertato, tramite i vari studiosi della storia capuana, che san Simmaco fu vescovo dell’antica città di Capua nel 430 e morto nel 449 ca.
Va fatta una premessa storica, quando si parla dell’antica città di Capua, ci si riferisce alla grande e famosa città fondata nel VI secolo a.C. dagli Etruschi, poi dominata dai Sanniti e che assimilò la cultura etrusca, greca ed ellenistica.
Nel 343 a.C. era considerata, secondo Livio, la più grande e ricca città d’Italia; nel 338 entrò nell’orbita politica di Roma, con un’alternanza di alleanze, distacchi, scontri, concordati, distruzione, riedificazione e colonizzazione, fino al 456 d.C., quando fu devastata da Genserico re dei Vandali, risorta floridamente nell’VIII secolo, fu di nuovo distrutta dai Saraceni nell’840.
Pertanto i profughi superstiti, nell’856 fondarono la nuova Capua in un luogo più sicuro, in un’ansa del fiume Volturno, e fu l’origine dell’attuale città di Capua.
Sul posto dell’antica città, rimase solo la chiesa di S. Maria Maggiore, il Duomo attuale, attorno alla quale man mano si formò un modesto abitato, che dopo il 1315 prese il nome di Villa Sanctae Mariae Maioris, che divenne frazione di Capua fino al 1806 e divendando poi Comune autonomo col nome di Santa Maria Capua Vetere, i cui abitanti oggi sono il doppio di quelli della Capua attuale.
Quindi s. Simmaco fu vescovo dell’antica Capua, oggi Santa Maria Capua Vetere e non dell’attuale Capua distante 35 km, ambedue oggi in provincia di Caserta.
Il vescovo san Simmaco, fu il fondatore della Basilica di S. Maria Maggiore o S, Maria Suricorum, sopravvissuta poi alla distruzione dei Saraceni e diventata il nucleo iniziale della nuova città, la futura Santa Maria Capua Vetere, divenendone la Cattedrale.
La basilica va messa in rapporto con quella eretta a Roma da papa Sisto III e con il Concilio di Efeso del 431, che proclamò la divina maternità di Maria.
L’abside era adorna di un mosaico, andato completamente distrutto nel 1754, che rappresentava la Vergine col Bambino e nella sottostante fascia decorativa, recava l’iscrizione: “Sanctae Mariae Symmachus Episcopus”.
L’esistenza del vescovo Simmaco, è attestata nella lettera “De obitu Paulini” del prete Uranio, che narra la visita dei vescovi Simmaco e Acindino, accorsi nel giugno 431 a far visita al morente vescovo della vicina Nola, san Paolino, morto poi tre giorni dopo.
Simmaco sarebbe morto nel 449, dopo 19 anni di episcopato a Capua e il suo culto si mantenne vivo fino al XIV secolo, quando ebbe un forte incremento.
Dal 1313 comparvero i primi calendari che portano inserito il suo nome, ed erano inoltre presenti nel territorio capuano, varie chiese a lui intitolate, anche nelle forme popolari, Simo, Simmio, Simbrico.
Patrono di Santa Maria Capua Vetere, san Simmaco vescovo è festeggiato il 22 ottobre.
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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
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MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
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