Caros Amigos:
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8º A N O
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Em Cartago, hoje na Tunísia, São FELICIANO mártir. (séc. III).
NARCISO DE JERUSALÉM, Santo
Comemoração de São NARCISO bispo de Jerusalém, digno de louvor pela sua santidade, paciência e fé, que, em pleno acordo com o papa São VÍTOR acerca da data da celebração da Páscoa cristã, afirmou que o mistério da ressurreição do Senhor não podia celebrar-se senão no domingo. Aos 116 anos de idade descansou piedosamente no Senhor.
HONORATO DE VERCELAS, Santo
Em Vercelas, na Ligúria, hoje no Piemonte, Itália, Santo HONORATO bispo, que foi discípulo de Santo EUSÉBIO no mosteiro, seu companheiro no cárcere e sucessor nesta sede episcopal, a qual instruiu segundo a doutrina verdadeira, e teve o privilégio de administrar o viático a Santo AMBRÓSIO na hora da morte. (séc. IV)
ZENÓBIO DE SIDÓNIA, Santo
Em Sidónia, Fenícia, no actual Líbano, São ZENÓBIO presbitero que, durante a terrível perseguição do imperador Diocleciano, exortando os outros ao martírio, também ele com o martírio foi coroado. (séc. IV)
ABRAÃO DE EDESSA, Santo
Em Edessa, cidade do Osroene, hoje na Turquia, Santo ABRAÃO anacoreta cuja vida foi escrita por Santo EFRÉM diácono. (366)
TEODÁRIO DE VIENNE, Santo
No território de Vienne, na Gália, hoje França, São TEODÁRIO abade que, sendo discípulo de Santo EUSÉBIO DE ARLES, construiu celas para os monges e foi designado pelo bispo intercessor diante de Deus e presbitero penitenciário para todo o povo da cidade. (575)
COLMANO DE KILMACDUAG, Santo
Em Galway, na Irlanda, São COLMANO bispo. (632)
DODÃO DE MOUSTIERS-EN-FAGNE, Santo
Em Moustiers-en-Fagne, próximo de Cambrai, na Nêustria hoje França, São DODÃO abade que, presidindo ao mosteiro de Wallers, preferiu a vida eremítica. (séc,VIII)
CAETANO ERRICO, Santo
Em Secondigliano, Nápoles, Itália, São CAETANO ERRICO presbitero que fomentou com empenho os retiros espirituais e a contemplação da Eucaristia, como instrumentos de ganhar almas para Cristo, e com essa finalidade fundou a Congregação dos Missionários dos Sagrados Corações de jesus e Maria. (1860)
ANASTÁSIA A ROMANA, Santa
Amico del Beato Giacomo 1°, Re d'Aragona, il Beato Bernardo de Olivella, mercedario di Tarragona (Spagna), venne eletto arcivescovo della stessa città. Fu presente al funerale dell'amico Re morto nell'anno 1276; lui stesso poi cinse con la corona regale nella chiesa cattedrale di Valenza e consacrò Re il nuovo sovrano Pietro. Finché pieno di meriti morì nella pace del Signore nell'anno 1287 nella sua sede di Tarragona.
L'Ordine lo festeggia il 29 ottobre
Una breve vita la sua, ma così intensa da lasciare un segno profondo nella memoria di chi l’ha conosciuta e in chi viene a contatto oggi con lei. Parliamo di Chiara Badano, chiamata Chiara Luce per la radiosità del suo volto, dei suoi occhi, della sua luminosissima anima.
Un processo di canonizzazione è in corso per questa giovane dalla vita esemplare che conobbe la forza della fede già a nove anni. Trovava Gesù nei lontani, negli atei e tutta la sua vita è stata una tensione all’amore concreto per tutti. Ogni sua giornata fu una gemma da innalzare a Dio, dando un senso eterno ad ogni gesto.
Dinamica, sportiva, bella, Chiara si sente amata da Dio e lo vuole portare a tutti coloro che incontra sulla sua strada. Animata da profondo rispetto per ognuno, manifesta con schiettezza il proprio pensiero di credente, ma evita di prevaricare sulla libertà e coscienza dell’interlocutore: ben più efficace dei ragionamenti è infatti la sua testimonianza di serenità e di generosa disponibilità.
Chiara nasce a Sassello, in provincia di Savona della diocesi di Acqui, dopo undici anni di attesa dei suoi genitori, Maria Teresa Caviglia e Ruggero Badano. È il 29 ottobre 1971.
Cresce nella vivacità e nell’intelligenza, è simpatica e trainante, è leader, ma non lo lascia apparire, perché mette sempre in risalto gli altri. Poi avviene un incontro importante, è in terza elementare quando conosce il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. Entra così fra le Gen (Generazione nuova).
Lei non parla di Gesù agli altri, lo porta con la sua vita. Dice infatti: «Io non devo dire di Gesù, ma devo dare Gesù con il mio comportamento» e così si ripensa allo straordinario insegnamento di sant’Ignazio di Antiochia: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».
La gioia di vivere, l’entusiasmo per le piccole cose, la contemplazione del creato, la felicità di godere dell’amicizia erano il nutrimento delle sue giornate.
Alla fine della quinta ginnasio Chiara appare pallida, sorride meno, è stanca. Nell’estate, durante una partita di tennis sente un lancinante dolore alla spalla. Medici, ospedali… e la Tac. Chiara ha un cancro maligno: «processo neoplastico di derivazione costale (7ª di sinistra) con invasione dei tessuti molli adiacenti». Affetta dunque da un tumore osseo di quarto grado, il più grave. Ha 17 anni.
Inizia il pellegrinaggio negli ospedali di Torino, una vera e propria via crucis. Deve subire un intervento e prima di entrare nella sala operatoria dice alla mamma: «Se dovessi morire, celebrate una bella messa e di’ ai Gen che cantino forte».
Si sottopone alla chemioterapia e alle sedute di radioterapia, affrontando tutto come identificazione con i dolori di Cristo. Si abbandona e allora la malattia diventa per lei fatto marginale, vivendolo in Gesù. «Sono sempre stato impressionato», ha raccontato a Maria Grazia Magrini il dottor Brach, «dalla forza di accettazione della malattia da parte di Chiara e dei suoi familiari. Lei conosceva la gravità del male che l’aveva colpita e fui io stesso a spiegarle quanto fosse grave la sua situazione, e che quindi avrebbe incontrato crisi di vomito, avrebbe perso i capelli e sarebbe andata incontro ad infezioni, emorragie ed altre conseguenze».
Eppure, accanto a lei, parenti e amici continuano a respirare aria di festa. Chiacchiera volentieri, gioca, scherza. Non c’è odore di malattia, né di prossima morte. La vita continua a fuoriuscire da lei e gli altri si abbeverano a questa straordinaria fonte. Si consuma e si offre per amore di Gesù ai dolori della Chiesa, al Movimento dei Focolari e ai giovani.
È molto dimagrita, fatica a respirare e ha forti contrazioni agli arti inferiori. Avrebbe bisogno di morfina, ma non la vuole perché le toglierebbe la lucidità, la consapevolezza.
Nessun risultato, nessun miglioramento. La malattia avanza nell’impotenza sanitaria. Tutti depongono le armi, non c’è più nulla da fare. La giovane scrive a Chiara Lubich, informandola della decisione di interrompere la chemioterapia: «Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all’immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia… Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua, spesso mi seno soprafatta dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi». La fondatrice dei Focalarini nel risponderle le assegna un nuovo nome: «Chiara Luce», è da qui che tutti prendono a chiamarla così.
Chiara predispone tutto per il suo prossimo funerale, che chiama la sua messa, le sue nozze con Gesù. Dovrà essere lavata con l’acqua, segno di purificazione e pettinata in modo molto giovanile e chiede alla mamma di non piangere perché «quando in cielo arriva una ragazza di diciotto anni, si fa festa!». Il suo vestito da sposa lo vuole bianco, lungo, semplice, con una fascia rosa in vita. La sua amica del cuore, Chicca, lo prova di fronte a lei: le piace molto, è semplice come lo desiderava.
Chiara Luce muore alle 4,10 del 7 ottobre 1990, festa della beata Vergine Maria del Rosario. Ma la luce del suo incantevole sguardo non si spegnerà perché i suoi occhi saranno donati a due ragazzi. Dichiarata venerabile il 3 luglio 2008, è stata proclamata beata il 25 settembre 2010.
Autore: Cristina Siccardi
LA VITA
A Sassello, un paesino dell’entroterra ligure in provincia di Savona appartenente alla diocesi di Acqui (Piemonte), il 29 ottobre 1971 nasce Chiara, dopo undici anni di attesa. I genitori, Maria Teresa e Fausto Ruggero Badano esultano e ringraziano la Madonna, in particolare la Vergine delle Rocche, a cui il papà aveva chiesto la grazia di un figlio.
La piccola mostra subito un temperamento generoso, gioioso e vivace, ma anche un carattere franco e determinato. La mamma la educa attraverso le parabole del Vangelo ad amare Gesù, ad ascoltare la Sua vocina e a compiere tanti atti di amore. Chiara prega volentieri a casa e a scuola!
Chiara è aperta alla grazia; sempre pronta ad aiutare i più deboli, si corregge docilmente e si impegna a essere buona. Vorrebbe che tutti i bimbi del mondo siano felici come lei; in modo speciale ama i bambini dell’Africa e, a soli quattro anni dopo che viene a conoscenza della loro estrema povertà, afferma: «D’ora in poi penseremo noi a loro!». A questo proposito, a cui mantiene fede, seguirà molto presto la decisione di divenire medico per poterli andare a curare.
Dai quaderni delle prime classi elementari traspare tutto il suo amore per la vita: è una bambina davvero felice. Nel giorno della prima Comunione, da lei tanto atteso, riceve in dono il libro dei Vangeli. Sarà per lei il «libro preferito». Pochi anni dopo scriverà: «Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio».
Chiara cresce e mostra un grande amore per la natura. Portata per lo sport, lo praticherà in vari modi: corsa, sci, nuoto, bicicletta, pattini a rotelle, tennis…, ma in special modo preferirà la neve e il mare. È socievole, ma riuscirà –sebbene molto vivace- a divenire “tutta ascolto”, mettendo “l’altro” sempre al primo posto. Fisicamente bella, sarà da tutti ammirata. Intelligente e ricca di doti dimostra una precoce maturità. Molto sensibile e servizievole verso “gli ultimi”, li copre di attenzioni, rinunciando anche a momenti di svago, che ricupererà con spontaneità. In seguito ripeterà: «Io devo amare tutti, sempre e per prima», vedendo in loro il volto di Gesù.
Piena di sogni e di entusiasmi a nove anni scopre il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich con cui intesse una filiale corrispondenza. Ne fa suo l’ideale sino a coinvolgere i genitori nel medesimo cammino. Bambina, poi adolescente e giovane come tante altre, si mostra totalmente disponibile al disegno di Dio su di lei e mai vi si ribellerà. Tre realtà si rivelano determinanti nella sua formazione e nel cammino verso la santità: la famiglia, la Chiesa locale –in particolar modo il suo Vescovo- e il Movimento, a cui apparterrà come Gen (Generazione Nuova). L’Amore è al primo posto nella sua vita, in special modo l’Eucaristia, che anela a ricevere ogni giorno. E, pur sognando di formarsi una famiglia, sente Gesù come “Sposo”; sarà sempre di più il suo “tutto”, fino a farla ripetere –anche nei dolori più atroci-: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io!».
Terminate le elementari e le medie, Chiara sceglie il liceo classico. L’aspirazione a divenire medico per recarsi in Africa non è sfumata. Ma il dolore inizia a entrare nella sua vita: non compresa e accettata da un’insegnante, viene respinta. A nulla vale la difesa dei compagni: deve ripetere l’anno. Dopo un primo momento di sconforto, sul suo volto riappare il sorriso. Decisa affermerà: «Amerò i nuovi compagni come ho amato quelli di prima!» e offre la sua prima grande sofferenza a Gesù. Chiara vive in pieno la propria adolescenza: nel vestirsi ama il bello, l’armonia dei colori, l’ordine, ma non la ricercatezza. Alla mamma che la invita a vestire abiti un po’ più eleganti replica: «Io vado a scuola pulita e ordinata: ciò che conta è essere belli dentro!» e si trova a disagio se le dicono che è proprio bella. Ma tutto questo la porta più volte a esclamare: «Quant’è duro andare controcorrente!». Non si atteggia a maestra, non fa “prediche”: «Non devo dire di Gesù a parole: devo darlo col mio comportamento»; vive il Vangelo sino in fondo e rimane semplice e spontanea: è davvero un raggio di luce che riscalda i cuori.
Percorre, senza saperlo, la “Piccola Via” di Santa Teresa di Gesù Bambino. Nel gennaio 1986 in una riunione, afferma: «Ho capito l’importanza di “tagliare”, per essere e fare solo la volontà di Dio. E ancora, quello che diceva S. Teresina: che, prima di morire a colpo di spada, bisogna morire a colpi di spillo. Mi accorgo che le piccole cose sono quelle che non faccio bene, oppure i piccoli dolori…,, quelle che mi lascio sfuggire. Così voglio andare avanti amando tutti i colpi di spillo». E, al termine, questo proposito: «Voglio amare chi mi sta antipatico!».
Chiara ha una grande devozione per lo Spirito Santo e si dispone coscienziosamente a riceverlo nel sacramento della Cresima che mons. Livio Maritano, Vescovo di Acqui, le amministra il 30 settembre 1984. Si era preparata con impegno e Lo invocherà spesso chiedendo Luce, quella luce d’Amore che l’aiuterà ad esserne una piccola, ma viva, scia luminosa.
Ora Chiara è bene inserita nella nuova classe. È compresa e positivamente valutata. Tutto prosegue nella normalità finché, nel corso di una partita di tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra e un’errata diagnosi, si provvede al ricovero. La TAC evidenzia un osteosarcoma. È il 2 febbraio 1989: nella Chiesa si ricorda la presentazione di Gesù al tempio. Chiara ha diciassette anni.
Inizia così la sua “via crucis”: viaggi, esami clinici, ricoveri, interventi e cure pesanti; da Pietra Ligure a Torino. Quando Chiara comprende la gravità del caso e le poche speranze non parla; rientrata a casa dall’ospedale chiede alla mamma di non porle domande. Non piange, non si ribella né si dispera. Si chiude in un assorto silenzio di 25 interminabili minuti. È il suo “orto del Getsemani”: mezz’ora di lotta interiore, di buio, di passione…, per poi mai più tirarsi indietro. Ha vinto la grazia: «Ora puoi parlare, mamma», e sul volto torna il sorriso luminoso di sempre. Ha detto sì a Gesù. Quel «sempre sì», che aveva scritto da bambina su una piccola rubrica alla lettera esse, lo ripeterà sino alla fine. Alla mamma, per rasserenarla, non mostra alcuna preoccupazione: «Vedrai, ce la farò: sono giovane!». Il tempo scorre implacabile e il male galoppa trasferendosi al midollo spinale. Chiara si informa di tutto, parla con i medici e con gli infermieri.
La paralisi la blocca, ma arriverà ad affermare: «Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no, perché così sono più vicina a Gesù». Non perde la pace; rimane serena e forte; non ha paura. Il segreto? «Dio mi ama immensamente». Incrollabile la sua fiducia in Dio, nel suo «Papà buono». Vuole compiere sempre, e per amore, la Sua volontà: vuole «stare al gioco di Dio».
Vive momenti di totale contatto col Signore: «… Voi non potete neppure immaginare qual è adesso il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande…Mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela», e si trova a un’altezza da cui non vorrebbe mai scendere: «… lassù, dove tutto è silenzio e contemplazione»… Rifiuta la morfina perché le toglie lucidità: «Io non ho più niente e posso offrire solo il dolore a Gesù»; e aggiunge: «ma ho ancora il cuore e posso sempre amare». Ormai è tutta dono. Sempre in offerta: per la Diocesi, per il Movimento, per la gioventù, per le Missioni…; sorregge con la sua preghiera e trascina nell’Amore chiunque le passa accanto. Profondamente umile e dimentica di sé, è disponibile ad accogliere e ascoltare quanti l’avvicinano, in particolare i giovani a cui lascerà un ultimo messaggio: «I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, ma vorrei passar loro la fiaccola come alle Olimpiadi… I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene».
Non chiede il miracolo della guarigione e si rivolge alla Vergine SS. scrivendole un biglietto: «Mamma Celeste, tu lo sai quanto io desideri guarire, ma se non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza per non mollare mai. Umilmente, tua Chiara». Come un bambino si abbandona all’amore di Colui che è l’Amore: «Mi sento così piccola e la strada da percorrere è così ardua… Ma è lo Sposo che viene a trovarmi!». Si fida totalmente di Dio e invita la mamma a fare altrettanto: «Non ti preoccupare: quando io non ci sarò più, tu fìdati di Dio e vai avanti, poi hai fatto tutto!». Fiducia incrollabile.
I dolori l’attanagliano, ma lei non piange: trasforma il dolore in amore, ed allora volge lo sguardo al suo “Gesù Abbandonato”: un’immagine di Gesù incoronato di spine, posta sul comodino accanto al letto. Alla mamma che le chiede se soffre molto risponde con semplicità: «Gesù mi smacchia con la varechina anche i puntini neri, e la varechina brucia. Così, quando arriverò in Paradiso, sarò bianca come la neve». Nelle notti insonni canta e, dopo una di queste -forse la più tragica- affermerà: «Soffrivo molto fisicamente, ma la mia anima cantava», confermando la pace del suo cuore. Negli ultimi giorni riceve da Chiara Lubich il nome di Luce: “Perché nei tuoi occhi vedo la luce dell’Ideale vissuto sino in fondo: la luce dello Spirito Santo”. In Chiara ormai non c’è che un grande desiderio: andare in Paradiso, dove sarà «tanto, tanto felice»; e si prepara alle «nozze». Chiede di essere rivestita con un abito da sposa: bianco, lungo e semplice. Predispone la liturgia della “sua” Messa: sceglie le letture e i canti… Nessuno dovrà piangere, ma cantare forte e fare festa, perché «Chiara incontra Gesù»; gioire con lei e ripetere: «Ora Chiara Luce vede Gesù!». Poco tempo prima aveva affermato con certezza: «Quando una giovane di diciassette-diciotto anni va in Cielo, in Cielo si fa festa». Le offerte della Messa dovranno essere destinate ai bambini poveri dell’Africa, come aveva già fatto con il denaro ricevuto in regalo per i 18 anni. Questa la motivazione: «Io ho Tutto!»… Come avrebbe potuto fare diversamente, se non pensare sino alla fine a chi non ha nulla?
Alle 4,10 di domenica 7 ottobre 1990, giorno della Resurrezione del Signore e festa della Vergine del Santo Rosario, Chiara raggiunge il tanto amato «Sposo». È il suo dies natalis. Nel Cantico dei Cantici (2, 13-14) si legge: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro”.
Poco prima aveva sussurrato l’ultimo saluto alla mamma con una raccomandazione: «Ciao, sii felice, perché io lo sono!». Al funerale, celebrato due giorni dopo dal “suo” Vescovo, partecipano centinaia e centinaia di persone, soprattutto giovani. Pur tra le lacrime, l’atmosfera è di gioia; i canti che si elevano a Dio esprimono la certezza che ora lei è nella vera Luce! Volando in Cielo, ha voluto lasciare ancora un dono: le cornee di quei meravigliosi occhi che, col suo consenso, sono state trapiantate in due giovani, ridando loro la vista. Oggi essi, anche se sconosciuti, sono la “reliquia vivente” della beata Chiara!
LA CAUSA DI POSTULAZIONE
L’11 giugno 1999, festa del Sacro Cuore di Gesù - esattamente cento anni dopo il giorno in cui Papa Leone XIII aveva consacrato il mondo al Sacro Cuore - mons. Maritano inizia ufficialmente l’Inchiesta per la Canonizzazione di Chiara, secondo le norme della Santa Sede per le Cause dei Santi, presso il vescovado di Acqui Terme.
Il Presule affermerà: “Mi è parso che la sua testimonianza fosse significativa in particolare per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento e uno scopo; a superare insicurezze e solitudine; i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte; a tutte le loro inquietudini. È sorprendente questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determina molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quotidiana”. La Chiesa di Acqui non poteva non prestare ascolto alla corale ammirazione e gratitudine a Dio da parte di tutti coloro che avevano conosciuto Chiara Badano. Si istituisce, quindi, un Tribunale in cui vengono ascoltati 72 testimoni. Il 21 agosto 2000 il Processo diocesano si conclude. La fase romana ha avuto inizio in Vaticano il 7 ottobre 2000 presso la Congregazione delle Cause dei Santi, competente per valutare l’esemplarità della serva di Dio in ordine al decreto dell’eroicità delle sue virtù
Il 21 febbraio 2004, dopo aver raccolto e trascritto il materiale inerente a una presunta guarigione miracolosa avvenuta a Trieste nel 2001, si richiede al Vescovo del luogo di iniziare il Processo diocesano super miro. Processo che viene istituito il 25 marzo e concluso il 29 settembre 2004.
“Guarigione del giovane Andrea Bartole da “Grave stato di shock settico sepsi meningococcica, sindrome di ARDS complicata da broncopolmonite basale destra, sindrome DIC, insufficienza renale acuta, manifestazioni cutanee petecchiali ed emorragiche con tendenza a confluire ematomi generalizzati e sofferenza ipossiemica generalizzata, sofferenza del sistema nervoso centrale diffusa”. Il 3 luglio 2008 il Santo Padre autorizza il Card. José Saraiva Martins –Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi- a promulgare con Decreto la Venerabilità della Serva di Dio Chiara Badano. Da quel momento è Venerabile. Il 15 gennaio 2009 i medici convocati dalla Congregazione delle Cause dei Santi, hanno confrontato le rispettive valutazioni sul caso della guarigione attribuita all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Chiara Badano, avvenuta nel 2001 a Trieste. Unanimemente giungono alla conclusione della inspiegabilità di tale fatto per mezzo delle sole forze della natura. Si tratta di una guarigione “rapida, totale e duratura” dell’ adolescente Andrea Bartole.
Il 19 dicembre 2009 Papa Benedetto XVI firma il Decreto di approvazione del miracolo attribuito all’intercessione della Venerabile Chiara Badano. Atto a cui farà seguito il rito della Beatificazione.
Sabato 25 settembre 2010, alle ore 16, ha luogo il solenne rito di Beatificazione nel santuario della Madonna del Divino Amore (Roma – Castel di Leva), presieduto da S. Em. il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso della celebrazione viene annunciata la data per la festa liturgica della Beata: il 29 ottobre.
Ora, per giungere alla Canonizzazione, si attende da Dio il dono di un nuovo “miracolo”, ottenuto per intercessione della Beata Chiara. Preghiamo, chiediamolo con umile fiducia e notifichiamolo alla Postulazione: sarà un rendere lode a Dio che opera meraviglie attraverso i “piccoli”!
Autore: Mariagrazia Magrini, Vicepostulatrice
Ermelinda nacque a Lovenjoul nel Brabante (attuale Belgio), da Ermeonoldo ed Armensinda legati alla Famiglia dei Pipini.
Decise ancora giovane di rifiutare ogni proposta di matrimonio e abbandonò ogni ricchezza e beneficio, che la sua ricca famiglia le aveva comunque dato e si mise alla ricerca di solitudine e silenzio. Si fermò all’attuale villaggio di Beauvechain, dove si dedicò alle pratiche religiose, frequentando la chiesa durante la notte ed a piedi nudi. Dovette resistere a due fratelli, signori del luogo che tentarono di sedurla, essi si accordarono di prelevarla durante le preghiere notturne, ma avvertita da un angelo Ermelinda riuscì a fuggire e partì per Meldert, dove morì a 48 anni verso la fine del VI secolo.
Fu venerata a Tirlemont e soprattutto a Lovenjoul e Meldert. A Lovenjoul sgorga una sorgente d’acqua ritenuta miracolosa per la cura degli occhi, chiamata “Sorgente di s. Ermelinda”, perché irriga le terre appartenute ai suoi parenti.A Meldert il suo culto era molto popolare e lì sarebbe stata sepolta, nella chiesa sono attualmente conservate le sue reliquie che ebbero, a partire dal secolo XIII, una serie di vicissitudini, traslazioni, nascondimenti dai vari invasori, più di una ricognizione, finché il 22 luglio 1849 furono deposte definitivamente nella chiesa di Meldert. In questa città esiste ancora la Confraternita dedicata a lei (ristabilita il 2 aprile 1849).
E’ festeggiata anche nella diocesi di Malines il 29 ottobre giorno ritenuto tradizionalmente quello della morte. Il nome è caduto abbastanza in disuso ma prosegue nella forma abbreviata di Linda, diventato ormai nome a sé stante. Il significato del solo nome Linda si confonde in Italia e vari Paesi Europei con l’aggettivo “gradevole, pulita”.
Il nome Ermelinda è di origine tedesca, si divide in Erme ‘potente’ e linda da ‘linta’ “scudo” quindi abbiamo “scudo del potente”.
Cenni storici
L’episcopato di Stefano a Caiazzo durò 44 anni, tempo lunghissimo durante il quale il vescovo donò tutte le sue forze alla testimonianza della carità. Soleva chiamarsi confessore di Dio, così impegnato nella preghiera, nel digiuno, nella penitenza. Era questo il motivo, forse, per cui la sua fama di “prediletto del Signore” aveva varcato i confini della stessa chiesa caiatina. Già in vita, infatti, avevano cominciato a destare stupore fatti miracolosi, come quello del 982: “S. Stefano amministra la comunione ad una grande folla, nella chiesa cattedrale, quando una colonna di marmo cade sulla massa dei fedeli senza arrecare alcun danno”. Fu il primo di una lunga serie di miracoli.
Nell’anno successivo, ricorrendo la Pasqua, accadde: “Il santo vescovo ha celebrato l’Eucaristia e porge il calice ad un chierico perché lo asterga. Il calice era di vetro, secondo l’uso del tempo, e per la forza usata si frantuma in mille pezzi. Stefano vede e, dopo aver pregato, il sacro vaso ritorna, fra lo stupore degli astanti che vedono manifesto il dito di Dio, alla primitiva integrità”.
Il 29 ottobre 1023 Stefano passava alla gloria del cielo e la sua salma fu deposta nel sottosuolo della cattedrale, divenuta subito meta di pellegrini provenienti da ogni parte della Campania. Numerosi furono gli eventi prodigiosi accaduti presso il suo sepolcro, come ad esempio la guarigione di alcuni sacerdoti e di molte altre persone da mali fisici e la liberazione di una donna da Satana. Numerosi altri prodigi si manifestarono in ogni tempo, che valsero a Stefano l’appellativo di taumaturgo.
Il 22 luglio 1284 la cattedrale rifatta ed abbellita, originariamente dedicata alla Vergine Assunta, fu consacrata in onore di Stefano, acclamato santo, secondo le consuetudini del tempo.
Il culto verso il santo crebbe sempre più e questo indusse nel 1512 il vescovo di Caiazzo a risistemare il corpo del Patrono. Si scavò molto nella cattedrale ma la salma di Stefano non venne alla luce, facendo temere il furto. Fu allora che al vescovo, rivoltosi alla santa Vergine, fu indicato di scavare ancora più profondamente fino all’apparire delle acque. Durante lo scavo si cominciò ad avvertire un soavissimo profumo che, crescendo di intensità, portò al rinvenimento del sepolcro di santo Stefano e del suo corpo totalmente incorrotto, ancora vestito del piviale, della mitria e con la croce sul petto (croce di grande interesse storico-artistico che ancora oggi si conserva. Si veda “Osservatore Romano” n. 25 del 1940, p. 3). Il corpo fu poi collocato in un altare laterale della cattedrale e nei secoli ancora risistemato, fino a giungere alla ubicazione attuale.
La concezione cristiana di Stefano
Stefano ebbe piena la consapevolezza di essere “uomo di Dio” e di essere mandato per i figli di Dio. Non ebbe mai esitazione, infatti, a schierarsi dalla parte dei poveri e degli oppressi, secondo lo spirito di Gregorio Magno e di Gregorio di Tours, monaci come lui, che univano la vita contemplativa a quella attiva.
Naturalmente in tempi così tormentati dalla violenza della forza di un diritto esclusivamente a salvaguardia e privilegio di pochi uomini, il levarsi di una voce che additava un regno di giustizia, di misericordia, di bontà, fu come una luce improvvisa che rischiarava le tenebre ed indicava senza incertezza all’uomo la via da seguire.
Nella parola del santo appare chiaro il sorgere di un nuovo incomparabile senso della vita. L’affermazione del dolore, rappresentandolo come qualcosa di insignificante al confronto della realtà in Cristo, apre all’uomo un nuovo mondo.
L’aspirazione all’amore e alla felicità rileva ed accresce necessariamente il senso del dolore insito nella gran parte degli aspetti della vita umana. Porre in luce le miserie e i dolori dell’esistenza rende più acuto il desiderio dell’amore e della felicità in Cristo e la vita acquista in verità ed interiorità.
Stefano però è anche lontano da ogni pessimismo sfiduciato come da ogni superficiale ottimismo; il mondo immediato, la cui miseria minaccia l’uomo, non è per lui una realtà ultima: una fede incrollabile lo rinvia al regno della vita di Dio, superiore a tutti i contrasti.
Tali concezioni venivano esposte ai numerosi fedeli che sempre seguivano le sue prediche, con parole semplici, comprensibili soprattutto alla povera gente che costituiva la gran massa degli uditori e che vedevano in lui Stefano il protettore degli oppressi, l’intermediario col più potente dei potenti, ma un potente infinitamente giusto.
Il santo vescovo diede un volto nuovo alla Chiesa, fece rivivere negli atteggiamenti e nelle opere quel Magistero che non aveva temuto di affermare la propria supremazia su tutto il potere temporale. Aveva riacceso nel cuore degli uomini oppressi e sfiduciati quella fede, quell’amore, quella sicurezza, quella completa fiducia in una Chiesa che si erigeva potente a salvaguardia del rispetto della personalità e di una legge morale che era insita nel diritto naturale delle genti.
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Desde o dia 1 de Janeiro que venho colocando aqui os meus Votos de um Bom Ano de 2016.
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
Como estamos no último terço do Ano, que se aproxima do seu fim velozmente, passo a desejar
UM BOM resto do ANO DE 2016
Nº 2922- (303 - 2016)
29 DE OUTUBRO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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FELICIANO DE CARTAGO, Santos
Em Cartago, hoje na Tunísia, São FELICIANO mártir. (séc. III).
NARCISO DE JERUSALÉM, Santo
Comemoração de São NARCISO bispo de Jerusalém, digno de louvor pela sua santidade, paciência e fé, que, em pleno acordo com o papa São VÍTOR acerca da data da celebração da Páscoa cristã, afirmou que o mistério da ressurreição do Senhor não podia celebrar-se senão no domingo. Aos 116 anos de idade descansou piedosamente no Senhor.
HONORATO DE VERCELAS, Santo
Em Vercelas, na Ligúria, hoje no Piemonte, Itália, Santo HONORATO bispo, que foi discípulo de Santo EUSÉBIO no mosteiro, seu companheiro no cárcere e sucessor nesta sede episcopal, a qual instruiu segundo a doutrina verdadeira, e teve o privilégio de administrar o viático a Santo AMBRÓSIO na hora da morte. (séc. IV)
ZENÓBIO DE SIDÓNIA, Santo
Em Sidónia, Fenícia, no actual Líbano, São ZENÓBIO presbitero que, durante a terrível perseguição do imperador Diocleciano, exortando os outros ao martírio, também ele com o martírio foi coroado. (séc. IV)
ABRAÃO DE EDESSA, Santo
Em Edessa, cidade do Osroene, hoje na Turquia, Santo ABRAÃO anacoreta cuja vida foi escrita por Santo EFRÉM diácono. (366)
TEODÁRIO DE VIENNE, Santo
No território de Vienne, na Gália, hoje França, São TEODÁRIO abade que, sendo discípulo de Santo EUSÉBIO DE ARLES, construiu celas para os monges e foi designado pelo bispo intercessor diante de Deus e presbitero penitenciário para todo o povo da cidade. (575)
COLMANO DE KILMACDUAG, Santo
Em Galway, na Irlanda, São COLMANO bispo. (632)
DODÃO DE MOUSTIERS-EN-FAGNE, Santo
Em Moustiers-en-Fagne, próximo de Cambrai, na Nêustria hoje França, São DODÃO abade que, presidindo ao mosteiro de Wallers, preferiu a vida eremítica. (séc,VIII)
CAETANO ERRICO, Santo
Em Secondigliano, Nápoles, Itália, São CAETANO ERRICO presbitero que fomentou com empenho os retiros espirituais e a contemplação da Eucaristia, como instrumentos de ganhar almas para Cristo, e com essa finalidade fundou a Congregação dos Missionários dos Sagrados Corações de jesus e Maria. (1860)
... E AINDA ...
ANASTÁSIA A ROMANA, Santa
Santa Anastasia la romana non deve essere confusa con la più nota santa
Anastasia di Sirmio commemorata nei Sinassari bizantini il 22 dicembre e
nei martirologi latini il 25 dello stesso mese e che nella tradizione
greca prende il titolo di farmacolitria cioè colei che appresta medicine
(ai cristiani che si trovavano in carcere).
La nostra santa appartiene alla categoria delle osiomartiri cioè delle monache (Ή όσια=santa monaca) e martiri. Sebbene non esistessero monasteri maschili e femminili cosi come oggi noi li troviamo con tipicon, (la regola nella tradizione orientale), e monastero completo in tutte le sue parti; è pur vero che sin dal II secolo esistevano piccole comunità di vergini consacrate a Dio. Costoro si occupavano del servizio della chiesa locale, ce lo attesta sant’Atanasio nella vita di sant’Antonio il grande e lo stesso sant’ Ignazio di Antiochia (o pseudo) nell’epistola ai Filippesi dove dice: saluto le comunità delle sacre vergini. Le vergini consacrate a Dio avvolte vivevano nelle loro case e si riunivano insieme per momenti di preghiera o per decidere come assolvere alle necessità della Chiesa locale soprattutto l’assistenza ai poveri alle vedove e agli orfani.
La passio ci è arrivata nella revisione del Metafraste ma abbiamo anche una edizione in Italiano del 1500 nel volume STORIA DELLE SANTE VERGINI ROMANE di Antonio Gallonio Romano, prete della congregazione dell’Oratorio. Il che dimostra come santa Anastasia la romana era venerata e conosciuta anche dalla Chiesa latina.
Il racconto che ne fa Antonio Galloro è di una grande eleganza e raffinatezza spirituale, ecco come ne descrive l’entrata in monastero: Avendo compiuto i 20 anni abbandonò i suoi genitori e gli altri parenti e le ricchezze terrene ed stimolata dai pungenti stimoli dell’amor divino, volontariamente si rinchiuse in un monastero nel quale fu istruita da una santa monaca di nome Sofia sulle cose spirituali dando in pochissimo tempo un chiaro segno della sua santità futura. .
Secondo la Passio fu lei Soffia ad infondere coraggio alla ventenne Anastasia nell’affrontare il martirio. Durante il processo il giudice Probo dopo averla mostrata nuda dinanzi all’intera città di Roma, per umiliarla, promette ricchezze alla martire se abiura la fede in Cristo. Ecco le parole di risposta di Anastasia: O Probo il mio bene, le mie ricchezze e la mia vita sono Cristo ed il soffrire la morte per suo amore e per me qualcosa di più prezioso della stessa vita, a tal motivo ti faccio sapere che ne oro ne argento ne qualunque altra cosa del mondo è per me cosa lieta. Infatti solo Cristo mi rende felice e solamente Lui e la sua dolce compagnia è la mia vera allegrezza della quale rivestita di gloria spero eternamente godere. Ecco perché non reputo tormenti il fuoco, le spade, il ferro, lo slogamento delle membra, le ferite, le battiture, e tutti gli strumenti inventati da voi per tormentare i servi del Signore ma li considero, invece, cose di sommo diletto, e piacere fissando i miei occhi solamente in lui e desiderando, per mostrargli qualche segno dell’amore che gli porto, non una ma mille morti se fosse possibile patire per lui. Dunque non mostrare d’aver compassione della mia bellezza che subito come un fiore del campo sfiorisce, ma inizia a far contro di me tutto ciò che puoi poiché non sacrificherò giammai a quei tuoi dei di pietra e di legno”.
Santa Anastasia subirà diversi tormenti compreso lo strappo della lingua in fine morirà decapitata. Il suo corpo rimase insepolto per alcuni giorni finché la stessa Sofia lo ricompose e lo seppellì a Roma. Sul suo sepolcro vi furono un susseguirsi di miracoli per cui ne crebbe la venerazione.
Il corpo di santa Anastasia è oggi custodito in una piccola chiesa nel monastero di Grigoriu al monte Athos vicino al Katolikon (la chiesa principale del monastero) è veneratissima da tutti i monaci Athoniti e meta di continui pellegrinaggi da parte dei fedeli ortodossi a causa dei continui miracoli e grazie che concede soprattutto agli ammalati. Nuovi monasteri sono a lei dedicati in Grecia il più famoso è quello vicino il paesino di Rethimnòs dove si venera un’icona taumaturgica ed una sua santa reliquia ma le sue icone si trovano in quasi tutte le chiese della Grecia per il profondo amore della gente per lei.
La nostra santa appartiene alla categoria delle osiomartiri cioè delle monache (Ή όσια=santa monaca) e martiri. Sebbene non esistessero monasteri maschili e femminili cosi come oggi noi li troviamo con tipicon, (la regola nella tradizione orientale), e monastero completo in tutte le sue parti; è pur vero che sin dal II secolo esistevano piccole comunità di vergini consacrate a Dio. Costoro si occupavano del servizio della chiesa locale, ce lo attesta sant’Atanasio nella vita di sant’Antonio il grande e lo stesso sant’ Ignazio di Antiochia (o pseudo) nell’epistola ai Filippesi dove dice: saluto le comunità delle sacre vergini. Le vergini consacrate a Dio avvolte vivevano nelle loro case e si riunivano insieme per momenti di preghiera o per decidere come assolvere alle necessità della Chiesa locale soprattutto l’assistenza ai poveri alle vedove e agli orfani.
La passio ci è arrivata nella revisione del Metafraste ma abbiamo anche una edizione in Italiano del 1500 nel volume STORIA DELLE SANTE VERGINI ROMANE di Antonio Gallonio Romano, prete della congregazione dell’Oratorio. Il che dimostra come santa Anastasia la romana era venerata e conosciuta anche dalla Chiesa latina.
Il racconto che ne fa Antonio Galloro è di una grande eleganza e raffinatezza spirituale, ecco come ne descrive l’entrata in monastero: Avendo compiuto i 20 anni abbandonò i suoi genitori e gli altri parenti e le ricchezze terrene ed stimolata dai pungenti stimoli dell’amor divino, volontariamente si rinchiuse in un monastero nel quale fu istruita da una santa monaca di nome Sofia sulle cose spirituali dando in pochissimo tempo un chiaro segno della sua santità futura. .
Secondo la Passio fu lei Soffia ad infondere coraggio alla ventenne Anastasia nell’affrontare il martirio. Durante il processo il giudice Probo dopo averla mostrata nuda dinanzi all’intera città di Roma, per umiliarla, promette ricchezze alla martire se abiura la fede in Cristo. Ecco le parole di risposta di Anastasia: O Probo il mio bene, le mie ricchezze e la mia vita sono Cristo ed il soffrire la morte per suo amore e per me qualcosa di più prezioso della stessa vita, a tal motivo ti faccio sapere che ne oro ne argento ne qualunque altra cosa del mondo è per me cosa lieta. Infatti solo Cristo mi rende felice e solamente Lui e la sua dolce compagnia è la mia vera allegrezza della quale rivestita di gloria spero eternamente godere. Ecco perché non reputo tormenti il fuoco, le spade, il ferro, lo slogamento delle membra, le ferite, le battiture, e tutti gli strumenti inventati da voi per tormentare i servi del Signore ma li considero, invece, cose di sommo diletto, e piacere fissando i miei occhi solamente in lui e desiderando, per mostrargli qualche segno dell’amore che gli porto, non una ma mille morti se fosse possibile patire per lui. Dunque non mostrare d’aver compassione della mia bellezza che subito come un fiore del campo sfiorisce, ma inizia a far contro di me tutto ciò che puoi poiché non sacrificherò giammai a quei tuoi dei di pietra e di legno”.
Santa Anastasia subirà diversi tormenti compreso lo strappo della lingua in fine morirà decapitata. Il suo corpo rimase insepolto per alcuni giorni finché la stessa Sofia lo ricompose e lo seppellì a Roma. Sul suo sepolcro vi furono un susseguirsi di miracoli per cui ne crebbe la venerazione.
Il corpo di santa Anastasia è oggi custodito in una piccola chiesa nel monastero di Grigoriu al monte Athos vicino al Katolikon (la chiesa principale del monastero) è veneratissima da tutti i monaci Athoniti e meta di continui pellegrinaggi da parte dei fedeli ortodossi a causa dei continui miracoli e grazie che concede soprattutto agli ammalati. Nuovi monasteri sono a lei dedicati in Grecia il più famoso è quello vicino il paesino di Rethimnòs dove si venera un’icona taumaturgica ed una sua santa reliquia ma le sue icone si trovano in quasi tutte le chiese della Grecia per il profondo amore della gente per lei.
BERNARDO DE OLIVELLA, Beato
Amico del Beato Giacomo 1°, Re d'Aragona, il Beato Bernardo de Olivella, mercedario di Tarragona (Spagna), venne eletto arcivescovo della stessa città. Fu presente al funerale dell'amico Re morto nell'anno 1276; lui stesso poi cinse con la corona regale nella chiesa cattedrale di Valenza e consacrò Re il nuovo sovrano Pietro. Finché pieno di meriti morì nella pace del Signore nell'anno 1287 nella sua sede di Tarragona.
L'Ordine lo festeggia il 29 ottobre
CHIARA LUCA BADANO, Beata
Una breve vita la sua, ma così intensa da lasciare un segno profondo nella memoria di chi l’ha conosciuta e in chi viene a contatto oggi con lei. Parliamo di Chiara Badano, chiamata Chiara Luce per la radiosità del suo volto, dei suoi occhi, della sua luminosissima anima.
Un processo di canonizzazione è in corso per questa giovane dalla vita esemplare che conobbe la forza della fede già a nove anni. Trovava Gesù nei lontani, negli atei e tutta la sua vita è stata una tensione all’amore concreto per tutti. Ogni sua giornata fu una gemma da innalzare a Dio, dando un senso eterno ad ogni gesto.
Dinamica, sportiva, bella, Chiara si sente amata da Dio e lo vuole portare a tutti coloro che incontra sulla sua strada. Animata da profondo rispetto per ognuno, manifesta con schiettezza il proprio pensiero di credente, ma evita di prevaricare sulla libertà e coscienza dell’interlocutore: ben più efficace dei ragionamenti è infatti la sua testimonianza di serenità e di generosa disponibilità.
Chiara nasce a Sassello, in provincia di Savona della diocesi di Acqui, dopo undici anni di attesa dei suoi genitori, Maria Teresa Caviglia e Ruggero Badano. È il 29 ottobre 1971.
Cresce nella vivacità e nell’intelligenza, è simpatica e trainante, è leader, ma non lo lascia apparire, perché mette sempre in risalto gli altri. Poi avviene un incontro importante, è in terza elementare quando conosce il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. Entra così fra le Gen (Generazione nuova).
Lei non parla di Gesù agli altri, lo porta con la sua vita. Dice infatti: «Io non devo dire di Gesù, ma devo dare Gesù con il mio comportamento» e così si ripensa allo straordinario insegnamento di sant’Ignazio di Antiochia: «È meglio essere cristiani senza dirlo, che proclamarlo senza esserlo».
La gioia di vivere, l’entusiasmo per le piccole cose, la contemplazione del creato, la felicità di godere dell’amicizia erano il nutrimento delle sue giornate.
Alla fine della quinta ginnasio Chiara appare pallida, sorride meno, è stanca. Nell’estate, durante una partita di tennis sente un lancinante dolore alla spalla. Medici, ospedali… e la Tac. Chiara ha un cancro maligno: «processo neoplastico di derivazione costale (7ª di sinistra) con invasione dei tessuti molli adiacenti». Affetta dunque da un tumore osseo di quarto grado, il più grave. Ha 17 anni.
Inizia il pellegrinaggio negli ospedali di Torino, una vera e propria via crucis. Deve subire un intervento e prima di entrare nella sala operatoria dice alla mamma: «Se dovessi morire, celebrate una bella messa e di’ ai Gen che cantino forte».
Si sottopone alla chemioterapia e alle sedute di radioterapia, affrontando tutto come identificazione con i dolori di Cristo. Si abbandona e allora la malattia diventa per lei fatto marginale, vivendolo in Gesù. «Sono sempre stato impressionato», ha raccontato a Maria Grazia Magrini il dottor Brach, «dalla forza di accettazione della malattia da parte di Chiara e dei suoi familiari. Lei conosceva la gravità del male che l’aveva colpita e fui io stesso a spiegarle quanto fosse grave la sua situazione, e che quindi avrebbe incontrato crisi di vomito, avrebbe perso i capelli e sarebbe andata incontro ad infezioni, emorragie ed altre conseguenze».
Eppure, accanto a lei, parenti e amici continuano a respirare aria di festa. Chiacchiera volentieri, gioca, scherza. Non c’è odore di malattia, né di prossima morte. La vita continua a fuoriuscire da lei e gli altri si abbeverano a questa straordinaria fonte. Si consuma e si offre per amore di Gesù ai dolori della Chiesa, al Movimento dei Focolari e ai giovani.
È molto dimagrita, fatica a respirare e ha forti contrazioni agli arti inferiori. Avrebbe bisogno di morfina, ma non la vuole perché le toglierebbe la lucidità, la consapevolezza.
Nessun risultato, nessun miglioramento. La malattia avanza nell’impotenza sanitaria. Tutti depongono le armi, non c’è più nulla da fare. La giovane scrive a Chiara Lubich, informandola della decisione di interrompere la chemioterapia: «Solo Dio può. Interrompendo le cure, i dolori alla schiena dovuti ai due interventi e all’immobilità a letto sono aumentati e non riesco quasi più a girarmi sui fianchi. Stasera ho il cuore colmo di gioia… Mi sento così piccola e la strada da compiere è così ardua, spesso mi seno soprafatta dal dolore. Ma è lo Sposo che viene a trovarmi». La fondatrice dei Focalarini nel risponderle le assegna un nuovo nome: «Chiara Luce», è da qui che tutti prendono a chiamarla così.
Chiara predispone tutto per il suo prossimo funerale, che chiama la sua messa, le sue nozze con Gesù. Dovrà essere lavata con l’acqua, segno di purificazione e pettinata in modo molto giovanile e chiede alla mamma di non piangere perché «quando in cielo arriva una ragazza di diciotto anni, si fa festa!». Il suo vestito da sposa lo vuole bianco, lungo, semplice, con una fascia rosa in vita. La sua amica del cuore, Chicca, lo prova di fronte a lei: le piace molto, è semplice come lo desiderava.
Chiara Luce muore alle 4,10 del 7 ottobre 1990, festa della beata Vergine Maria del Rosario. Ma la luce del suo incantevole sguardo non si spegnerà perché i suoi occhi saranno donati a due ragazzi. Dichiarata venerabile il 3 luglio 2008, è stata proclamata beata il 25 settembre 2010.
Autore: Cristina Siccardi
LA VITA
A Sassello, un paesino dell’entroterra ligure in provincia di Savona appartenente alla diocesi di Acqui (Piemonte), il 29 ottobre 1971 nasce Chiara, dopo undici anni di attesa. I genitori, Maria Teresa e Fausto Ruggero Badano esultano e ringraziano la Madonna, in particolare la Vergine delle Rocche, a cui il papà aveva chiesto la grazia di un figlio.
La piccola mostra subito un temperamento generoso, gioioso e vivace, ma anche un carattere franco e determinato. La mamma la educa attraverso le parabole del Vangelo ad amare Gesù, ad ascoltare la Sua vocina e a compiere tanti atti di amore. Chiara prega volentieri a casa e a scuola!
Chiara è aperta alla grazia; sempre pronta ad aiutare i più deboli, si corregge docilmente e si impegna a essere buona. Vorrebbe che tutti i bimbi del mondo siano felici come lei; in modo speciale ama i bambini dell’Africa e, a soli quattro anni dopo che viene a conoscenza della loro estrema povertà, afferma: «D’ora in poi penseremo noi a loro!». A questo proposito, a cui mantiene fede, seguirà molto presto la decisione di divenire medico per poterli andare a curare.
Dai quaderni delle prime classi elementari traspare tutto il suo amore per la vita: è una bambina davvero felice. Nel giorno della prima Comunione, da lei tanto atteso, riceve in dono il libro dei Vangeli. Sarà per lei il «libro preferito». Pochi anni dopo scriverà: «Non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio».
Chiara cresce e mostra un grande amore per la natura. Portata per lo sport, lo praticherà in vari modi: corsa, sci, nuoto, bicicletta, pattini a rotelle, tennis…, ma in special modo preferirà la neve e il mare. È socievole, ma riuscirà –sebbene molto vivace- a divenire “tutta ascolto”, mettendo “l’altro” sempre al primo posto. Fisicamente bella, sarà da tutti ammirata. Intelligente e ricca di doti dimostra una precoce maturità. Molto sensibile e servizievole verso “gli ultimi”, li copre di attenzioni, rinunciando anche a momenti di svago, che ricupererà con spontaneità. In seguito ripeterà: «Io devo amare tutti, sempre e per prima», vedendo in loro il volto di Gesù.
Piena di sogni e di entusiasmi a nove anni scopre il Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich con cui intesse una filiale corrispondenza. Ne fa suo l’ideale sino a coinvolgere i genitori nel medesimo cammino. Bambina, poi adolescente e giovane come tante altre, si mostra totalmente disponibile al disegno di Dio su di lei e mai vi si ribellerà. Tre realtà si rivelano determinanti nella sua formazione e nel cammino verso la santità: la famiglia, la Chiesa locale –in particolar modo il suo Vescovo- e il Movimento, a cui apparterrà come Gen (Generazione Nuova). L’Amore è al primo posto nella sua vita, in special modo l’Eucaristia, che anela a ricevere ogni giorno. E, pur sognando di formarsi una famiglia, sente Gesù come “Sposo”; sarà sempre di più il suo “tutto”, fino a farla ripetere –anche nei dolori più atroci-: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io!».
Terminate le elementari e le medie, Chiara sceglie il liceo classico. L’aspirazione a divenire medico per recarsi in Africa non è sfumata. Ma il dolore inizia a entrare nella sua vita: non compresa e accettata da un’insegnante, viene respinta. A nulla vale la difesa dei compagni: deve ripetere l’anno. Dopo un primo momento di sconforto, sul suo volto riappare il sorriso. Decisa affermerà: «Amerò i nuovi compagni come ho amato quelli di prima!» e offre la sua prima grande sofferenza a Gesù. Chiara vive in pieno la propria adolescenza: nel vestirsi ama il bello, l’armonia dei colori, l’ordine, ma non la ricercatezza. Alla mamma che la invita a vestire abiti un po’ più eleganti replica: «Io vado a scuola pulita e ordinata: ciò che conta è essere belli dentro!» e si trova a disagio se le dicono che è proprio bella. Ma tutto questo la porta più volte a esclamare: «Quant’è duro andare controcorrente!». Non si atteggia a maestra, non fa “prediche”: «Non devo dire di Gesù a parole: devo darlo col mio comportamento»; vive il Vangelo sino in fondo e rimane semplice e spontanea: è davvero un raggio di luce che riscalda i cuori.
Percorre, senza saperlo, la “Piccola Via” di Santa Teresa di Gesù Bambino. Nel gennaio 1986 in una riunione, afferma: «Ho capito l’importanza di “tagliare”, per essere e fare solo la volontà di Dio. E ancora, quello che diceva S. Teresina: che, prima di morire a colpo di spada, bisogna morire a colpi di spillo. Mi accorgo che le piccole cose sono quelle che non faccio bene, oppure i piccoli dolori…,, quelle che mi lascio sfuggire. Così voglio andare avanti amando tutti i colpi di spillo». E, al termine, questo proposito: «Voglio amare chi mi sta antipatico!».
Chiara ha una grande devozione per lo Spirito Santo e si dispone coscienziosamente a riceverlo nel sacramento della Cresima che mons. Livio Maritano, Vescovo di Acqui, le amministra il 30 settembre 1984. Si era preparata con impegno e Lo invocherà spesso chiedendo Luce, quella luce d’Amore che l’aiuterà ad esserne una piccola, ma viva, scia luminosa.
Ora Chiara è bene inserita nella nuova classe. È compresa e positivamente valutata. Tutto prosegue nella normalità finché, nel corso di una partita di tennis, un lancinante dolore alla spalla sinistra la costringe a lasciar cadere a terra la racchetta. Dopo una lastra e un’errata diagnosi, si provvede al ricovero. La TAC evidenzia un osteosarcoma. È il 2 febbraio 1989: nella Chiesa si ricorda la presentazione di Gesù al tempio. Chiara ha diciassette anni.
Inizia così la sua “via crucis”: viaggi, esami clinici, ricoveri, interventi e cure pesanti; da Pietra Ligure a Torino. Quando Chiara comprende la gravità del caso e le poche speranze non parla; rientrata a casa dall’ospedale chiede alla mamma di non porle domande. Non piange, non si ribella né si dispera. Si chiude in un assorto silenzio di 25 interminabili minuti. È il suo “orto del Getsemani”: mezz’ora di lotta interiore, di buio, di passione…, per poi mai più tirarsi indietro. Ha vinto la grazia: «Ora puoi parlare, mamma», e sul volto torna il sorriso luminoso di sempre. Ha detto sì a Gesù. Quel «sempre sì», che aveva scritto da bambina su una piccola rubrica alla lettera esse, lo ripeterà sino alla fine. Alla mamma, per rasserenarla, non mostra alcuna preoccupazione: «Vedrai, ce la farò: sono giovane!». Il tempo scorre implacabile e il male galoppa trasferendosi al midollo spinale. Chiara si informa di tutto, parla con i medici e con gli infermieri.
La paralisi la blocca, ma arriverà ad affermare: «Se adesso mi chiedessero se voglio camminare, direi di no, perché così sono più vicina a Gesù». Non perde la pace; rimane serena e forte; non ha paura. Il segreto? «Dio mi ama immensamente». Incrollabile la sua fiducia in Dio, nel suo «Papà buono». Vuole compiere sempre, e per amore, la Sua volontà: vuole «stare al gioco di Dio».
Vive momenti di totale contatto col Signore: «… Voi non potete neppure immaginare qual è adesso il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande…Mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela», e si trova a un’altezza da cui non vorrebbe mai scendere: «… lassù, dove tutto è silenzio e contemplazione»… Rifiuta la morfina perché le toglie lucidità: «Io non ho più niente e posso offrire solo il dolore a Gesù»; e aggiunge: «ma ho ancora il cuore e posso sempre amare». Ormai è tutta dono. Sempre in offerta: per la Diocesi, per il Movimento, per la gioventù, per le Missioni…; sorregge con la sua preghiera e trascina nell’Amore chiunque le passa accanto. Profondamente umile e dimentica di sé, è disponibile ad accogliere e ascoltare quanti l’avvicinano, in particolare i giovani a cui lascerà un ultimo messaggio: «I giovani sono il futuro. Io non posso più correre, ma vorrei passar loro la fiaccola come alle Olimpiadi… I giovani hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene».
Non chiede il miracolo della guarigione e si rivolge alla Vergine SS. scrivendole un biglietto: «Mamma Celeste, tu lo sai quanto io desideri guarire, ma se non rientra nella volontà di Dio, ti chiedo la forza per non mollare mai. Umilmente, tua Chiara». Come un bambino si abbandona all’amore di Colui che è l’Amore: «Mi sento così piccola e la strada da percorrere è così ardua… Ma è lo Sposo che viene a trovarmi!». Si fida totalmente di Dio e invita la mamma a fare altrettanto: «Non ti preoccupare: quando io non ci sarò più, tu fìdati di Dio e vai avanti, poi hai fatto tutto!». Fiducia incrollabile.
I dolori l’attanagliano, ma lei non piange: trasforma il dolore in amore, ed allora volge lo sguardo al suo “Gesù Abbandonato”: un’immagine di Gesù incoronato di spine, posta sul comodino accanto al letto. Alla mamma che le chiede se soffre molto risponde con semplicità: «Gesù mi smacchia con la varechina anche i puntini neri, e la varechina brucia. Così, quando arriverò in Paradiso, sarò bianca come la neve». Nelle notti insonni canta e, dopo una di queste -forse la più tragica- affermerà: «Soffrivo molto fisicamente, ma la mia anima cantava», confermando la pace del suo cuore. Negli ultimi giorni riceve da Chiara Lubich il nome di Luce: “Perché nei tuoi occhi vedo la luce dell’Ideale vissuto sino in fondo: la luce dello Spirito Santo”. In Chiara ormai non c’è che un grande desiderio: andare in Paradiso, dove sarà «tanto, tanto felice»; e si prepara alle «nozze». Chiede di essere rivestita con un abito da sposa: bianco, lungo e semplice. Predispone la liturgia della “sua” Messa: sceglie le letture e i canti… Nessuno dovrà piangere, ma cantare forte e fare festa, perché «Chiara incontra Gesù»; gioire con lei e ripetere: «Ora Chiara Luce vede Gesù!». Poco tempo prima aveva affermato con certezza: «Quando una giovane di diciassette-diciotto anni va in Cielo, in Cielo si fa festa». Le offerte della Messa dovranno essere destinate ai bambini poveri dell’Africa, come aveva già fatto con il denaro ricevuto in regalo per i 18 anni. Questa la motivazione: «Io ho Tutto!»… Come avrebbe potuto fare diversamente, se non pensare sino alla fine a chi non ha nulla?
Alle 4,10 di domenica 7 ottobre 1990, giorno della Resurrezione del Signore e festa della Vergine del Santo Rosario, Chiara raggiunge il tanto amato «Sposo». È il suo dies natalis. Nel Cantico dei Cantici (2, 13-14) si legge: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro”.
Poco prima aveva sussurrato l’ultimo saluto alla mamma con una raccomandazione: «Ciao, sii felice, perché io lo sono!». Al funerale, celebrato due giorni dopo dal “suo” Vescovo, partecipano centinaia e centinaia di persone, soprattutto giovani. Pur tra le lacrime, l’atmosfera è di gioia; i canti che si elevano a Dio esprimono la certezza che ora lei è nella vera Luce! Volando in Cielo, ha voluto lasciare ancora un dono: le cornee di quei meravigliosi occhi che, col suo consenso, sono state trapiantate in due giovani, ridando loro la vista. Oggi essi, anche se sconosciuti, sono la “reliquia vivente” della beata Chiara!
LA CAUSA DI POSTULAZIONE
L’11 giugno 1999, festa del Sacro Cuore di Gesù - esattamente cento anni dopo il giorno in cui Papa Leone XIII aveva consacrato il mondo al Sacro Cuore - mons. Maritano inizia ufficialmente l’Inchiesta per la Canonizzazione di Chiara, secondo le norme della Santa Sede per le Cause dei Santi, presso il vescovado di Acqui Terme.
Il Presule affermerà: “Mi è parso che la sua testimonianza fosse significativa in particolare per i giovani. C’è bisogno di santità anche oggi. C’è bisogno di aiutare i giovani a trovare un orientamento e uno scopo; a superare insicurezze e solitudine; i loro enigmi di fronte agli insuccessi, al dolore, alla morte; a tutte le loro inquietudini. È sorprendente questa testimonianza di fede, di fortezza da parte di una giovane di oggi: colpisce, determina molte persone a cambiare vita, ne abbiamo testimonianza quotidiana”. La Chiesa di Acqui non poteva non prestare ascolto alla corale ammirazione e gratitudine a Dio da parte di tutti coloro che avevano conosciuto Chiara Badano. Si istituisce, quindi, un Tribunale in cui vengono ascoltati 72 testimoni. Il 21 agosto 2000 il Processo diocesano si conclude. La fase romana ha avuto inizio in Vaticano il 7 ottobre 2000 presso la Congregazione delle Cause dei Santi, competente per valutare l’esemplarità della serva di Dio in ordine al decreto dell’eroicità delle sue virtù
Il 21 febbraio 2004, dopo aver raccolto e trascritto il materiale inerente a una presunta guarigione miracolosa avvenuta a Trieste nel 2001, si richiede al Vescovo del luogo di iniziare il Processo diocesano super miro. Processo che viene istituito il 25 marzo e concluso il 29 settembre 2004.
“Guarigione del giovane Andrea Bartole da “Grave stato di shock settico sepsi meningococcica, sindrome di ARDS complicata da broncopolmonite basale destra, sindrome DIC, insufficienza renale acuta, manifestazioni cutanee petecchiali ed emorragiche con tendenza a confluire ematomi generalizzati e sofferenza ipossiemica generalizzata, sofferenza del sistema nervoso centrale diffusa”. Il 3 luglio 2008 il Santo Padre autorizza il Card. José Saraiva Martins –Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi- a promulgare con Decreto la Venerabilità della Serva di Dio Chiara Badano. Da quel momento è Venerabile. Il 15 gennaio 2009 i medici convocati dalla Congregazione delle Cause dei Santi, hanno confrontato le rispettive valutazioni sul caso della guarigione attribuita all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Chiara Badano, avvenuta nel 2001 a Trieste. Unanimemente giungono alla conclusione della inspiegabilità di tale fatto per mezzo delle sole forze della natura. Si tratta di una guarigione “rapida, totale e duratura” dell’ adolescente Andrea Bartole.
Il 19 dicembre 2009 Papa Benedetto XVI firma il Decreto di approvazione del miracolo attribuito all’intercessione della Venerabile Chiara Badano. Atto a cui farà seguito il rito della Beatificazione.
Sabato 25 settembre 2010, alle ore 16, ha luogo il solenne rito di Beatificazione nel santuario della Madonna del Divino Amore (Roma – Castel di Leva), presieduto da S. Em. il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel corso della celebrazione viene annunciata la data per la festa liturgica della Beata: il 29 ottobre.
Ora, per giungere alla Canonizzazione, si attende da Dio il dono di un nuovo “miracolo”, ottenuto per intercessione della Beata Chiara. Preghiamo, chiediamolo con umile fiducia e notifichiamolo alla Postulazione: sarà un rendere lode a Dio che opera meraviglie attraverso i “piccoli”!
Autore: Mariagrazia Magrini, Vicepostulatrice
ERMELINDA DE BRABANTE, Santa
Ermelinda nacque a Lovenjoul nel Brabante (attuale Belgio), da Ermeonoldo ed Armensinda legati alla Famiglia dei Pipini.
Decise ancora giovane di rifiutare ogni proposta di matrimonio e abbandonò ogni ricchezza e beneficio, che la sua ricca famiglia le aveva comunque dato e si mise alla ricerca di solitudine e silenzio. Si fermò all’attuale villaggio di Beauvechain, dove si dedicò alle pratiche religiose, frequentando la chiesa durante la notte ed a piedi nudi. Dovette resistere a due fratelli, signori del luogo che tentarono di sedurla, essi si accordarono di prelevarla durante le preghiere notturne, ma avvertita da un angelo Ermelinda riuscì a fuggire e partì per Meldert, dove morì a 48 anni verso la fine del VI secolo.
Fu venerata a Tirlemont e soprattutto a Lovenjoul e Meldert. A Lovenjoul sgorga una sorgente d’acqua ritenuta miracolosa per la cura degli occhi, chiamata “Sorgente di s. Ermelinda”, perché irriga le terre appartenute ai suoi parenti.A Meldert il suo culto era molto popolare e lì sarebbe stata sepolta, nella chiesa sono attualmente conservate le sue reliquie che ebbero, a partire dal secolo XIII, una serie di vicissitudini, traslazioni, nascondimenti dai vari invasori, più di una ricognizione, finché il 22 luglio 1849 furono deposte definitivamente nella chiesa di Meldert. In questa città esiste ancora la Confraternita dedicata a lei (ristabilita il 2 aprile 1849).
E’ festeggiata anche nella diocesi di Malines il 29 ottobre giorno ritenuto tradizionalmente quello della morte. Il nome è caduto abbastanza in disuso ma prosegue nella forma abbreviata di Linda, diventato ormai nome a sé stante. Il significato del solo nome Linda si confonde in Italia e vari Paesi Europei con l’aggettivo “gradevole, pulita”.
Il nome Ermelinda è di origine tedesca, si divide in Erme ‘potente’ e linda da ‘linta’ “scudo” quindi abbiamo “scudo del potente”.
STEFANO MINICÍLIO, Santo
Cenni storici
L’episcopato di Stefano a Caiazzo durò 44 anni, tempo lunghissimo durante il quale il vescovo donò tutte le sue forze alla testimonianza della carità. Soleva chiamarsi confessore di Dio, così impegnato nella preghiera, nel digiuno, nella penitenza. Era questo il motivo, forse, per cui la sua fama di “prediletto del Signore” aveva varcato i confini della stessa chiesa caiatina. Già in vita, infatti, avevano cominciato a destare stupore fatti miracolosi, come quello del 982: “S. Stefano amministra la comunione ad una grande folla, nella chiesa cattedrale, quando una colonna di marmo cade sulla massa dei fedeli senza arrecare alcun danno”. Fu il primo di una lunga serie di miracoli.
Nell’anno successivo, ricorrendo la Pasqua, accadde: “Il santo vescovo ha celebrato l’Eucaristia e porge il calice ad un chierico perché lo asterga. Il calice era di vetro, secondo l’uso del tempo, e per la forza usata si frantuma in mille pezzi. Stefano vede e, dopo aver pregato, il sacro vaso ritorna, fra lo stupore degli astanti che vedono manifesto il dito di Dio, alla primitiva integrità”.
Il 29 ottobre 1023 Stefano passava alla gloria del cielo e la sua salma fu deposta nel sottosuolo della cattedrale, divenuta subito meta di pellegrini provenienti da ogni parte della Campania. Numerosi furono gli eventi prodigiosi accaduti presso il suo sepolcro, come ad esempio la guarigione di alcuni sacerdoti e di molte altre persone da mali fisici e la liberazione di una donna da Satana. Numerosi altri prodigi si manifestarono in ogni tempo, che valsero a Stefano l’appellativo di taumaturgo.
Il 22 luglio 1284 la cattedrale rifatta ed abbellita, originariamente dedicata alla Vergine Assunta, fu consacrata in onore di Stefano, acclamato santo, secondo le consuetudini del tempo.
Il culto verso il santo crebbe sempre più e questo indusse nel 1512 il vescovo di Caiazzo a risistemare il corpo del Patrono. Si scavò molto nella cattedrale ma la salma di Stefano non venne alla luce, facendo temere il furto. Fu allora che al vescovo, rivoltosi alla santa Vergine, fu indicato di scavare ancora più profondamente fino all’apparire delle acque. Durante lo scavo si cominciò ad avvertire un soavissimo profumo che, crescendo di intensità, portò al rinvenimento del sepolcro di santo Stefano e del suo corpo totalmente incorrotto, ancora vestito del piviale, della mitria e con la croce sul petto (croce di grande interesse storico-artistico che ancora oggi si conserva. Si veda “Osservatore Romano” n. 25 del 1940, p. 3). Il corpo fu poi collocato in un altare laterale della cattedrale e nei secoli ancora risistemato, fino a giungere alla ubicazione attuale.
La concezione cristiana di Stefano
Stefano ebbe piena la consapevolezza di essere “uomo di Dio” e di essere mandato per i figli di Dio. Non ebbe mai esitazione, infatti, a schierarsi dalla parte dei poveri e degli oppressi, secondo lo spirito di Gregorio Magno e di Gregorio di Tours, monaci come lui, che univano la vita contemplativa a quella attiva.
Naturalmente in tempi così tormentati dalla violenza della forza di un diritto esclusivamente a salvaguardia e privilegio di pochi uomini, il levarsi di una voce che additava un regno di giustizia, di misericordia, di bontà, fu come una luce improvvisa che rischiarava le tenebre ed indicava senza incertezza all’uomo la via da seguire.
Nella parola del santo appare chiaro il sorgere di un nuovo incomparabile senso della vita. L’affermazione del dolore, rappresentandolo come qualcosa di insignificante al confronto della realtà in Cristo, apre all’uomo un nuovo mondo.
L’aspirazione all’amore e alla felicità rileva ed accresce necessariamente il senso del dolore insito nella gran parte degli aspetti della vita umana. Porre in luce le miserie e i dolori dell’esistenza rende più acuto il desiderio dell’amore e della felicità in Cristo e la vita acquista in verità ed interiorità.
Stefano però è anche lontano da ogni pessimismo sfiduciato come da ogni superficiale ottimismo; il mondo immediato, la cui miseria minaccia l’uomo, non è per lui una realtà ultima: una fede incrollabile lo rinvia al regno della vita di Dio, superiore a tutti i contrasti.
Tali concezioni venivano esposte ai numerosi fedeli che sempre seguivano le sue prediche, con parole semplici, comprensibili soprattutto alla povera gente che costituiva la gran massa degli uditori e che vedevano in lui Stefano il protettore degli oppressi, l’intermediario col più potente dei potenti, ma un potente infinitamente giusto.
Il santo vescovo diede un volto nuovo alla Chiesa, fece rivivere negli atteggiamenti e nelle opere quel Magistero che non aveva temuto di affermare la propria supremazia su tutto il potere temporale. Aveva riacceso nel cuore degli uomini oppressi e sfiduciati quella fede, quell’amore, quella sicurezza, quella completa fiducia in una Chiesa che si erigeva potente a salvaguardia del rispetto della personalità e di una legge morale che era insita nel diritto naturale delle genti.
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MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
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