... e ainda...
JOANA IRRIZALDI, Beata
ra monaca mercedaria, la Beata Giovanna Irrizaldi, nel monastero di San Giuseppe in Nalan, cittadina delle Asturie in Spagna, dove visse testimoniando in modo esemplare la sua fede in Cristo. Nota per il miracolo compiuto, dovendo essa dirigersi altrove, in mancanza di un’imbarcazione distese un candido velo sulle onde del mare e salitavi sopra, fu trasportata dalle acque senza che le si bagnassero nemmeno i piedi. Terminata la sua vita terrena il corpo fu sepolto nel suo monastero
GUILHERME GIRALDI, Beato
Ottavo priore del convento di Barcellona, il Beato Guglielmo Giraldi, fu un religioso mercedario santissimo e zelantissimo. Due volte andò in terra d’africa per redenzioni, una in Algeria l’altra in Marocco e liberò dalle catene dei mussulmani 453 schiavi. Morì santamente a Barcellona
LAZZARO SHANTOJA, Beato
Formazione sacerdotale e letteraria
Lazër Shantoja nacque a Scutari in Albania il 2 settembre 1892. Stimolato dall’esempio di un suo zio, comprese di dover diventare sacerdote: studiò quindi nel Seminario della sua città, retto dai padri Gesuiti. Proseguì la formazione a Innsbruck, in Austria, dove imparò il tedesco.
Vivace e curioso, seguì da vicino i tentativi del popolo albanese di liberarsi dal dominio dell’impero ottomano. Allo stesso tempo, continuò a studiare pianoforte e si cimentò nelle sue prime composizioni letterarie.
Il parroco col pianoforte
Una volta ordinato sacerdote, nel 1920, rientrò in Albania e fu subito nominato parroco di Sheldija, un paese di montagna a est di Scutari. Una volta stabilito lì, si fece portare il suo pianoforte caricato sul dorso di un asino: fu così che venne soprannominato “il parroco col piano”.
Iniziò subito il suo ministero, facendosi apprezzare dai suoi parrocchiani per le sue naturali capacità di guida, non solo spirituale.
Segretario dell’arcivescovo di Scutari
Nel 1924, mentre l’Albania indipendente era in lotta coi popoli vicini, il nuovo arcivescovo di Scutari, monsignor Lazër Mjeda, chiese a don Lazër di diventare suo segretario. Lui obbedì, ma i parrocchiani montanari non erano affatto d’accordo: accettarono solo quando compresero che non c’era molto da discutere con l’autorità del vescovo. Così, con aria amareggiata, accompagnarono il loro ex parroco nella nuova destinazione, insieme all’immancabile asino che trasportava il pianoforte, i libri e gli spartiti.
La sera, nel tempo libero dagli impegni, don Lazër si dedicava al suo amato strumento, tanto che in breve, sotto le finestre del palazzo arcivescovile, si radunavano molti passanti per quei concerti improvvisati.
Un acuto polemista
Il suo incarico principale, oltre all’assistenza al vescovo, fu quello d’incentivare le iniziative perché l’Albania potesse essere considerata al pari delle altre nazioni europee. In tal senso accettò di partecipare attivamente alla redazione del quotidiano «Ora e maleve» (La Difesa delle Montagne), organo ufficiale della Democrazia Cristiana albanese, che si diffuse ben oltre il partito, l’ambito cattolico e quello nazionale.
I suoi articoli, scritti con uno stile arguto e polemico, gli valsero il rispetto anche dagli avversari politici, proprio per il modo con cui trattava i vari argomenti.
Lontano dalla patria
Tuttavia, quando il capo militare Ahmet Zogu si autoproclamò re col nome di Zog I e instaurò una politica repressiva, molti intellettuali e partigiani lasciarono l’Albania. Tra di essi, don Lazër, che riparò in Jugoslavia, poi passò a Vienna e, infine, si stabilì in Svizzera. Inizialmente risiedette a Berna, ma dal 1935 al 1939 esercitò il ministero a La Motte, sulle Alpi bernesi.
Continuò anche la sua attività culturale: tradusse Goethe, Schiller e alcuni poeti italiani. Produsse anche saggi brevi, articoli e poesie. Allo stesso tempo, mirava a costruire un’opera centrata sui valori tradizionali del focolare, concretizzati nelle fiamme che simboleggiavano la libertà basata sulla fede in Dio.
Viveva in ardente nostalgia per la sua patria, così da confidare al poeta Ernest Koliqi, che era andato a trovarlo: «Ho bisogno di mangiare formaggio di capra su pane doppio, e che questo formaggio conservi il sapore del fogliame dei nostri faggeti, in cui si nutrono le capre». Fuor di metafora, sentiva la necessità di restare in contatto con le proprie origini, aiutato in questo dalla madre, che l’aveva accompagnato e che parlava solo albanese.
Il rientro e la persecuzione
Nel 1938 fu in grado di tornare in Albania e scelse di stabilirsi a Tirana, insieme alla madre, in una piccola casa, per dedicarsi solo alla letteratura. In seguito alla sua morte si scoprì che aveva dedicato alcuni sonetti, volutamente anonimi, a una donna. Il fatto scandalizzò molti, ma era allo stesso tempo indicativo del suo animo sensibile alla bellezza, anche di quella degli esseri umani.
Tuttavia, la prese di potere da parte dei comunisti lo rese subito sgradito: negli anni della seconda guerra mondiale, infatti, si era avvicinato agli italiani fascisti, ma ne aveva subito preso le distanze.
Il martirio e la beatificazione
Venne subito torturato, tanto che gli furono spezzati gambe e braccia: poteva trascinarsi alla sua cella puntando sulle ginocchia e sui gomiti. Sua madre, un giorno, andò a trovarlo, ma non resistette a quella vista: «Compro io il proiettile per ucciderlo», supplicò i soldati, «ma non lasciatelo più in queste terribili condizioni!». I persecutori, invece, aspettarono ancora qualche tempo, poi una soldatessa lo finì con una pallottola alla nuca.
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, don Lazër Shantoja è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
PONZIO, Santo
San Ponzio (Ponce) è un abate dell’abazzia benedettina di Sant’André a Villeneuve-lès-Avignon, che si pensa sia stat fondata prima del 980, e approvata con una bolla papale nel 999. Nell’elenco degli abati, in alcuni testi figura al settimo posto, in altri quelli più attendibili al decimo, dopo Roland e prima di Pierre I Damiac.
San Ponzio guidò il monastero, per ventiquattro anni, dal 1063 al 1087. Si ricorda che nell’abbazia si fecero monaci anche suao padre e suo fratello.
Uomi di grande santità, la sua “Vita” venne scritta nel 1097 da uno dei suoi monaci, un certo Raimondo, che non si preoccupò di lasciarci le note biografiche ma solo i miracoli di san Ponzio.
Non sappiamo la data certa della sua morte, in quanto si tramandano due giorni per il suo decesso: il 24 o 26 marzo 1087. San Ponzio fu sepolto nella chiesa del monastero, luogo, dove nel 1887, vennero ritrovate le sue reliquie. Attualmente i suoi resti sono stati traslati nella parrocchiale di Villeneuve.
In un breviario di Avignone del XV secolo conservato a Besançon (m.137) San Ponzio viene ricordato nel giorno 26 marzo, mentre nella diocesi di Nimes, la celebrazione della sua festa è stata fissata nel giorno 5 marzo.