sábado, 24 de dezembro de 2016

Nº 2967 - (358-2016) - SANTOS DE CADA DIA - 24 DE DEZEMBRO DE 2016 - DÉCIMO ANO

Caros Amigos:



Nova foto do autor

Entramos na última Semana do Advento, o que quer dizer que no próximo Domingo é dia 25 - DIA DE NATAL


Nº 2967 - (358-2016)

24 de DEZEMBRO de 2016

SANTOS DE CADA DIA

10º   A N O



 miscelania 008



LOUVADO SEJA PARA SEMPRE 
NOSSO SENHOR JESUS CRISTO 
E SUA MÃE MARIA SANTÍSSIMA



**********************************************************

Comemorar e lembrar 
os Santos de cada dia, 
é dever de todo o Católico, 
assim como procurar seguir os seus exemplos
___________________________________________________________________________
===========================================

===========================================

TODOS OS ANTEPASSADOS DE 
JESUS CRISTO, SANTOS


     



Comemoração de todos os SANTOS ANTEPASSADOS DE JESUS CRISTO filho de DAVID, filho de ABRAÃO, filho de ADÃO, isto é, dos patriarcas que agradaram a Deus e foram encontrados justos, os quais, sem terem obtido a realização das promessas, mas vendo-as e saudando-as de longe, morreram na fé: deles nasceu Cristo segundo a carne, que está sobre todas as coisas, Deus bendito por todos os séculos.

Texto de www.santiebeati.it

In data 24 dicembre il Martirologio Romano riporta la “Commemorazione di tutti i santi antenati di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, ovvero di quei padri che piacquero a Dio e che, trovati giusti, pur senza avere ricevuto le promesse, ma avendole soltanto guardate e salutate da lontano, morirono nella fede: da essi nacque secondo la carne il Cristo, che è al di sopra di tutto il creato, Dio benedetto nei secoli”.
Proprio sul far della sera del 24 dicembre, nella Messa Vespertina nella Vigilia del Natale del Signore, la liturgia ci propone l’incipit del Vangelo di Matteo, in cui sono elencati gli antenati di Gesù:
Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Àcaz, Àcaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici. (Mt 1,1-17)

La liturgia, nei Vespri del 19 dicembre, ci propone quale antifona al Magnificat:
O Germoglio di Iesse,
che ti innalzi come segno per i popoli:
tacciono davanti a te i re della terra,
e le nazioni t'invocano:
vieni a liberarci, non tardare.

“Germoglio che spunta dal tronco di Iesse” (Is 11,1) o “radice di Iesse” (Is 11,10; Rm 15,12) sono alcuni fra i titoli che vengono attribuiti a Gesù Cristo, per indicare che Dio rimane fedele al suo popolo e mantiene la promessa fatta al re Davide (cfr. 1 Sam 16, 1-13).
Nell’arte cristiana l’albero genealogico del Messia viene rappresentato come un albero alle cui radici è posto appunto il patriarca Iesse, padre del Re Davide, sui rami sono posti i re ed i profeti, mentre sulla cima è posto il Cristo.


Delfim de Bordeaux, Santo




Em Bordéus, na Aquitânia, hoje França, São DELFIM bispo que em união de estreita amizade com São PAULINO DE NOLA trabalhou valorosamente para repelir os erros de Prisciliano. (404)

Tarsila, Santa




Em Roma, a comemoração de Santa TARSILA virgem, cuja oração contínua, vida honrosa e singular abstinência é louvada por São GREGÓRIO MAGNO seu sobrinho. (593)


Irmina de Tréveris, Santa




Em Tréveris, na Austrásia, Alemanha, Santa IRMINA abadessa do cenóbio de Ohren que, sendo consagrada a Deus, construiu um pequeno mosteiro na sua herdade de Echternach, o doou a São VILIBRORDO e dotou com os seus bens. (710)


   
João de Kent ou Câncio, Santo



Em Cracóvia, na Polónia, o dia natal de São JOÃO DE KENT ou CÂNZIO cuja memória se  celebrou ontem dia 23 de Dezembro. (1473)



Bartolomeu Maria dal Monte, Beato


  

Em Bolonha, na Emília-Romanha, Itália, o beato BARTOLOMEU MARIA DAL MONTE presbítero que pregou ao povo cristão e ao clero a palavra de Deus em muitas regiões da Itália e com esta finalidade fundou a Obra Pia das Missões. (1778)


Paula Isabel (Constância Cerióli), Santa



Em Comonte, perto de Bérgamo, na Lombardia, Itália, Santa PAULA ISABEL (Constância Cerióli) que, depois de ter perdido prematuramente todos os seus filhos e de ficar viúva, despendeu todos os seus bens e as suas forças para a formação das crianças camponesas e dos órfãos sem esperança de futuro e, fundando o Instituto das Irmãs e a Congregação dos Pais e Irmãos da Sagrada Família, orientou-os com materna alegria para o Senhor. (1865)


Sarbélio Makhluf (José Makhluf), Beato



Em Anaya, no Líbano, o dia natal de São SARBÉLIO MAKHLUF (José Makhluf) cuja memória se celebra no dia 24 de Julho. (1898)





...  e, A i n d a ...


6 Monjas Mercedárias de Merriz - Maria Anna Prieto, Anna de Arrano, Orsola de Larisgoizia, Maria Maguna, Marguerita da Sarria e Maria dell'Assunzione, Beatas



Mercedarie nel grande convento di clausura di Vera Cruz in Berriz (Spagna) le Beate: Maria Anna Prieto, Anna de Arrano, Orsola de Larisgoizia, Maria Maguna, Margherita da Sarria e Maria dell’Assunzione, furono insigni monache per la preghiera, la mortificazione, l’umiltà e la contemplazione. Colme di meriti e opere sante migrarono onorevolmente al Signore eterno Sposo. L’Ordine le festeggia il 24 dicembre

Adele de Pfalzel, Santa





Fondatrice e prima abbadessa del monastero benedettino di Pfalzel (Treviri), che aveva la stessa regola dei monasteri di Ohren e di Nivelles; nonna ed educatrice di s. Gregorio di Utrecht. Morì ca. il 730. E' da identificare con l'abbadessa Adola, destinataria d'una lettera dell'abbadessa Elfled di Streaneshalch e con Adula, «religiosa matrona nobilis», che era a Nivelles il 17 marzo 691 e il cui figlioletto fu ivi salvato dall'annegamento. Poco sicura è invece l'identificazione di Adele con Attala, figlia di s. Irmina, come anche non è dimostrato che Adele fosse figlia di Dagoberto II e sorella di s. Irmina; infine, non genuino è il «testamentum Adulae». Mabillon sembra nutrire qualche riserva sulla santità di Adele, che peraltro ha attestazioni antiche, come quella riportata da un lezionario medievale dallo Schorn («Haec sanctissima A. plena dierum migravit ad Christum»), da cui risulta altresì che Adele fu sepolta nel suo monastero. Nel 1802 il sepolcro fu tolto; la cassa con le reliquie, portata nella chiesa parrocchiale di S. Martino, fu aperta nel 1868: non vi si trovò che una copia del testamento di s. Adele e un verbale del 1802. La tavola di piombo della traslazione del 1207 e l'originario coperchio del sepolcro furono rinvenuti nello stesso anno dietro l'altare maggiore, mentre la testa e le ossa della santa, nascoste sotto lo stesso altare, si scoprirono nel 1933. 
La memoria di s. Adele è ricordata il 18 e, per lo più, il 24 dic., insieme con quella di s. Irmina. Ha culto locale e popolare.
S. Adele di Pfalzel è legata al nome di un altro grande apostolo della Germania, l'inglese S. Bonifacio che predicò il vangelo in Frisia, nella prima metà del secolo VIII. Durante uno dei suoi frequenti viaggi dalla Frisia alla Renania l'instancabile missionario fu ospite del monastero di Pfalzel, presso Treviri, di cui era badessa Adele.
La tradizione vuole che questa santa, rimasta vedova, entrasse nel monastero da lei stessa fondato, portandosi dietro il nipotino Gregorio. Durante la sosta nel monastero Bonifacio parlò così bene delle verità evangeliche che il ragazzo, ammirato, volle seguirlo. Divenne uno dei più zelanti discepoli del grande missionario. E’ uno sprazzo di luce sulla nebulosa storia di questa santa il cui ricordo si confonde con quello più vivido di S. Irmina, accomunate dalla santità se non dalla parentela.


Autore: Alfonso M. Zimmermann


Angelina de Terni, Beata





Beata Angelina da Terni è una clarissa che visse nel monastero romano dei SS. Cosma e Damiano o di San Cosimato in Trastevere, che passò alle suore recluse di San Damiano nel 1233. Le poverelle o monache erano state inviate da Santa Chiara per “mitigare con la vita di preghiera e di sacrificio l’ira di Dio sulla città eterna” e si erano insediate nella città eterna nel periodo iniziale dell’Ordine, prima ancora dell’approvazione della Regola di Chiara nel 1253.
Non sappiamo nulla della sua vita. La Beata Angelina visse nel tredicesimo secolo e morì nel 1459.
Nel martirologio francescano viene ricordata in questo mondo: “sanctitate illustris ad Agni nuptias vocata est”.
In quel testo la beata Angelina era ricordata il giorno 24 dicembre

Anonne de Worms, Santo




Sant’Annone o Hanno è il tredicesimo vescovo di Worms, una delle più piccole diocesi della Germania, la cui origine risale al IV secolo. Nella cronotassi succede a Bichowo e precede Ildeboldo.
Sant’Annone fu un monaco benedettino del monastero di San Massimiano a Treviri.
Dopo questa prima esperienza, nel 937 venne nominato abate del monastero di San Maurizio a Magdeburgo, dall’imperatore Ottone I.
L’imperatore affido a Sant’Annone l’educazione dei propri figli.
Nel 950 fu nominato vescovo di Worm. Gli storici concordano che morì il giorno 23 novembre 978.
Non vi è alcuna traccia del suo culto.
Nei martirologi benedettini viene ricordato come santo il 24 dicembre



Dionisio Roneo, Filippo Claro, Giulio Pons e Pietro de Valladolid, Beatos



Mercedari redentori i Beati: Dionisio Roneo, Filippo Claro, Giulio Pons e Pietro da Valladolid, liberarono molti schiavi dal duro giogo dei mussulmani. Virtuosi e pieni di zelo verso la salute delle anime, carichi di meriti arrivarono gloriosi al regno celeste. L’Ordine li festeggia il 24 dicembre.

Giacobbe, Santo




Il nome Giacobbe deriva da “ageb” cioè “tallone, calcagno” e più specificamente “afferrare per il calcagno o soppiantare”; il nome gli fu imposto perché al momento del parto, teneva con la mano il calcagno del fratello gemello Esaù, nato per primo e quindi destinatario del diritto di primogenitura, così importante nella scala familiare e sociale del tempo.
I suoi genitori furono il patriarca Isacco e Rebecca, la quale essendo sterile, in virtù delle preghiere rivolte a Dio dal marito Isacco, alla fine in età avanzata rimase incinta di due gemelli, appunto Esaù e Giacobbe che si urtavano nel seno materno, quasi presagio delle lotte fraterne che sarebbero accadute dopo la nascita.
Nacquero e crebbero nella Terra di Canaan, finché, secondo il racconto della Genesi (cap. 25 a 35), Giacobbe riuscì ad ottenere i diritti della primogenitura dal fratello Esaù in cambio di un piatto di lenticchie, in un momento in cui era stanco ed affamato.
Poi essendo il loro padre Isacco vecchio ed ammalato, questi volle impartire la benedizione dei patriarchi al primogenito, allora Giacobbe approfittò della momentanea assenza di Esaù dal villaggio e con la complicità e suggerimento della madre Rebecca, della quale era il favorito, indossò una pelliccia di animale, così da poter passare per Esaù che era molto peloso, infatti Isacco quasi cieco non si accorse del camuffamento e impartì la benedizione a Giacobbe credendolo Esaù.
Ciò suscitò l’ira del fratello, quando ritornato apprese dell’inganno e visto che secondo le ancestrali regole, la benedizione una volta data non poteva essere ritirata, né impartita anche a lui, perciò per vendicarsi Esaù fece il proposito di ucciderlo.
Rebecca allora per salvarlo, inviò Giacobbe presso la sua parentela di origine nella Terra di Paddan-Aram; nella casa di suo padre Betel e di suo fratello Labano.
Lo scopo non era solo allontanarlo dalla vendetta di Esaù, ma anche per fargli trovare una moglie, nella cerchia della sua parentela, secondo la legge della “endogamia”, che prescriveva di non sposare donne di altre tribù al fine di preservare la discendenza del proprio clan; ciò era già avvenuto proprio con Rebecca cugina di Isacco.
Così Giacobbe partì con la benedizione di Isacco, verso Carrai città di origine di Abramo, Isacco e Rebecca, situata nella fertile e pianeggiante regione di Paddan-Aram; mentre Esaù si sposò con donne del luogo.
Durante il cammino per giungere dallo zio Labano, Giacobbe si fermò in una località detta allora Luz (nome che fu poi cambiato in Betel = Bet-El, casa di Dio); prese una pietra, vi appoggiò il capo e si addormentò.
Nel sonno vide una scala che in basso poggiava sulla terra e in alto toccava il cielo, sulla quale salivano e scendevano angeli, nel frattempo Dio dalla sommità, gli prediceva che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come la polvere detta terra e che lo avrebbe tenuto sempre sotto la sua protezione; Giacobbe fece voto di riconoscerlo sempre come suo Dio e di ritornare in quel luogo per trasformarlo in santuario.
Presso Labano, Giacobbe s’invaghì della cugina Rachele e la chiese in sposa al padre suo zio, il quale gliela promise a patto che lavorasse per lui come pastore per sette anni, affinché con il suo lavoro potesse ‘riscattarla’, secondo la prassi orientale, dalla famiglia di appartenenza, facendola diventare così “sua”.
L’amore di Giacobbe per la giovane e bella Rachele, fece sembrare quel lungo periodo di sette anni, come fossero passati pochi giorni e al termine dei quali si organizzò finalmente un banchetto per il promesso matrimonio.
Ma come un colpo di scena teatrale, nell’oscurità della sera, Labano fece condurre nella tenda di Giacobbe non Rachele, ma la figlia maggiore Lia tutta velata, la quale era ancora nubile e non della stessa bellezza.
Al mattino dopo Giacobbe accortasi dell’inganno, protestò vivamente con Labano, il quale si giustificò dicendo che era usanza di sposare prima la figlia maggiore se nubile.
In effetti Giacobbe fu ripagato allo stesso modo, dell’inganno fatto ad Isacco a scapito di suo fratello Esaù; proprio da un parente più furbo di lui.
Labano gli disse allora: “Finisci la settimana nuziale con Lia, poi ti darò anche Rachele, per il servizio che tu presterai ancora presso di me per altri sette anni”.
Non si dimentichi che la poligamia era ampiamente praticata nell’antico Vicino Oriente, a questo punto a Giacobbe non restò altro che accettare e dopo la prescritta settimana con Lia, poté realizzare il suo lungo sogno e “si accostò a Rachele e l’amò più di Lia”.
Lo scrittore del sacro testo biblico, descrive poi le inevitabili tensioni suscitate dalla relazione a tre di Giacobbe e le due mogli; tanto più che Lia più trascurata, era però feconda, mentre Rachele amata era sterile.
Lia partorì quattro figli, Ruben, Simeone, Levi, Giuda, capostipiti di celebri tribù. Risultati vani i tentativi di generare figli propri, Rachele ricorse alla possibilità di generare per interposta persona, secondo l’uso orientale; quindi offrì a Giacobbe la propria schiava Bila affinché potesse avere un figlio tramite di lei.
Questo ripiego era già avvenuto tempo prima con Sara moglie sterile di Abramo e la sua schiava Agar, che generò Ismaele considerato poi figlio di Sara; dalla schiava Bila Abramo ricevé due figli Dan e Neftali.
Il racconto biblico prosegue descrivendo la situazione familiare di Giacobbe, che venne trovarsi al centro della competizione fra le due sorelle a dargli dei figli, si ricorda che compito principale della donna era quello di generare figli e ciò era anche indice della benedizione di Dio sul nucleo familiare e sulla tribù.
Lia la prima moglie, visto che Giacobbe fra l’altro ormai in età matura, non si accostava più a lei perché non l’amava, gli offrì la sua schiva Zilpa per avere altri figli; da lei nacquero Gad e poi Aser.
In seguito Rachele concesse alla sorella Lia un’altra notte con Giacobbe, in cambio di un’erba (mandragora) ritenuta efficace contro la sterilità.
A Lia nacque così Issacar e in seguito ancora un sesto figlio Zabulon e una figlia Dina; a questo punto si legge nella Genesi che Dio “si ricordò” di Rachele, esaudì le sue preghiere e la rese feconda, ed ella concepì e partorì un figlio chiamato Giuseppe.
Conclusasi la storia delle quattro madri e dei loro undici figli, ritorna nel racconto biblico la figura di Labano, zio di Giacobbe e padre di Lia e Rachele. Orami erano trascorsi una ventina d’anni circa, che Giacobbe lavorava per lui a Paddan-Aram e quindi gli sorse il desiderio di ritornarsene a Canaan sua terra d’origine, tanto più che i rapporti con lo zio-suocero erano diventati più difficili.
Per questo fu necessario mettere in atto dei raggiri ed inganni riguardo le greggi, per rifarsi dei danni e soprusi subiti da Labano; con il consenso delle due mogli, che si ritenevano vendute a suo tempo dal padre, con il seguito delle due schiave e degli undici figli, padrone ormai di numerosi armenti e servitori, Giacobbe di nascosto lasciò la casa di Labano diretto a Canaan.
Lungo la strada fu raggiunto dal suocero che l’accusò di avergli sottratto figlie e nipoti e in più di aver rubato i “teafini” dalla sua casa, sorta di statuette indicanti le divinità familiari, in realtà esse erano state prese da Rachele, all’insaputa di Giacobbe, per portarle con sé in segno di protezione o di memoria del suo passato; alla fine Giacobbe e Labano si lasciarono rappacificati e stringendo un’alleanza.
Ripreso il cammino, a Giacobbe apparve una schiera di angeli, come un esercito schierato, nella località di Macanaim; la visione lo confortò e confermò la presenza di Dio che lo proteggeva e lo guidava, così come gli aveva indicato di partire da Labano.
Giunta la carovana verso il paese di Seir nella campagna di Edom, Giacobbe inviò dei messaggeri al fratello Esaù, annunciandogli il suo ritorno e sperando nel suo perdono.
Esaù gli andò incontro con quattrocento uomini, lo spaventato Giacobbe, che però confidava nell’aiuto di Dio, inviò davanti a sé a scaglioni delle greggi di capre, pecore, cammelle, giovenche, asini e torelli, affinché tali doni potessero placare la prevista ira del fratello; mentre egli trascorreva la notte in attesa, accampandosi dopo aver guadato il fiume Iabbok, un affluente del Giordano.
Qui durante la notte avvenne un episodio di grande potenza e fascino; un essere celeste (un angelo di Dio) lo affrontò e lottò con lui per tutta la notte fino all’alba; gli domandò il suo nome e gli disse: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e gli uomini e hai vinto”; Giacobbe chiamò poi quel luogo ‘Penuel’.
Il racconto di recondito significato, più che alla persona fisica di Giacobbe, si riferisce al popolo da lui derivato. Il significato del soprannome Israele è incerto, è probabile che in origine significasse “Dio si mostri forte”, interpretato poi “egli è stato forte contro Dio”.
All’alba comparve all’orizzonte Esaù con il suo numeroso seguito e Giacobbe gli andò incontro prostrandosi a terra per sette volte, ma il fratello lo abbracciò e fra le lacrime di entrambi si rappacificarono. Poi Giacobbe presentò le mogli con i rispettivi figli e le schiave con i loro figli; riconciliatosi, i due fratelli si divisero di nuovo, perché le lenti greggi e i numerosi bambini della carovana di Giacobbe, non potevano tenere il passo con le veloci cavalcature di Esaù.
Giacobbe si diresse verso Sichem al centro della regione montuosa della Palestina e qui si accampò in un terreno acquistato dal principe locale. A Sichem avvenne l’increscioso episodio del rapimento della figlia di Giacobbe e Lia, Dina, da parte del principe ereditario Sichem, il quale dopo averla violentata se ne innamorò e fece chiedere al padre Camor, di averla come moglie da Giacobbe.
Camor offrì anzi la possibilità di stabilirsi definitivamente nel suo territorio alla tribù di Giacobbe, offrendo anche una cospicua somma come prezzo nuziale.
A questo punto subentra un atto non edificante, anzi esecrabile con il ragionamento di oggi. I fratelli di Dina, finsero di accettare, anzi imposero che nelle clausole dell’alleanza fra la loro tribù d’Israele e i Sichemiti, fosse introdotta la circoncisione degli uomini; per la pace desiderata essi accettarono; però quando buona parte degli uomini validi, era in preda a dolori e la febbre che ne seguì, Simeone e Levi, fratelli di Dina per vendicarne l’onore, penetrarono in città con i loro uomini, uccidendo tutti i maschi e anche il principe Camor e il figlio Sichem, saccheggiando poi tutti i beni ed i greggi.
Giacobbe condannò blandamente i due figli e questo è un aspetto negativo, ritenendo poi opportuno partire da quei luoghi, per salvare l’intera tribù dalla vendetta dei superstiti e dei popoli vicini.
Rimessosi in cammino, la tribù s’incamminò verso Betel sul luogo dove Giacobbe aveva avuto il sogno premonitore della promessa di Dio, riguardo alla sua numerosissima discendenza; qui il patriarca eresse una stele di pietra considerandolo luogo sacro.
Proseguendo nel cammino si arrivò nei pressi di Efrata, dove Rachele che era incinta per la seconda volta, ebbe un parto molto difficile e morì mettendo alla luce il secondo figlio Beniamino e sulla strada per Betlemme fu sepolta; l’afflitto Giacobbe eresse sulla tomba una stele ancora oggi esistente, il mausoleo è meta di pellegrinaggio degli ebrei.
Giunti ad Hebron si fermarono presso Isacco padre di Giacobbe, il quale morì all’età di 180 anni assistito così dai due figli Esaù e Giacobbe.
Stabilitasi nella terra dei suoi avi ad Hebron, le storie di Giacobbe nella narrazione biblica, lasciano il passo a quelle dei suoi figli, in particolare di Giuseppe, il figlio amato giunto nella sua vecchiaia, che fu per gelosia venduto dai fratelli a dei mercanti e giunse in Egitto dove divenne grande alla corte del Faraone.
Giacobbe è presente ancora nelle storie di Giuseppe, che poté riabbracciare in Egitto dopo averlo creduto morto e presso il quale morì all’età di 130 anni.
Fu sepolto secondo la sua volontà nella grotta di Makpela in Canaan, diventata il luogo di sepoltura dei suoi avi Abramo, Sara, Isacco, Rebecca e anche della sua prima moglie Lia.
Prima di morire, Giacobbe in una solenne riunione attorno al suo letto, pronunciò le benedizioni sui suoi dodici figli e in estensione ai dodici popoli d’Israele, che da loro sarebbero derivati. Ricordiamo i loro nomi: Ruben, Levi, Simeone, Giuda, Issacar, Zabulon, dalla moglie Lia; Giuseppe e Beniamino dalla moglie Rachele; Dan e Neftali dalla schiava Bila; Gad ed Aser dalla schiava Zilpa; inoltre Dina anch’essa figlia di Lia.
Il patriarca fu pieno della persuasione di vivere alla presenza di un Dio, che l’aveva scelto per realizzare le promesse fatte ad Abramo ed Isacco.
Non vacillò nella sua fede verso questo Dio, neanche nei momenti più tragici della sua vita, che fu molto infelice e in definitiva più breve nei confronti degli altri patriarchi.
Le numerose rivelazioni divine testimoniano dell’intensità della sua unione mistica con Dio. Come gli altri patriarchi del Vecchio Testamento, Giacobbe è stato sempre ricordato nelle Chiese Cristiane nel periodo dell’Avvento; nel Martirologio Romano della Chiesa Cattolica egli è ricordato insieme agli avi santi e giusti di Gesù, partendo da Adamo, il 24 dicembre vigilia della nascita di Cristo, dai quali discendeva nella sua vita terrena.



Gregório de Spoleto, Santo


Una passio racconta che Gregorio, sacerdote di Spoleto, denunziato per la sua fede e per il suo proselitismo, subí il martirio nella propria città Sub Diocletiano. Fu sepolto il 23 dicembre vicino alle mura della città presso un ponte di pietra, per opera di una pia donna di nome Abbondanza. Nella narrazione si susseguono interrogatori, vari supplizi, miracoli e visioni, ma essa fa parte delle composizioni prive di ogni valore storico: "Tutto manifesta l'invenzione: i nomi dei personaggi, i luoghi comuni dell'interrogatorio, il succedersi dei supplizi classici, il meraviglioso dietro comando, lo stile affettato". Il santo è sconosciuto a tutte le fonti agiografiche prima di Adone, il quale lo conosce esclusivamente attraverso la passio. Il Delehaye, seguito dal Lanzoni, avanzá la ipotesi che il Gregorio di Spoleto debba identificarsi con Gregorio di Lilibeo. L'unico argomento in favore, però, è dato dal fatto che sia il martire di Lilibeo sia quello di Spoleto siano stati uccisi sotto un tiranno Tircano. Infatti nella Vita di s. Gregorio di Agrigento, unica fonte per Gregorio di Lilibeo, scritta da Leonzio abate di S. Saba di Roma verso la fine del sec. VII, è narrato come questo santo fu gettato nella prigione, dove era stato rinchiuso Gregorio di Lilibeo, il quale vi aveva subito il martirio per opera del tiranno Tircano. L'autore della passio di Gregorio di Spoleto, voleva cosí celebrare s. Gregorio di Lilibeo, trasportandolo a Spoleto, secondo i metodi arbitrari degli agiografi del tempo.
È però da osservare che secondo il Lanzoni, la passio di Gregorio di Spoleto sarebbe stata composta "tra la fine del V e il principio del VI secolo" (p. 438), per cui, se quella di Gregorio di Agrigento fu composta alla fine del sec. VII, il preteso plagio diventa problematico. Del resto gli stessi commentatori del Martirologio Romano scrivono: "Coniectura est, quae certiora postulat ad minicula, hunc Gregorium alium non esse a Gregorio episcopo Lilibaci, a Spoletanis cultum".
Il Delehaye poi ha studiato una passio di s. Giorgio di Lydda, conservata nel ms. 3789 della Biblioteca Nazionale di Parigi nella quale l'agiografo ha copiato la passio di s. Gregorio di Spoleto, cambiando i nomi e la data.
Gregorio di Spoleto fu accolto da Adone nel suo martirologio al 24 dicembre, donde passò in Usuardo e, tramite questi, nel Martirologio Romano sempre alla stessa data. Nel Sacramentario Leoniano alle date del 23 aprile e del 24 novembre è ricordato un martire di nome Gregorio, venerato a Roma; alcuni studiosi pensarono a Gregorio di Spoleto, ma si tratta in realtà di s. Giorgio di Lydda festeggiato a Roma, in questo giorno da alcuni codd. del Geronimiano.
Nel sec. X, s. Bruno, arcivescovo di Colonia, trasferí le reliquie di Gregorio nel duomo della sua città, il che diede origine ad una iconografia esclusivamente locale. Nelle scarse figure del santo (la vetrata trecentesca del duomo e il frontespizio del Messale di Colonia) Gregorio è raffigurato in abiti sacerdotali con un libro in mano, la palma del martirio e la spada con la quale venne decapitato.


Jessé (ou Iesse), Santo



Iesse (a volte trascritto come Jesse o Yesse o, in maniera più conforme all'ebraico, Isai), vissuto nell’XI secolo a.C., è un personaggio dell'Antico Testamento, padre del grande Re Davide.
Originario di Betlemme, proveniva da una famiglia non oscura: era infatti il terzo discendente di Booz, "uomo altolocato della famiglia di Elimèlec" (Rt 2,1) ed a Betlemme era uno degli anziani (1Sam 16,4-5). Ebbe otto figli (1Sam 16,10-11), l'ultimo dei quali fu proprio il Re Davide (Rt 4,22).
Dopo che Saul fu rifiutato quale sovrano (1Sam 15,23), Samuele fu mandato a casa sua per ungere un nuovo re (1Sam 16).
Quando poi Davide cominciò la sua vita errabonda per sfuggire all'ira di Saul, Iesse venne condotto da Davide presso il re di Moab (1Sam 22,3-4; la nonna di Iesse, Rut, era una moabita).
Nel Primo Libro di Samuele Iesse appare, però, come una persona qualunque, tanto che Saul potrà sfogare il suo disprezzo per Davide definendolo "il figlio di Iesse" (1Sam 20,27.30.31; 22,7.8.9.12; cfr. 25,10; 2Sam 20,1). La medesima denominazione sarà poi invece usata da anche da Isaia nella celebre profezia messianica (Is 11,1-12; vedi in particolare i vv. 1.10), dunque con altra accezione.
Iesse è menzionato sia nella genealogia del Cristo contenuta nel Vangelo secondo San Matteo (Mt 1,5-6) che in quella del Vanelo di San Luca (Lc 3,32). In entrambe risulta essere nipote di Booz, figlio di Obed e padre di Davide.
L'oracolo messianico di Is 11 con la menzione di Iesse è ripreso dalla liturgia della Chiesa nell’Antifona al Magnificat dei Vespri del 19 dicembre:
O Radix Jesse,
qui stas in signum populorum,
super quem continebunt reges os suum,
quem gentes deprecabuntur:
veni ad liberandum nos,
jam noli tardare.

Nell’arte cristiana l’albero genealogico del Messia viene rappresentato come un albero alle cui radici è posto appunto il patriarca Iesse, sui rami sono posti i re ed i profeti, mentre sulla cima è posto il Cristo.
La sua festa si celebra il 24 dicembre contestualmente alla Commemorazione dei santi antenati di Gesù contemplata dal Martirologio Romano.



Autore: Fabio Arduino



Metrobio venerado em Malesco, Santo



Nella chiesa parrochiale dei Santi Pietro e Paolo a Malesco, centro della Val Vigezzo in provincia di Verbania a pochi chilometri dal confine svizzero, sono conservate le reliquie di San Metrobio, giunte nella località ossolana nel 16.. Unica fonte agiografica che ricorda un santo con questo nome è il Martirologio Romano, nell’edizione precedente l’attuale, ove si legge alla data del 24 dicembre: A Tripoli, nella Fenicia, i martiri Luciano, Metrobio, Paolo, Zenobio, Teòtimo e Druso. Questa scarna indicazione null’altro consente di conoscere su Metrobio se non il luogo del suo martirio, avvenuto, verosimilmente, durante una delle ultime persecuzioni organizzate dall’autorità romana contro la sempre più diffusa fede cristiana. Quando nel 1669, gli abitanti di Malesco formularono la richiesta di avere un corpo di qualche martire, come già era avvenuto per molte altre località della diocesi novarese cui il centro appartiene, ottennero quello di Metrobio Saveriano, estratto dal complesso catacombale di Priscilla, a Roma. Il dono, ritenuto allora così prezioso da giustificare un autotassazione da parte delle famiglie del luogo per far fronte alle necessarie spese del caso (con delibera comunale del 28 dicembre 1671 si ottennero in prestito 325 lire imperiali), venne ottenuto grazie all’interessamento di padre Illuminato da Cosacia, un religioso cappuccino già noto a Malesco per avervi predicato la quaresima. I sacri resti giunsero a destinazione nel 1673 accolti, il 28 maggio, con sincero e devoto entusiasmo dalla popolazione che poteva confidare nella protezione di un nuovo santo, ritenuto ancor più esclusivo per la presenza in loco delle sue spoglie. Il motivo che portò ad attribuire al martire orientale Metrobio il corpo giunto da Roma, va ricercato nel più allargato contesto del fenomeno del recupero e della traslazione dei corpi santi, dalle catacombe romane a centinaia di località sparse in tutto l’orbe cattolico. Sia per soddisfare ad esigenze liturgiche – non era infatti concessa la celebrazione dell’ufficio e della messa per santi non inseriti nel martirologio romano – sia per conferire una dimensione storica ai nuovi santi posti in venerazione, le reliquie erano spesso identificate come appartenenti a martiri che avevano una loro collocazione all’interno della vastissima produzione agiografica, seppur minima come nel caso in questione. Questo modo di procedere, più volte vietato dalla stessa autorità ecclesiastica che curava tutti i lunghi passaggi, più burocratici che devozionali, per la consegna delle reliquie, causò non poca confusione all’interno dell’immaginario religioso dei fedeli, provocando sdoppiamenti di reliquie ed ingiustificate identificazioni di personaggi. Soltanto una più attenta esplorazione delle fonti, sia agiografiche sia archeologiche, ha permesso di restituire a Metrobio la sua vera identità. Grazie ad una ricerca recentemente effettuata, si è potuto risalire a quello che, con ogni probabilità, è l’epitaffio originario a chiusura del loculo in cui venne deposto il corpo di Metrobio. Il testo, tramandato in varie opere di epigrafia cristiana (tra cui quella di Giovanni Battista de’Rossi Iscriptiones cristianae urbis Romae), così riporta: METROBIUS SEVERIANUS / QUI VIXIT ANN(OS) XXVII, MENSIBUS / TRIBUS, D(IES) XII, BENEMERENTI. Metrobio dunque era un giovane morto a ventisette anni, tre mesi e dodici giorni di età; nessuna traccia di martirio diretto o di un’eventuale traslazione dei suoi resti dalla Tripoli orientale in cui visse il martire menzionato nel martirologio. Questi dati che è oggi possibile riferire alla sua persona non intaccano la devozione di cui Metrobio ancora è oggetto in seno alla comunità maleschese, al contrario ne aumentano la storicità, consentendo di identificare il santo come un membro della primitiva comunità cristiana di Roma. Anche se egli non morì direttamente per morte violententa, come lascerebbe intuire l’epigrafe, fece comunque parte di una comunità testimoniante, che tante prove dovette subire per rimanere fedele al messaggio evangelico. L’iconografia, limitata ad una stampa del 1723, ritrae Metrobio secondo il classico canone di soldato romano, mentre sullo sfondo è rappresentato il creduto martirio; anche nell’urna entro il prezioso altare in marmo, realizzato nel 1900 su progetto dell’architetto Molli, i suoi resti sono rivestiti da un uniforme di milite romano in velluto e raso, ricamata dalle suore Rosminiane ed offerta dalla benefattrice Rachele Salati. La festa locale in onore del santo, un tempo celebrata nella seconda domenica di giugno, è fissata alla prima domenica di agosto, in ricordo dell’ultimo solenne trasporto organizzato nel 1900 per inaugurare i lavori di rifacimento della cappella.

Odoardo Focherini, Beato



Ha impiegato più la Chiesa ad accertare che la sua morte è avvenuta “in odium fidei” ed a riconoscerlo martire, che non  le Comunità Israelitiche italiane a concedergli la Medaglia d’Oro (nel 1955) o la Commissione dello Yad Vashem a conferirgli il titolo di “Giusto tra le nazioni” (nel 1969). Infatti, la causa di beatificazione di Odoardo Focherini  è stata avviata solo nel 1996, anche se poi è proceduta speditamente, tanto da poter arrivare già a maggio di quest’anno al riconoscimento del martirio, che il prossimo 15 giugno lo porterà sugli altari. E così l’Azione Cattolica, che quest’anno ha già visto la beatificazione di Giuseppe Toniolo, nel 2013 sarà di nuovo in festa per un altro suo beato, perché Focherini ne è stato anche presidente diocesano.  Di famiglia originaria del Trentino, ma per adozione modenese a tutti gli effetti, Odo (come familiarmente chiamato) è una splendida figura di laico, marito e padre, che paga con la vita la sua coerenza cristiana. Per vivere fa l’assicuratore, per apostolato è giornalista (collabora con l’Osservatore Romano e con Avvenire, di cui è anche segretario amministrativo), a tempo pieno è marito affettuoso e padre premuroso di sette figli; sempre, in ogni condizione  e stato di vita, è cristiano esemplare. A 17 anni è già responsabile dell’oratorio che prima aveva frequentato, promotore del giornale per ragazzi  l”Aspirante” e responsabile di Azione Cattolica. Ha un direttore spirituale stabile e si forma a ideali grandi, capaci di dare senso alla vita. A 18 anni si fidanza con Maria Marchesi e la sposa a 23: gli regalerà sette figli che saranno il suo orgoglio e lo scopo della sua vita. Comunque, non al punto da fargli dimenticare i suoi impegni di apostolato attivo, in primo luogo in parrocchia e poi con la carta stampata, che cerca in qualche modo di conciliare con i suoi impegni di agente della Società Cattolica di Assicurazione. In tempo di guerra, insieme alla moglie, mette su una postazione “casalinga” per aiutare la gente a mantenere i contatti con i soldati al fronte, ma eroe lo diventa per caso, o meglio ancora per conseguenza, solo nel 1942. Un giorno si vede affidare un gruppetto di ebrei polacchi dal direttore di Avvenire, che li ha avuti a sua volta in consegna dal vescovo di Genova, con il preciso incarico di provvedere al loro espatrio, in modo da evitare la loro deportazione. Riesce a procurar loro documenti contraffatti ed a far varcare loro il confine della Svizzera. Da quel giorno si perfeziona nella falsificazione di documenti, riuscendo così a salvare la vita a 105 ebrei. All’ultimo, Enrico Donati, porta i documenti in ospedale, a Carpi, ma all’uscita viene prelevato dal segretario del Fascio e accompagnato in questura, a Modena, l’11 marzo 1944. Non ne uscirà più, se non per essere rinchiuso in carcere. Viene sottoposto ad un solo interrogatorio e, come prova a suo sfavore, gli viene contestata una lettera, in cui afferma di interessarsi “degli ebrei non per lucro, ma per pura carità cristiana”. Sarà il suo unico capo d’accusa, in conseguenza del quale viene trasferito il 5 luglio nel campo di concentramento di Fossoli, successivamente in quello di Gries, vicino Bolzano. Di questo periodo restano ben 166 lettere indirizzate alla moglie ed ai genitori che riesce a far passare sotto il naso dei tedeschi, facendole arrivare a destinazione evitando la censura: in esse nessun cedimento, nessuna recriminazione per la sua attività clandestina che ha determinato il suo arresto, piuttosto una constatazione: “Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa fanno patire agli Ebrei, non rimpiangeresti se non di non averne salvati in numero maggiore”. Sereno sempre, anche se provato nel fisico dalle fatiche, aiuta come può i compagni di prigionia e sono in molti ad affermare di aver avuto salva la vita grazie a lui. Lo trasferiscono prima a Flossemburg, nella Baviera Orientale, poi nel sottocampo di Hersbruck, dove muore a 37 anni il 27 dicembre 1944. Ad assisterlo nei momenti estremi Teresio Olivelli (del quale pure è stata avviata la causa di beatificazione e che Odo aveva salvato da morte certa, sfamandolo di nascosto, ovviamente togliendosi il pane di bocca), che prima di morire a sua volta nello stesso campo avrà il tempo di trasmettere le ultime parole dell’amico: “Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia Diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo”.
Autore: Gianpiero Pettiti



Con il passare del tempo, ci si rende conto come alla grande strage programmata dai tedeschi di Hitler, contro il popolo ebraico europeo, vanno affiancate nella luce del martirio e della carità cristiana estrema, tante belle figure di sacerdoti, religiosi, laici, che spesero la loro vita nell’aiuto concreto ai perseguitati di quel triste periodo della storia d’Europa.
Alcuni sono già stati proclamati santi e beati dalla Chiesa, come ad esempio s. Massimiliano M. Kolbe conventuale francescano; la beata Edith Stein carmelitana, il beato Bernardo Lichtenberg sacerdote diocesano, ecc., ma tanti altri sono avviati al riconoscimento ufficiale del loro martirio e della loro santità nello stesso contesto e fra questi vi è il Servo di Dio Odoardo Focherini, laico e padre di famiglia italiano.
Odoardo nacque il 6 giugno 1907 a Carpi (Modena), ebbe tre fratelli, frutto dei due matrimoni del padre Tobia Focherini con Maria Bertacchini defunta nel 1909 e poi con Teresa Merighi, che gli fece da mamma.
I genitori erano originari della Val di Sole nel Trentino, emigrati nella Val Padana, dopo la chiusura delle miniere di Fucine; a Carpi il padre aprì un negozio di ferramenta, nel quale collaborò anche Odoardo dopo le scuole elementari e tecniche.
Frequentò come tanti ragazzi carpigiani la vita dell’oratorio, dove incontrò don Armando Benatti apostolo della gioventù, che si occupò dei suoi studi e della sua formazione religiosa e poi don Zeno Saltini avvocato-sacerdote, fondatore di Nomadelfia, che gli inculcò l’interesse per la vita pubblica e sociale.
Nel 1924 non ancora ventenne fu tra i fondatori de “l’Aspirante”, il primo giornale cattolico per ragazzi, che divenne mezzo di collegamento nazionale per i ragazzi d’Azione Cattolica in Italia.
Durante una vacanza in Val di Non (Trento), vicino alla valle di origine dei suoi genitori, Odoardo conobbe Maria Marchesi (1909-1989) della quale si innamorò, i due giovani uniti dalla stessa visione cristiana della vita, si sposarono il 9 luglio 1930; dalla felice unione nacquero sette figli.
Si occupò nella Società Cattolica di Assicurazioni di Verona il 1° gennaio 1934, con il ruolo di ispettore per le zone di Carpi, Ferrara, Udine e Pordenone; il suo poco tempo libero era dedicato ad attività apostoliche, come conferenze sociali e religiose, congressi eucaristici diocesani, filodrammatica e guida di una società ciclistica.
Nel contempo in quegli anni promosse il movimento degli scout a Carpi; fu cronista attento e scrupoloso per la diocesi di Carpi presso ”L’Avvenire d’Italia” e altre testate; continuò senza interruzione il suo impegno nell’Azione Cattolica, nel 1928 era presidente della Federazione Giovanile Maschile, membro della Giunta Diocesana di A. C.; nel 1934 era presidente della Sezione Uomini e nel 1936 era Presidente dell’Azione Cattolica diocesana.
L’apostolato della stampa lo coinvolse fino al punto di accettare nel 1939 un altro incarico importante, amministratore de “l’Avvenire d’Italia” nell’allora sede di Bologna, sorretto dalla fede in Dio e dalla fraterna amicizia di Raimondo Manzini, che ne era il direttore.
Il papa Pio XI nel 1937, gli concesse la croce di Cavaliere di S. Silvestro. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e con l’entrata nel conflitto dell’Italia nel giugno 1940, Odorado Focherini organizzò con altri, presso la curia vescovile di Modena e Carpi e presso la sua abitazione di Mirandola, un ufficio di contatto con i soldati al fronte o dispersi.
Nel 1942 il direttore Manzini gli affidò l’incarico di mettere al sicuro alcuni ebrei polacchi, giunti in Italia con un treno della Croce Rossa Internazionale e inviati a Bologna dal cardinale Pietro Boetto arcivescovo di Genova.
Iniziò così da parte di Focherini, una intensa attività a favore degli ebrei, che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, inizio dell’intensificazione delle deportazioni razziali, divenne una rete per l’espatrio verso la Svizzera, che salvò la vita a più di 100 ebrei.
Questa disinteressata, pericolosa attività, svolta per un paio d’anni, gli ha meritato la medaglia d’oro alla memoria, concessa dall’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia.
L’11 marzo 1944 si recò in visita presso l’ospedale “Ramazzini” di Carpi, dove era un ebreo di cui si conosce il nome, Enrico Donati, per organizzarne la fuga verso la Svizzera e che sarà l’ultimo da lui salvato; qui l’attese il reggente del Fascio di Carpi che lo invitò a seguirlo con urgenza dal questore di Modena.
Giunto in Questura gli venne comunicato che era in arresto e trasferito in auto al comando delle SS di Bologna e poi rinchiuso nelle carceri di S. Giovanni in Monte; solo il 17 marzo, tramite un amico giornalista a cui aveva scritto, riuscì a fra pervenire delle lettere alla sua famiglia a Mirandola ed ai genitori a Carpi.
Le lettere per il periodo della sua prigionia fino alla morte, furono ben 166 e costituiscono un prezioso documento storico e di conoscenza del suo animo profondamente cristiano e del suo legame con la famiglia.
A Bologna fu interrogato una sola volta, contestandogli una sua lettera nella quale si diceva che “lui si interessava degli ebrei, non per lucro, ma per pura carità cristiana”.
Il 5 luglio 1944 fu trasferito al campo di concentramento di Fossoli (Carpi), dove rimase un mese con agevole contatto con i familiari; il 5 agosto fu deportato nel campo di Gries (Bolzano), anche qui come a Fossoli riuscì a farsi assegnare alla posta e quindi poté scrivere e fra pervenire qualche lettera non soggetta a censura; incontrò pure a Gries l’amico Servo di Dio Teresio Olivelli (1916-1945).
Purtroppo quello che temeva si avverò, il 5 settembre 1944 ci fu un ulteriore trasferimento a Flossenburg nella Baviera Orientale, in uno dei più vasti campi di lavoro e di sterminio realizzati dai nazisti.
Dopo circa un mese, fu inviato a Hersbruck, uno dei 74 sottocampi di Flossenburg, vicino Norimberga; qui all’amico e compagno di prigionia Teresio Olivelli, dettò le ultime due lettere pervenute alla famiglia; a causa di una ferita alla gamba che gli procurò una grave setticemia, fu ricoverato nell’infemeria; assistito dall’amico che raccolse le sue ultime frasi, riferite poi ad altro prigioniero Salvatore Becciu, che poté trasmetterle alla famiglia, perché Teresio Olivelli morirà una ventina di giorni dopo nelle stesso campo; Odoardo si spense nell’infermeria di Hersbruck il 24 dicembre 1944.
La conferma della sua morte giunse ai familiari e al vescovo della diocesi, solo il 4 giugno 1945, con la testimonianza di due sopravvissuti, un sacerdote e il maggiore dei carabinieri Becciu.
Il 12 febbraio 1996 la Santa Sede ha dato il nulla osta per il processo diocesano conclusasi il 5 giugno 1998, gli atti per la sua beatificazione sono ora a Roma presso la competente Congregazione.
Nel 1969 Odoardo Focherini è stato riconosciuto ‘giusto delle nazioni’ dallo Stato d’Israele; concludiamo riportando una delle poche frasi pronunciate nelle sue ultime ore: “A tutti i miei cari… Dichiaro di morire nella più pura fede Cattolica Apostolica Romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio”. Il 10 maggio 2012 è stato promulgato il Decreto che lo dichiara Venerabile.
E' stato beatificato a Carpi il 15 giugno 2013 con celebrazione presieduta dal Cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.
La Memoria liturgica del Beato è inserita nel calendario della regione ecclesiastica Emilia Romagna e in quello della diocesi di Carpi al 6 giugno, data di nascita.


Pietro de Solanes, Beato



Contemporaneo di San Pietro Nolasco e che da lui stesso ricevette l'abito, il Beato Pietro de Solanes fu un famosissimo cavaliere laico che decorò l'Ordine Mercedario per insigne virtù. Con infinita umiltà, costanza nella preghiera e fervore nella fede, serenamente morì in pace.
L'Ordine lo festeggia il 24 dicemb


Rachele, Santa




Rachele il cui nome in ebraico significa ‘pecorella’, compare nella Bibbia nel Libro della Genesi al capitolo 29.
Giacobbe dopo aver messo in atto l’inganno di presentarsi al posto di suo fratello maggiore Esaù, al loro padre Isacco, per carpirgli la benedizione del patriarca, che sarebbe toccata al suo fratello primogenito, suscitò così l’ira di questi, per cui per salvarlo fu mandato dai genitori Isacco e Rebecca, nella terra di Paddan-Aram, nella casa di Betel, padre di Rebecca e di Labano suo fratello.
Non era solo per allontanarlo finché la situazione non si fosse calmata, ma anche per fargli trovare una moglie tra i parenti della terra d’origine di sua madre, perché gli era proibito prendere in sposa una donna di Canaan, onde evitare un matrimonio misto fra il suo clan e il popolo indigeno o hittita.
Così Giacobbe partì con la benedizione di Isacco, verso Carrar città d’origine di Abramo, Isacco e Rebecca, posta nella fertile e pianeggiante regione di Paddan-Aram.
In una tappa notturna, mentre dormiva ebbe il famoso sogno della scala che congiungeva la terra al cielo e percorsa da angeli.
Giunse poi alla sua meta e si fermò ad un pozzo nella steppa, dove vi erano adunate attorno ad esso tre greggi di pecore per abbeverarsi, ma i pastori erano in attesa di altri uomini, affinché tutti insieme potessero far rotolare la pesante pietra dalla bocca del pozzo.
Mentre Giacobbe chiedeva informazioni sui parenti che doveva raggiungere, ecco avvicinarsi la figlia di suo zio Labano, la giovane Rachele che conduceva le pecore all’abbeveratoio; al vedere quella che i pastori presenti indicarono come sua cugina Rachele, egli ne fu subito conquistato per la sua bellezza.
Fortificato da ciò, con grande sforzo spostò lui la pietra che otturava il pozzo e così le pecore di suo zio e dei presenti poterono abbeverarsi. Seguì il riconoscimento reciproco dei due cugini, lo scambio di un bacio, lo sgorgare di una lacrima, poi Rachele scappò a casa da suo padre Labano e riferirgli dell’incontro.
Labano saputo dell’arrivo di suo nipote Giacobbe, figlio di sua sorella Rebecca, gli andò incontro, l’abbracciò e lo condusse a casa sua, dove dimorò per un mese.
A questo punto bisogna fare una riflessione; quanto detto finora di Giacobbe, sembra ricalcare episodio per episodio, la storia di suo padre Isacco, per il quale fu mandato da Abramo nella casa di Betel, un servo fidato per trovargli moglie, anche qui l’incontro con la giovane Rebecca, avvenne presso un pozzo, luogo privilegiato per il raduno, gli incontri e i contratti di matrimonio.
Ritornando a Giacobbe, suo zio Labano offrendogli un lavoro presso di sé, stipulò con lui un regolare contratto di lavoro, le cui condizioni furono dettate dallo stesso Giacobbe.
Egli attratto dalle virtù di Rachele, seconda figlia di Labano, la chiese in sposa e secondo la prassi orientale, che considerava la donna un bene di famiglia, offrì il suo lavoro per sette anni per ‘riscattarla dalla famiglia’ di appartenenza, facendola diventare così “sua”.
L’amore che Giacobbe nutriva per Rachele, fece sembrare quel lungo periodo come pochi giorni; al termine dei sette anni egli chiese a Labano di potersi unire a Rachele e fu organizzato un banchetto.
A sera ci fu il colpo di scena inatteso; secondo l’uso la sposa veniva condotta dallo sposo nella tenda nuziale, completamente velata nell’oscurità della notte e così fu in quell’occasione.
La mattina dopo Giacobbe si accorse che la sposa non era Rachele, ma sua sorella maggiore Lia non della stessa bellezza, datagli da Labano con un inganno; alle rimostranze di Giacobbe, il padre delle ragazze cercò di giustificarsi, evocando un’usanza locale, cioè quella di sposare per prima la figlia maggiore, appunto Lia.
Con questo episodio, Giacobbe fu ripagato allo stesso modo, come aveva ingannato Isacco per ottenere la benedizione della primogenitura al posto di suo fratello Esaù, così fu vittima anche lui di un raggiro, operato proprio da un parente più furbo di lui.
Labano gli disse allora: “Finisci la settimana nuziale di costei, poi ti darò anche quest’altra, per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni”.
In effetti l’uso della poligamia era ampiamente praticato nell’antico Vicino Oriente; a Giacobbe non restò che accettare, quindi nuova settimana nuziale e il suo lungo sogno si poté avverare “si accostò a Rachele e l’amò più di Lia”.
Iniziò così una relazione a tre con le inevitabili tensioni; lo scrittore del sacro testo si è preoccupato che la giustizia fosse assicurata, Lia trascurata era però feconda, Rachele amata era però sterile.
Lia partorì quattro figli Ruben, Simeone, Levi, Giuda, le cui tribù divennero celebri. Era normale che Rachele diventasse gelosa della sorella Lia per i figli che dava a Giacobbe, mentre lei non poteva e afflitta gridò al marito la sua disperazione: “Dammi dei figli se no muoio”, a ciò Giacobbe reagì duramente, ricordandole che la vita è un dono divino.
L’afflizione esagerata di Rachele, si spiega considerando che a quei tempi, la donna era vista soprattutto come generatrice di figli e quindi di braccia per i duri lavori dei campi e dell’allevamento di mandrie e greggi.
Poi Rachele ricorse alla possibilità di generare per interposta persona secondo l’uso orientale, quindi offrì a Giacobbe la propria schiava Bila, cosicché potesse avere un figlio tramite di lei, questo diciamo stratagemma, era già accaduto con Sara moglie sterile di Abramo e la schiava Agar, dalla quale nacque Ismaele, generato dalla schiava ma considerato figlio della moglie Sara.
Dalla schiava Bila, ricevé così due figli prima Dan e poi Neftali; a questo punto il racconto biblico assume un tono abbastanza ironico per la nostra mentalità, le due mogli di Giacobbe furono in piena gara a dare dei figli al futuro patriarca che orami era in età matura.
Lia, visto che Giacobbe non si accostava più a lei perché non l’amava, prese la sua schiava Zilpa e allo stesso modo di Rachele, l’offrì al marito per avere altri figli; in questo modo la schiava Zilpa generò Gad e poi Aser.
Venne il tempo della mietitura del grano, e Ruben figlio primogenito di Lia, trovò delle mandragore (pianta velenosa a cui erano attribuite proprietà guaritrici della sterilità) e le portò alla madre.
Rachele saputo ciò, indusse Lia sua sorella, a cedergliele e in cambio concesse che Giacobbe trascorresse un’altra notte con lei.
Questo Giacobbe sballottato da una donna all’altra, ci fa sorridere considerando che i suoi atti d’amore, dovevano essere utilizzati per soddisfare esigenze generazionali delle due mogli, anche attraverso le due schiave; sembra quasi un sultano nel suo harem, ma qui egli non sceglie, ma gli viene imposta una donna di volta in volta.
A Lia quindi nacque un quinto figlio, Issacar e poi ancora un sesto Zabulon e inoltre una figlia, Dina.
Dice la Bibbia che a questo punto Dio “si ricordò” di Rachele, la esaudì e la rese feconda; essa concepì e partorì un figlio e lo chiamò Giuseppe.
Conclusasi la storia delle madri e dei loro figli, ritorna nel racconto biblico della Genesi, la figura di Labano, padre di Lia e Rachele, presso il quale Giacobbe era stato ormai per una ventina d’anni, lavorando sodo per lui; poi subentrò il desiderio di tornarsene con la famiglia a Canaan, nella sua terra d’origine.
Ora avvennero altri episodi che non riguardano Rachele e perciò tralasciamo, soffermandoci solo su quelli in cui ormai sporadicamente compare.
Deciso a lasciare la casa di Betel e Labano, Giacobbe convocò le due mogli ed espose il suo progetto di lasciare quelle terre di Mesopotamia e ritornare a Canaan, anche perché i rapporti con Labano loro padre, erano cambiati e diventati più difficili.
Rachele e Lia risposero acconsentendo, giacché il loro padre l’aveva trattate come straniere, vendendole e mangiandosi la loro dote. Prima di partire di nascosto, Rachele volle prendere gli idoletti che appartenevano al padre (sorta di statuette forse indicanti le divinità familiari, oppure il possesso di esse sanciva un diritto all’eredità; non è stato chiarito), per portarseli con sé nella terra sconosciuta dove stava recandosi, come segno di protezione o di memoria del suo passato.
Ancora s’incontra Rachele al capitolo 31, quando avendo Labano raggiunto la carovana di Giacobbe, partito a sua insaputa, dopo aver rimproverato il genero di portar via da lui le figlie e i nipoti, lo accusò di aver rubato i “terafini” dalla sua casa.
L’ignaro Giacobbe lo invitò a guardare nelle tende per assicurarsi che non c’erano, giunto alla tenda di Rachele, questa l’aveva nascosti nella sella del cammello e vi si era seduta sopra.
All’entrata del padre, lei si scusò di non potersi alzare perché indisposta, “come avviene regolarmente alle donne”; così Labano si ritirò non trovando niente.
Rachele, Lia, le schiave e i loro figli furono poi presenti all’incontro riconciliatore di Giacobbe con Esaù suo fratello, dal quale si era allontanato per sfuggire alla sua ira, tanti anni prima.
Infine nel capitolo 35 della Genesi, si narra del percorso itinerante per trovare un luogo adatto per stabilirsi; la tribù di Giacobbe arrivò in prossimità di Efrata e qui a Rachele incinta per la seconda volta, si presentò un parto difficile e nonostante tutti gli sforzi e pur avendo salvato il bambino, Rachele morì, qualche minuto prima diede il nome a suo figlio, Ben-Oni che Giacobbe muterà in Beniamino.
Fu sepolta lungo la strada verso Efrata, identificata con Betlemme e sulla sua tomba Giacobbe eresse una stele; ancora oggi all’ingresso di Betlemme, esiste un piccolo mausoleo dedicato a Rachele e la sua tomba è meta di pellegrinaggio degli ebrei.
Poi Giacobbe raggiunse suo padre Isacco, che visse fino all’età di 180 anni e fu sepolto dai due figli Esaù e Giacobbe.
I figli maschi del patriarca Giacobbe furono dodici: I figli di Lia, Ruben il primogenito, Simeone, Levi, Giuda, Issacar e Zebulon; i figli di Rachele, Giuseppe e Beniamino; i figli della schiava Bila, Dan e Neftali; i figli della schiava Zilpa, Gad ed Aser; inoltre è menzionata la figlia Dina avuta da Lia.
I figli di Rachele e della sua schiava Bila iniziarono l’allevamento degli ovini, mentre i figli di Lia e della sua schiava Zilpa diedero origine agli allevamenti di bovini.
La continuità del lungo percorso del ‘popolo della salvezza’, passerà poi alla discendenza di Giuseppe, figlio di Rachele, il quale non era certamente il primogenito fra i figli del patriarca; quindi ancora una volta Dio è presente nella storia d’Israele, che conduce con il suo imperscrutabile disegno; disegno tanto più evidente se si pensa che le ultime tre donne, Sara, Rebecca, Rachele, madri, mogli e nonne di patriarchi, erano tutte sterili e poi per volere di Dio, concepirono nella vecchiaia un figlio divenuto erede della discendenza.
Quindi anche Rachele fa parte del grande programma di Dio e come tale anch’essa è considerata persona santa e oggi con tutti gli antenati di Gesù, uomini e donne, giusti e fedeli alla legge divina, viene ricordata con loro il 24 dicembre; per antica tradizione era venerata da sola il 30 settembre.
È patrona delle madri che hanno perso un figlio; il nome è molto diffuso fra gli ebrei ma anche fra gli inglesi (Rachel), in Russia è Raissa, in Italia portò tale nome la moglie di Benito Mussolini.






»»»»»»»»»»»»»»»»
&&&&&&&&&&&
Local onde se processa este blogue, na cidade do Porto




Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.

Textos recolhidos

In

MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII

e

sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros







Natal no Porto - 2016



Blogue: 
 SÃO PAULO (e Vidas de Santos) http://confernciavicentinadesopaulo.blogspot.com

Sem comentários:

Enviar um comentário

Gostei.
Muito interessante.
Medianamente interessante.
Pouco interessante.
Nada interessante.

Igreja da Comunidade de São Paulo do Viso

Nº 5 658 - SÉRIE DE 2024 - Nº (135) - SANTOS DE CADA DIA - 14 DE MAIO DE 2024 - NÚMERO ( 1 9 0 )

Caros Amigos 17º ano com início na edição  Nº 5 469  OBSERVAÇÃO: Hoje inicia-se nova numeração anual Este é, portanto, o 135º  Número da Sér...