terça-feira, 3 de janeiro de 2017

Nº 2977 - Série de 2017 (nº 3) - SANTOS DE CADA DIA - 3 DE JANEIRO DE 2017 - DÉCIMO ANO DE PUBLICAÇÃO



Feliz Ano de 2017


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Nº 2977

Série - 2017 - (nº 3)

3 de JANEIRO de 2017


SANTOS DE CADA DIA

10º   A N O



 miscelania 008



LOUVADO SEJA PARA SEMPRE 
NOSSO SENHOR JESUS CRISTO 
E SUA MÃE MARIA SANTÍSSIMA



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Todos os Católicos com verdadeira Fé, 
deverão Comemorar e Lembrar 
os Santos e Beatos de cada dia, além de procurar seguir os seus exemplos

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Santíssimo Nome de Jesus



O Santíssimo NOME DE JESUS, o único nome ao qual tudo o que há nos céus, na terra e nos abismos se ajoelha, para glória de Deus Pai.



Texto do livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial A. O. de Braga:

"Deram-Lhe o Nome de JESUS" (Lc 2, 21).
Ainda que seja inefável o Nome Santíssimo de JESUS que foi imposto na Circuncisão a Cristo Senhor, Redentor do género humano, todavia para não nos calarmos completamente em tão grande solenidade, alguma coisa apresentaremos em louvor e glória de tão grande Nome, diante do qual "todo o joelho se dobra nos Céus, na terra e nos Infernos" (cf. Fil 2, 10). Porque é tão grande a consolação da alma que se alegra em Cristo, que a pobreza se torna como riquezas, a aspereza como delícias e a vileza como honras, e pelos seu nome todos os suplícios se fazem para ela doces.
Na verdade, diz-se por causa deste Nome: "Saíram da Sala do Sinédrio cheios de alegria por terem sido considerados dignos de sofrer vexames por causa do nome de Jesus" (Act 5, 41). Portanto, se mergulha na tua mente o negrume da tristeza, se está iminente uma grave e violenta tempestade, se as costas do mar ribombam com terrível e horroroso mugido, se são batidas as praias do oceano, e se também a nau está invadida pelas ondas, invoca Jesus, que se julga estar a dormir nos navios, mas é um Jesus que nem dorme nem dormita; e com toda a fé diz-lhe: "Levanta-te, Senhor Jesus" (cf Slm 3, 7).
Oh! Nome de Jesus exaltado acima de todo o nome, oh gozo dos Anjos, oh alegria dos justos, oh pavor dos condenados; em Vós está a esperança de qualquer perdão, em Vós toda a esperança da indulgência, em Vós toda a expectativa da glória. Oh nome dulcíssimo, Vós dais perdão aos pecadores, renovais os costumes, encheis os corações de doçura divina. Oh nome desejável, nome admirável, nome venerável, Vós, nome do rei Jesus, assim levantais ao mais alto dos Céus os espíritos, que todos os que principiam a ter devoção a este nome, graças a ele encontram a glória e a salvação, por Jesus Cristo Nosso Senhor.
(Homilia de São BERNARDINO DE SENA, o grande promotor da devoção ao Santíssimo Nome de Jesus)


    


Texto do site www.santiebeati.it


Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.

Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.

Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.

Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.

Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).

Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.


Autore: Antonio Borrelli




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Fulgêncio, Santo


Texto do livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial A. O. de Braga:

São FULGÊNCIO africano (entre 467-533) discipulo de Santo AGOSTINHO, foi Bispo de Ruspas, na actual Tunísia, desde 507 atè à morte. É tido como o maior teólogo do seu tempo. Duas vezes foi exilado para a Sardenha pelo ariano Trasamundo, rei dos vândalos. Lá redigiu numerosas obras de combate contra os hereges do seu tempo (arianos, monofisitas e pelagianos).




Genoveva de Paris, Santa





Em Paris, Gália (hoje França) o sepultamento de Santa GENOVEVA virgem, natural de Nanterre que aos quinze anos, por conselho de São GERMANO bispo de Auxerre, tomou o véu das virgens consagradas. Confortou os habitantes da cidade, aterrados pela incursão dos Hunos e sustentou os seus concidadãos em tempo de fome. (500)


Do livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial A. O, de Braga:

Santa GENOVEVA, a quem a cidade de Paris, escolheu como Padroeira, nasceu numa aldeola chamada Nanterre, pelo ano de 422. Seus pais eram de condição muito humilde, 
Quase desde o berço, cobriu Deus a menina com as suas bênçãos. Passando por Nanterre, São GERMANO bispo de Auxerre, que se dirigia a Inglaterra para combater os erros de Pelágio, e concorrendo todo o povo para receber a sua bênção, o santo Prelado, distinguiu entre a multidão esta menina, que teria então entre sete a oito anos; falou-lhe em particular e exortou-a a consagrar-se inteiramente a Deus e a não querer outro esposo senão Jesus Cristo. Ela respondeu-lhe que nunca tivera outro pensamento senão de viver como as virgens cristãs.
Logo que GENOVEVA chegou à idade própria, consagrou-se a Deus por um voto e, segundo o costume das virgens consagradas, começou a alimentar-se de legumes, a beber água somente e a trazer contínuo cilício.
Tendo falecido seus pais, dirigiu-se a Paris, indo viver para casa da madrinha. Visitou-ao Senhor com uma extraordinária enfermidade, acompanhada de tão cruéis dores, que perdeu os sentidos durante três dias. Serviu-se Deus dessa espécie de êxtase para lhe descobrir tudo o que ela tinha de fazer e padecer, por seu amor, no resto da vida. Fez disto confidência, um pouco levianamente, a algumas pessoas indiscretas, e daí se lhe originaram, novos sofrimentos.
Começaram a murmurar do seu retiro, a censurar-lhe o modo de vier e os exercícios de mortificação e piedade a que se consagrava. Provou Deus por alguns anos a virtude da sua serva com o fogo da mais viva perseguição, até que São GERMANO regressado de Inglaterra, confundiu todos os invejosos, fazendo justiça à virtude da santa donzela.
A bonança, porém, foi de pouca dura. Correu em Paris a notícia de que os Hunos avançavam para destruir a cidade; todos ficaram possuídos de pavor. Quis a Santa tranquilizar os parisienses, assegurando-lhes a falsidade do boato. Pois esta obra de caridade foi bastante para quer se levantasse contra GENOVEVA cruel perseguição; esteve a ponto de ser queimada como feiticeira. Mas a doçura, a humildade, a paciência e a inalterável tranquilidade que a Santa mostrou fizeram, no meio de tão grande perigo, que se abrissem os olhos aos quer a perseguiam.
A fama de tão eminente virtude chegou às mais longínquas regiões. São SIMEÃO ESTILISTA encomendava-se às suas orações, lá do mais afastado da Cítia.
Átila, Rei dos Hunos, "o flagelo de Deus"  tendo passado os Alpes e o Ródano, estava prestes a cair sobre Paris. Nesta ocasião, GENOVEVA sai do seu retiro e exorta o povo a que apazigúe a ira de Deus com orações, jejuns e penitências. Achava-se a cidade entregue a estes devotos exercícios, quando chegou a notícia de que o exército dos bárbaros havia batido em retirada. Foi atribuído o milagre às orações de Santa. Depois, sitiava Meroveu a mesma cidade de Paris, que se via reduzida à miséria mais extrema. GENOVEVA, compadecida de tanta fome, juntou grande quantidade de trigo. Conduziu-o a Paris, através de inúmeras dificuldades, salvando assim  a vida àquele povo aflito.
Esta caridade magnânima, acompanhada de milagres, fez que fosse venerada até dos próprios pagãos, Childerico, pai de Clóvis, considerava-a tanto que nunca lhe recusou coisa alguma que ela pedisse. E todos admitem que muito contribuiu para a conversão de Clóvis. A instâncias suas empreendeu este Principie edificar aquela sumptuosa igreja, a principio consagrada aos Apóstolos São Pedro e São Paulo, e mais tarde dedicada a Santa GENOVEVA, nome que manteve até 1493.
Embora fosse tão ardente o seu zelo e caridade para com o próximo, no meio do tumulto e da multidão estava recolhida. E retirava-se todos os anos para a solidão do deserto desde a Epifania até à Páscoa. o Amor e devoção à Santíssima Virgem parecia ser a primeira das suas virtudes.
Possuindo o dom dos milagres e da profecia, e respeitada pelos Príncipes e Prelados, era, apesar disso, tão humilde que sofreu mais com as honras do que nas cruéis perseguições. Finalmente, cumulada de merecimentos, expirou em Paris aos 89 anos de idade, no ano de 512.
Foi seu corpo levado com grande pompa para a Igreja dos Santos Apóstolos. tendo os Normandos ameaçado Paris em 887, foi levada pela primeira vez em procissão a urna de Santa GENOVEVA a cuja intercessão se atribuiu o levantamento do cerco.
Em 1129, toda a França, mas especialmente Paris, foi desolada por uma peste horrorosa, chamada doença dos ardentes, espécie de erisipela gangrenosa. ESTÊVÃO, Bispo de Paris, deu o exemplo de invocar a poderosa intercessão da  Virgem e Nanterre. Quase imediatamente as curas começaram a multiplicar-se e, passados alguns dias, a peste tinha desaparecido por completo. Assim o atestam alguns documentos. Tendo o Papa INOCÊNCIO II vindo a França no ano seguinte, informou-se deste facto tão maravilhoso e ordenou celebrar-se todos os anos a sua memória. Foi chamado o Milagre dos Ardentes.
Outrora, a 3 de Janeiro, a urna com as relíquias da Santa atravessava solenemente Paris, tanto que em 1524 foi instituída uma solene «Companhia dos Portadores da Urna». Mas os jacobinos, em 1793, queimaram as relíquias e dispersaram as cinzas. Não conseguiram, porém, destruir a veneração dos parisienses.




Antero, Santo



Em Roma, no cemitério de CALISTO junto à Via Ápia, o sepultamento de Santo ANTERO papa, que num breve pontificado, sucedeu ao mártir PONCIANO. (236)


Texto do livro SANTOS DE CADA DIA  da Editorial A. O. de Braga:

Em Roma, na Via Ápia, o nascimento para o céu de Santo ANTERO papa e mártir, que sofreu no tempo de Júlio Maximino e foi enterrado no cemitério de CALISTO.
ANTERO ocupou a sé de Roma a seguir a São PONCIANO, mas unicamente durante 43 dias. Não existe qualquer dado certo a propósito do seu martírio, e o nome dele não se encontra no catálogo romano Depositio martyrum. Em 1854, o grande arqueólogo De Rossi descobriu nas catacumbas um  fragmento do seu epitáfio. Apenas desde o século IX é o aniversário deste pontífice mencionado a 3 de Janeiro nos livros litúrgicos de Roma.

   
Ciríaco (Kuriakose) Elias Chavara, Santo



No mosteiro de Mannaman, no Kérala, Índia, o beato CIRÍACO ELIAS CHAVARA presbitero fundador da Congregação dos Irmãos Carmelitas de Maria Imaculada. (1871)

Texto do livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial A. O. de Braga:

Na sua viagem à Índia, em Fevereiro de 1986, o Santo Padre proclamou beato o Padre KURIAKOSE (CIRÍACO) ELIAS CHAVARA que nasceu em Kainakary, a 10 de Fevereiro de 1805, e faleceu em Koonammavu, a 3 de Janeiro de 1871.
Tendo-se ordenado sacerdote, com dois companheiros, fundou uma Congregação Religiosa indiana masculina, agora conhecida com o nome de Carmelitas de Maria Imaculada. Sucessivamente, com a ajuda de um missionário italiano, Padre LEOPOLDO BECCARO fundou a Congregação feminina da Mãe do Carmelo.
Graças a estas fundações, inúmeras iniciativas apostólicas foram empreendidas, que o Santo Padre enumerou na sua homilia:
"Instituição de seminários para a educação e formação do clero, introdução de retiros anuais, uma casa editora de obras católicas, uma casa de acolhimento para os indigentes e necessitados, escolas de instrução geral e programas para a formação de catecúmenos".
Difundiu a devoção à Sagrada Eucaristia e à sagrada Família.Mas sobretudo promoveu a unidade e harmonia no seio da Igreja.
AAS 78 (1986) 1076-78; L'OSS. ROM. 23.2.1986.



...  e, A i n d a ...



Daniele de Padova, Santo


Diacono, forse, della Chiesa padovana, fu martirizzato probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano, al principio del sec. IV. Se ne conobbe però l'esistenza solo dopo l'invenzione del suo corpo, avvenuta nel 1075. Secondo le leggende, diffusesi in quella circostanza o poco dopo, e il cui nucleo essenziale sembra sicuro, il martire sarebbe apparso ad un cieco della Tuscia invitandolo a chiedere la grazia della vista nell'oratorio di S. Prosdocimo a Padova, là ov'era la sua tomba, del tutto ignorata. Alla guarigione miracolosa seguirono diligenti ricerche, che portarono alla scoperta di un'arca marmorea. Il martire vi giaceva così com'era stato ucciso: il corpo, disteso supino sopra una tavola di legno e coperto da una lastra di marmo, era trapassato da molti lunghi chiodi. Un'iscrizione diceva: "Hic corpus Danielis martyris et levitae quiescit". Il vescovo Ulderico, presente a quella prima ricognizione, fece trasportare il 3 gennaio 1076 l'arca nella nuova cattedrale di S. Maria, entro le mura della città e, per placare le opposizioni dei monaci di S. Giustina e degli abitanti del luogo, fece erigere un oratorio dedicato a S. Daniele nel luogo ove ora è l'omonima chiesa parrocchiale.
La salma del martire, dall'altare maggiore della vecchia cattedrale, nel 1592 fu traslata nel sottocoro della nuova. Quando nel 1953 questo fu sistemato ad oratorio invernale, l'arca di Daniele fu liberata dai marmi e dai bronzi che l'occultavano: è la stessa in cui era stato ritrovato il martire, un'antica arca romana di marmo di Carrara, cui era stata tolta, probabilmente all'epoca del ritrovamento, l'antica decorazione pagana ed aggiunta un'enigmatica iscrizione. I competenti (Gloria, Gasparotto, Pagnin, Egger, Silvagni e altri) vi decifrarono con qualche variante l'iscrizione delle leggende. È festeggiato nella diocesi di Padova, come patrono secondario, il 3 gennaio, data della prima traslazione.

Fintan di Dun Blesci, Santo





Una Vita di Fintan, peraltro di scarsissimo valore (Fintan è detto morto a 260 aa.!), è stata pubblicata da J. Colgan : da essa possiamo ricavare che Fintan, figlio di Pipan (un commentatore di Oengus, però, ha Diman, discen­dente da Mured Manderig, re dell'Ulster), fu di­scepolo di un s. Comgall, probabilmente l'abate di Bangor (se è così, visse quindi alla fine del sec. VI). Recatosi poi a Dùn Blésci (Doon, Limerick) nel territorio di Guanach (Munster), ricevette in dono da Colombano, figlio di Kynchadha, il ter­reno per un monastero. Morì in un anno e in un giorno che la Vita non precisa : dal Martirologio di Oengus, però, risulta che il dies natalis fu un 3 genn. e in questo giorno anticamente, era cele­brata la festa di Fintan a Doon. Con questa località, infatti, situata nelle baronie di Owneybeg e di Goonagh (Limerick), O'Donovan identificò Dunbleisque; qui è anche una sorgente dedicata a Fintan, che era meta di pellegrinaggi il giorno della sua festa.
Un'altra fondazione è attribuita a Fintan, Kell-Finntain, che si può forse identificare con Killfinan nel Limerick.


Gordio di Cesareia di Cappadocia, Santo






Martirologio Romano: A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, il centurione san Gordio, martire, che san Basilio elogia come vero emulo del centurione presente sotto la Croce, poiché, durante la persecuzione di Diocleziano, confessò che Gesù era Figlio di Dio


Guglielmo Vives, Beato



Priore del convento mercedario di Barcellona, il Beato Guglielmo Vives, nonostante fosse un uomo pacifico e molto umile, dovette affrontare con energia l’intromissione abusiva e senza ragione del vescovo di visitare il suo monastero. Nel 1401 dovette inviare il sacerdote Bartolomeo Celforés, come informatore a Roma, e spendere la grossa quantità di 3.000 fiorini d’oro, per dare soluzione alla questione. In seguito a questo il Re Martino V pose sotto la protezione della Corona d’Aragona la comunità con i suoi frati ed i loro beni. Il Beato Guglielmo scrisse la vita di San Pietro Nolasco e quella di Santa Maria de Cervellon, che venne poi inclusa nel processo di canonizzazione della Santa. Dopo una morte preziosa fu sepolto nel suo monastero.
L’Ordine lo festeggia il 3 gennaio.

Imbenia, Santa



Pia vergine Sarda, che subì il martirio per la fede in Cristo sotto l'Impero di Diocleziano. Le sue preziose Reliquie vennero scoperte nell' anno 1628 nella chiesa di S. Lussorio, in regione "Su Tonodiu", furono portate nella Basilica Insigne Colleggiata di Santa Maria della Neve in Cuglieri (dioc. di Bosa) ove si conservano ancora. Festeggiamenti in suo onore si tengono il 3 Gennaio (martirio) ed il 30 Aprile (in memoria della traslazione delle Reliquie). Nel giorno 29 Aprile il Simulacro della Vergine viene portato in pellegrinaggio dalla Basilica di Santa Maria della Neve alla regione "su Tonodiu" dove si trova una chiesetta campestre a lei intitolata, si parte verso le 17.00 per poi arrivare alla chiesa che dista circa 3 km da Cuglieri, il Simulacro viene accompagnato in processione dalla Confraternita della Madonna del Carmelo, dalle prioresse e dalla cittadinanza, quando si arriva viene offerto dal priorato un rinfresco, la popolazione si avvia poi verso la chiesetta per seguire la messa, al termine della celebrazione si può sostare, o fare delle passeggiate per tutto il perimetro del terreno che circonda la chiesetta. Il giorno 30 si fa il tragitto inverso, arrivati alla Basilica si partecipa alla Benedizione Eucaristica e si canta l' inno in onore della Vergine.
Patronato: Cuglieri (OR)
Emblema: Palma


Luciano di Lentini, Santo

San Luciano di Lentini Vescovo
Martirologio Romano: A Lentini in Sicilia, san Luciano, vescovo.


Teogene, Santo

Martirologio Romano: A Pario in Ellesponto, nell’odierna Turchia, san Teógene, martire: sotto l’impero di Licinio, arruolato tra le reclute, essendosi rifiutato di prestare il servizio militare a motivo della sua fede cristiana, fu incarcerato, torturato e, infine, affogato in mare.


Teopempto e Teonas 
(Teopompo e Sinésio) Santos




La ‘Vita’ di questi due santi, è ripresa nei Sinassari orientali ed è leggendaria. La fonte orientale racconta che Teopompo era vescovo di Nicomedia, capitale della Bitinia sul Mar di Marmara e il Mar Nero (oggi Izmit in Turchia), antico regno, ma che al tempo dell’imperatore Diocleziano (243-313), in cui si svolse la vicenda di Teopompo e Sinisio, era provincia romana.
Teopompo per la sua carica, durante la persecuzione scatenata da Diocleziano, fu arrestato nel 304 e condotto in tribunale, fu sottoposto a molti supplizi come quello del fuoco, l’avvelenamento, l’accecamento, rimanendo secondo l’agiografia di parecchi martiri, completamente illeso.
Il giudice allora volendo dimostrare che questi prodigi potevano essere compiuti anche da non cristiani, convocò il famoso mago Teona, celebre per opere portentose. Ma nella sfida Teona rimase sconfitto, il quale poi dichiarandosi vinto, chiese di poter aderire al cristianesimo.
Il vescovo Teopompo gli conferì subito il Battesimo, imponendogli il nome di Sinesio. Ma la loro sorte era comunque segnata, furono condannati a morte entrambi, Teopompo fu martirizzato mediante la decapitazione e Sinesio (Teona) venne invece sepolto vivo.
Il culto per i due martiri, si diffuse molto in Oriente, ma anche in Occidente; anche la recente edizione del ‘Martirologio Romano’ li celebra al 3 gennaio.
C’è da aggiungere che l’antica abbazia di Nonantola (Modena), vanta di custodire le loro reliquie, che furono traslate nel 911, dal monastero di S. Maria di Treviso dall’abate Pietro, per sottrarle alla profanazione degli Ungari invasori.
Come siano finite dall’Oriente a Treviso non si sa. Per quanto riguarda un culto nella città tedesca di Radolfzell, è da supporre che furono requisite alcune reliquie dagli invasori germanici e portate lì nei secoli successivi, oppure ricevute in dono come era usanza nel Medioevo, fra Chiese diremmo oggi gemellate.



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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.

Os Textos e Imagens são recolhidos

In

MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII

e através dos sites:


 Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, 
e do Livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial de Braga, além de outros, eventualmente 

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Também no que se refere às imagens que aparecem aqui no fim das mensagens diárias, são recolhidas aleatoriamente ou através de fotos próprias que vou obtendo, ou transferindo-as das redes sociais e que creio, serem livres. 
Quanto às de minha autoria, não coloco quaisquer entraves para quem quiser copiá-las







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António Fonseca

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