Caros Amigos:
Desejo a todos os meus leitores
8º A N O
===========================================
LOURENÇO, Santo
SANTOS MÁRTIRES DE ALEXANDRIA
,
Comemoração dos SANTOS MÁRTIRES DE ALEXANDRIA, no Egipto, durante a perseguição do imperador Valeriano no tempo do prefeito Emiliano, depois de terem suportado diversas e refinadas torturas por longo tempo, alcançaram com vários géneros de morte a coroa do martírio. (257)
BLANO, Santo
Em Dunblane, na Escócia, São BLANO bispo. (séc. VI)
ARCÂNGELO DE CALATAFINI PIACENTINI, Beato
Em Alcamo, na Sicília, Itália, o Beato ARCÂNGELO CALATAFINI PIACENTINI, presbitero da Ordem dos Menores, insigne pela austeridade da sua vida e pelo amor à solidão. (1460)
AGOSTINHO OTA, Beato
Em Iki, Japão, o Beato AGOSTINHO OTA religioso da Companhia de jesus e mártir que, por Cristo foi degolado. (1622)
CLÁUDIO JOSÉ JOUFFRET DE BONNEFONT, FRANCISCO FRANÇOIS e LÁZARO TIERSOT, Beatos
Num sórdido barco-prisão ancorado ao largo de Rochefort, França, os Beatos CLÁUDIO JOSÉ JOUFFRET DE BONNEFONT da Sociedade de São Sulpício, FRANCISCO FRANÇOIS da Ordem dos Frades Menores Capuchinhos, e LÁZARO TIERSOT da Ordem Cartusiana, presbiteros e mártires que, durante a revolução francesa, encerrados na sórdida galera por causa do sacerdócio consumaram o seu martírio. (1794)
JOSÉ TOLEDO PELLICER, Beato
Em Saler, Valência, Espanha, o beato JOSÉ TOLEDO PELLICER presbitero e mártir que, plenamente configurado com Cristo, Sumo Sacerdote, a quem fielmente servira, O imitou com o triunfo do martírio. (1936)
JOÃO MARTORELL SÓRIA e
PEDRO MESONERO RODRÍGUEZ, Beatos
Em Valência, Espanha, o Beato JOÃO MARTORELL SÓRIA presbitero da Sociedade Salesiana e mártir, que sofreu o martírio na mesma perseguição. Com ele é também comemorado o beato mártir PEDRO MESONERO RODRÍGUEZ religioso da mesma Sociedade que em Vedat de Torrent, Valenciana em dia desconhecido deu testemunho de Cristo, coroado com o martírio. (1936)
FRANCISCO DRZEWIECKI e
EDUARDO GRZYMALA, Beatos
No campo de concentração de Dachau, Munique, Baviera, Alemanha, os beatos FRANCISCO DRZEWIECKI da Congregação da Pequena Obra da Divina Providência e EDUARDO GRZYMALA presbiteros e mártires foram deportados para uma prisão estrangeira pelos perseguidores da fé e, envenenados pela inalação de gás mortífero, foram ao encontro de Cristo. (1942)
BESSO, Santo
Tra i numerosi martiri pseudo-tebei, cioè presunti appartenenti alla mitica Legione Tebea, San Besso pare essere quello con un culto popolare maggiormente radicato ed ancor oggi fiorente. In realtà incerte ed oscure sono le notizie che lo riguardano. La leggenda ne ha fatto come dicevamo un ex soldato della Legione Tebea, dunque compagno di San Maurizio, scampato al tragico eccidio di Agunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ordinato dall’imperatore Massimiano e, passando per la Valle d’Aosta ed in particolare da Cogne ove è venerato, rifugiatosi in Piemonte. Qui si sarebbe dedicato all’evangelizzazione dei montanari pagani. Talvolta però Besso è considerato un vescovo di Ivrea, vissuto nell’VIII secolo e viene allora avanzata l’ipotesi, peraltro non suffragata da antiche fonti, che si possa trattare di due personaggi ben distinti: il primo sarebbe stato un eremita morto e venerato nel santuario alpestre sopra Campiglia in Val Soana, mentre il secondo un martire di Ivrea, qui venerato sin dall’antichità, a volte fu creduto addirittura vescovo della città. Ad aumentare la confusione circa la reale identità del santo contribuisce la doppia festa liturgica in suo onore il 10 agosto ed 1° dicembre, celebrata sia nel santuario che ad Ivrea.
Anche sulle circostanze del martirio di San Besso esistono molteolici versioni. Quella riportata in un breviario del 1473 conservato presso la diocesi di Ivrea, racconta di come il santo, invitato da alcuni ladri di bestiame ad un banchetto ed accortosi della provenienza furtiva della carne di pecora che gli era stata offerta, deplorò aspramente il costume dei montanari che lo ospitavano. Questi, adirati contro di lui, lo scaraventarono giù dal Monte Fautenio e lì, ancora in vita, egli sarebbe stato raggiunto e trucidato dai legionari romani rimasti sulle sue tracce da Agaunum. Sulla roccia sarebbe miracolosamente impressa una sua impronta. Secondo la tradizione, il santuario fu costruito sul luogo del martirio sotto al grande masso, ancora oggi meta di pellegrinaggi. La stessa fonte documentale riporta che, secondo un’altra versione, il santo si sarebbe miracolosamente salvato e, rifugiatosi nella vicina Valle di Cogne, in quest’ultima dimora sarebbe stato massacrato dai legionari romani.
Lo storico ed antropologo francese Robert Hertz raccolse nel 1912 ancora un’altra versione della vita di San Besso, tramandata oralmente tra la gente di Cogne, secondo la quale il santo non fu un milite tebeo, ma semplicemente un devoto pastore locale che Dio ricompensava facendo prosperare il suo gregge. Secondo tale versione, egli sarebbe stato scaraventato giù dalla rupe da alcuni montanari miscredenti, furenti dall’invidia nei suoi confronti.
Sulle vicende delle spoglie mortali del santo, la leggenda vuole che nel IX secolo, dopo esser state trafugate da pii ladri avidi di reliquie, esse siano finite in avventurose circostanze ad Ozegna, ove ora sorge il santuario della Beata Vergine del Convento e del Bosco. Un paio di secoli dopo, ad opera del celebre Re Arduino, le sacre reliquie vennero da qui traslate nella cripta della cattedrale di Ivrea, ove trovarono degna collocazione in un antico sarcofago romano tuttora visibile. Oggi riposano invene in un altare laterale di detta cattedrale insieme ad altri santi martiri.
San Besso ebbe fama di grande santo taumaturgo, autore di innumerevoli miracoli, protettore dei soldati contro i pericoli della guerra. La speciale devozione verso il santo si esprime ancor oggi nella festa in suo onore celebrata annualmente il 10 agosto nel santuario posto tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell’alta Val Soana ad oltre 2000 metri di altitudine. I fedeli accorrono numerosi in pellegrinaggio sia da Campiglia che dalla vallata di Cogne, da cui occorre partire il giorno prima e pernottare presso il ricovero del santuario. Molti, un tempo, indossavano i coloratissimi costumi tradizionali delle diverse valli. La statua del santo viene portata in processione compiendo un giro attorno alla grande rupe che fu testimone del suo martirio: l’onore di portare la statua del santo, oggi attribuito ponendola all’incanto, fu un tempo causa di violenti liti tra Campigliesi e Cognensi, due comunità oggi appartenenti a differenti diocesi, ma prima del 1200 unite sotto la diocesi di Ivrea, oltre che dalla comune parlata dialettale franco-provenzale.
Nelle credenze e nei riti popolari è possibile individuare elementi che rimandano alle antiche venerazioni di rocce ritenute centri di irradiazione di una forza divina. Talune fonti affermano che “durante il rito devozionale, i fedeli effettuano pratiche segrete e misteriose basate sulla convinzione che il contatto con la pietra favorisca la fecondità”. In realtà l’origine di questo culto è certamente precristiana ed è caratterizzata dalla persistenza di un forte culto litico. Ancora oggi le popolazioni di Cogne e Campiglia sono fortemente attaccate alla tradizione dei poteri taumaturgici della roccia di Besso, ovvero di scaglie scalpellate dalla roccia del monte Fautenio. Occorre infine come sia del tutto singolare e significativa l’assonanza tra il nome di San Besso ed il dio egizio Bes, anch’egli particolarmente invocato per la fecondità. Un’ulteriore somiglianza fra il santo cristiano e la divinità pagana è prettamente iconografica, in quanto entrambi sono sovente raffigurati con un copricapo di piume di struzzo.
BIBLIOGRAFIA
- Robert Hertz, “San Besso. Studio di un culto alpestre”, saggio contenuto in “La preminenza della destra e altri saggi”, Einaudi, Torino, 1994
- Marco Reis, “Il mistero di Besso - Tra Cogne e Campiglia le radici di un popolo”, Lampi di Stampa, 2006
Cutigliano (Val di Lima, diocesi e provincia di Pistoia) conserva nella sua chiesa parrocchiale i corpi di questi due martiri. Tolti, come tanti altri, dalle catacombe romane e forse individuati nel nome da un'iscrizione tombale e nella qualità di martiri dalla consueta, non sicura, simbologia di segni in essa incisi o graffiti, ovvero dalla presenza - di valore probativo altrettanto incerto - di presunte ampolle di sangue, essi furono trasferiti lassú nella seconda metà del sec. XVII. Ne ottenne la concessione dal papa Alessandro VIII un giureconsulto oriundo di Cutigliano e dimorante a Roma, I'auditore Pietro Pacioni, fratello minore del piú celebre Giuliano.
Le reliquie dei due presunti martiri ottennero una intensa venerazione nel paese di Cutigliano e in tutta la montagna pistoiese. Un artistico altare in loro onore venne eretto nella nieve. La loro festa si celebrò solennemente ogni anno, il 10 agosto, giorno anniversario della loro traslazione. Con beni donati per testamento dallo stesso Pietro Pacioni, il 1° gennaio 1697 fu istituita un'opera pia, ad essi intitolata, che esercitò per lungo tempo benefica attività, mantenendo nel paese una scuola di grammatica e retorica ed assegnando sussidi a giovani che mostrassero disposizione a frequentare i corsi universitari, ma ne fossero impediti da mancanza di mezzi.
A scopo di culto e di suffragio per i defunti sorse pure, sotto il titolo dei suddetti santi martiri, una confraternita, eretta con decreto vescovile in data 16 novembre 1843 ed arricchita d'indulgenze e privilegi dal pontefice Gregorio XVI con breve del 22 maggio 1844.
La devozione popolare verso questi due santi si è oggi affievolita. Anche la festa annuale, che un tempo si celebrava con notevole concorso di popolo e con manifestazioni devozionali e folkloristiche di vario genere, ha oggi perduto quasi del tutto la sua solennità e le sue originarie caratteristiche.
Nacque da una nobile famiglia franca nelle vicinanze di Treviri. Suo padre Ugoberto, parente del santo vescovo Teodardo, divenne, nel 705, vescovo di Maastricht e sua madre fu, come oggi viene generalmente riconosciuto, la b. Irmina, che mori come badessa di Oren ed è presumibilmente sepolta a Weissenburg. Andata sposa al maggiordomo franco Pipino, Plettrude esercitò su di lui un benefico influsso e dal matrimonio nacquero due figli, Drogo e Grimoaldo che morirono precocemente. I suoi rapporti con lo sposo tuttavia furono spesso offuscati dalla presenza di una concubina, Alpaida (Chalpaida), da cui nacque Carlo Martello.
Partecipò in misura determinante alla fondazione nel 697-98 del monastero di Echternach, nell'odierno Lussemburgo, che fu affidato a s. Willibrordo, e a quella di Kaiserswerth con l'aiuto di s. Suitberto. Da questi due centri partirono missionari anglosassoni destinati in particolare alla conversione dei Frisoni.
Dopo la morte di Pipino nel 714, P. affidò la reggenza a Carlo Martello e si ritirò a Colonia, dove fondò una chiesa in onore della Madre di Dio, che più tardi prese il nome di « S. Maria in Capitolio », e una comunità conventuale. Secondo la tradizione mori a Colonia il 10 ag. 725 e vi fu sepolta.
Il culto di Plettrude rimase limitato alla chiesa da lei fondata e al convento di S. Maria in Capitolio dove la sua tomba si trovava nel centro del coro dinanzi all'altare maggiore e dove si conserva ancora il coperchio del sepolcro col ritratto della santa scolpito nel sec. XI.
Le notizie relative a Plettrude derivano anzitutto dalla Chronica Regia del sec. XII, quindi sono tardive, ma la tradizione che la riguarda come fondatrice e come santa è rimasta ininterrotta. Il giorno della sua morte è stato sempre celebrato in S. Maria in Capitolio come « memoria Plektrudis reginae fundatricis huius ecclesiae » e malgrado l'opinione dei Bollandisti, il suo culto è provato senza alcun dubbio. Il Calendario di Essen del sec. XIII o XIV riporta il suo nome, così come le litanie del Liber Capitularis di S. Maria nel sec. XIV. La sua festa veniva celebrata prima il 10, più tardi l'11 ag. ed anche il 18 settembre.
Desejo a todos os meus leitores
UM BOM ANO DE 2016
Nº 2842 - (223 - 2016)
10 DE AGOSTO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
**********************************************************
Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
___________________________________________________________________________
===========================================
Festa de São LOURENÇO diácono e mártir, que, desejando acompanhar o papa Sisto também no martírio, como refere São LEÃO MAGNO ao receber a ordem de entregar o tesouro da Igreja, mostrou ao tirano os pobres alimentados e vestidos com os bens recebidos em esmola, três dias depois do martírio de Sisto, superou as chamas pela sua fé em Cristo, e os instrumentos do seu suplício converteram-se em insígnias do seu triunfo. O seu corpo foi sepultado em Roma, no lugar chamado Campo Verano, no cemitério que recebeu o seu nome. (258)
SANTOS MÁRTIRES DE ALEXANDRIA
Comemoração dos SANTOS MÁRTIRES DE ALEXANDRIA, no Egipto, durante a perseguição do imperador Valeriano no tempo do prefeito Emiliano, depois de terem suportado diversas e refinadas torturas por longo tempo, alcançaram com vários géneros de morte a coroa do martírio. (257)
BLANO, Santo
Em Dunblane, na Escócia, São BLANO bispo. (séc. VI)
ARCÂNGELO DE CALATAFINI PIACENTINI, Beato
Em Alcamo, na Sicília, Itália, o Beato ARCÂNGELO CALATAFINI PIACENTINI, presbitero da Ordem dos Menores, insigne pela austeridade da sua vida e pelo amor à solidão. (1460)
AGOSTINHO OTA, Beato
Em Iki, Japão, o Beato AGOSTINHO OTA religioso da Companhia de jesus e mártir que, por Cristo foi degolado. (1622)
CLÁUDIO JOSÉ JOUFFRET DE BONNEFONT, FRANCISCO FRANÇOIS e LÁZARO TIERSOT, Beatos
Num sórdido barco-prisão ancorado ao largo de Rochefort, França, os Beatos CLÁUDIO JOSÉ JOUFFRET DE BONNEFONT da Sociedade de São Sulpício, FRANCISCO FRANÇOIS da Ordem dos Frades Menores Capuchinhos, e LÁZARO TIERSOT da Ordem Cartusiana, presbiteros e mártires que, durante a revolução francesa, encerrados na sórdida galera por causa do sacerdócio consumaram o seu martírio. (1794)
JOSÉ TOLEDO PELLICER, Beato
Em Saler, Valência, Espanha, o beato JOSÉ TOLEDO PELLICER presbitero e mártir que, plenamente configurado com Cristo, Sumo Sacerdote, a quem fielmente servira, O imitou com o triunfo do martírio. (1936)
JOÃO MARTORELL SÓRIA e
PEDRO MESONERO RODRÍGUEZ, Beatos
Em Valência, Espanha, o Beato JOÃO MARTORELL SÓRIA presbitero da Sociedade Salesiana e mártir, que sofreu o martírio na mesma perseguição. Com ele é também comemorado o beato mártir PEDRO MESONERO RODRÍGUEZ religioso da mesma Sociedade que em Vedat de Torrent, Valenciana em dia desconhecido deu testemunho de Cristo, coroado com o martírio. (1936)
FRANCISCO DRZEWIECKI e
EDUARDO GRZYMALA, Beatos
No campo de concentração de Dachau, Munique, Baviera, Alemanha, os beatos FRANCISCO DRZEWIECKI da Congregação da Pequena Obra da Divina Providência e EDUARDO GRZYMALA presbiteros e mártires foram deportados para uma prisão estrangeira pelos perseguidores da fé e, envenenados pela inalação de gás mortífero, foram ao encontro de Cristo. (1942)
... E AINDA ...
BESSO, Santo
Tra i numerosi martiri pseudo-tebei, cioè presunti appartenenti alla mitica Legione Tebea, San Besso pare essere quello con un culto popolare maggiormente radicato ed ancor oggi fiorente. In realtà incerte ed oscure sono le notizie che lo riguardano. La leggenda ne ha fatto come dicevamo un ex soldato della Legione Tebea, dunque compagno di San Maurizio, scampato al tragico eccidio di Agunum (odierna Saint-Maurice in Svizzera) ordinato dall’imperatore Massimiano e, passando per la Valle d’Aosta ed in particolare da Cogne ove è venerato, rifugiatosi in Piemonte. Qui si sarebbe dedicato all’evangelizzazione dei montanari pagani. Talvolta però Besso è considerato un vescovo di Ivrea, vissuto nell’VIII secolo e viene allora avanzata l’ipotesi, peraltro non suffragata da antiche fonti, che si possa trattare di due personaggi ben distinti: il primo sarebbe stato un eremita morto e venerato nel santuario alpestre sopra Campiglia in Val Soana, mentre il secondo un martire di Ivrea, qui venerato sin dall’antichità, a volte fu creduto addirittura vescovo della città. Ad aumentare la confusione circa la reale identità del santo contribuisce la doppia festa liturgica in suo onore il 10 agosto ed 1° dicembre, celebrata sia nel santuario che ad Ivrea.
Anche sulle circostanze del martirio di San Besso esistono molteolici versioni. Quella riportata in un breviario del 1473 conservato presso la diocesi di Ivrea, racconta di come il santo, invitato da alcuni ladri di bestiame ad un banchetto ed accortosi della provenienza furtiva della carne di pecora che gli era stata offerta, deplorò aspramente il costume dei montanari che lo ospitavano. Questi, adirati contro di lui, lo scaraventarono giù dal Monte Fautenio e lì, ancora in vita, egli sarebbe stato raggiunto e trucidato dai legionari romani rimasti sulle sue tracce da Agaunum. Sulla roccia sarebbe miracolosamente impressa una sua impronta. Secondo la tradizione, il santuario fu costruito sul luogo del martirio sotto al grande masso, ancora oggi meta di pellegrinaggi. La stessa fonte documentale riporta che, secondo un’altra versione, il santo si sarebbe miracolosamente salvato e, rifugiatosi nella vicina Valle di Cogne, in quest’ultima dimora sarebbe stato massacrato dai legionari romani.
Lo storico ed antropologo francese Robert Hertz raccolse nel 1912 ancora un’altra versione della vita di San Besso, tramandata oralmente tra la gente di Cogne, secondo la quale il santo non fu un milite tebeo, ma semplicemente un devoto pastore locale che Dio ricompensava facendo prosperare il suo gregge. Secondo tale versione, egli sarebbe stato scaraventato giù dalla rupe da alcuni montanari miscredenti, furenti dall’invidia nei suoi confronti.
Sulle vicende delle spoglie mortali del santo, la leggenda vuole che nel IX secolo, dopo esser state trafugate da pii ladri avidi di reliquie, esse siano finite in avventurose circostanze ad Ozegna, ove ora sorge il santuario della Beata Vergine del Convento e del Bosco. Un paio di secoli dopo, ad opera del celebre Re Arduino, le sacre reliquie vennero da qui traslate nella cripta della cattedrale di Ivrea, ove trovarono degna collocazione in un antico sarcofago romano tuttora visibile. Oggi riposano invene in un altare laterale di detta cattedrale insieme ad altri santi martiri.
San Besso ebbe fama di grande santo taumaturgo, autore di innumerevoli miracoli, protettore dei soldati contro i pericoli della guerra. La speciale devozione verso il santo si esprime ancor oggi nella festa in suo onore celebrata annualmente il 10 agosto nel santuario posto tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell’alta Val Soana ad oltre 2000 metri di altitudine. I fedeli accorrono numerosi in pellegrinaggio sia da Campiglia che dalla vallata di Cogne, da cui occorre partire il giorno prima e pernottare presso il ricovero del santuario. Molti, un tempo, indossavano i coloratissimi costumi tradizionali delle diverse valli. La statua del santo viene portata in processione compiendo un giro attorno alla grande rupe che fu testimone del suo martirio: l’onore di portare la statua del santo, oggi attribuito ponendola all’incanto, fu un tempo causa di violenti liti tra Campigliesi e Cognensi, due comunità oggi appartenenti a differenti diocesi, ma prima del 1200 unite sotto la diocesi di Ivrea, oltre che dalla comune parlata dialettale franco-provenzale.
Nelle credenze e nei riti popolari è possibile individuare elementi che rimandano alle antiche venerazioni di rocce ritenute centri di irradiazione di una forza divina. Talune fonti affermano che “durante il rito devozionale, i fedeli effettuano pratiche segrete e misteriose basate sulla convinzione che il contatto con la pietra favorisca la fecondità”. In realtà l’origine di questo culto è certamente precristiana ed è caratterizzata dalla persistenza di un forte culto litico. Ancora oggi le popolazioni di Cogne e Campiglia sono fortemente attaccate alla tradizione dei poteri taumaturgici della roccia di Besso, ovvero di scaglie scalpellate dalla roccia del monte Fautenio. Occorre infine come sia del tutto singolare e significativa l’assonanza tra il nome di San Besso ed il dio egizio Bes, anch’egli particolarmente invocato per la fecondità. Un’ulteriore somiglianza fra il santo cristiano e la divinità pagana è prettamente iconografica, in quanto entrambi sono sovente raffigurati con un copricapo di piume di struzzo.
BIBLIOGRAFIA
- Robert Hertz, “San Besso. Studio di un culto alpestre”, saggio contenuto in “La preminenza della destra e altri saggi”, Einaudi, Torino, 1994
- Marco Reis, “Il mistero di Besso - Tra Cogne e Campiglia le radici di un popolo”, Lampi di Stampa, 2006
ERICO IV, Santo
Primo figlio di Valdemar Sejr e di Berengaria, nacque nel 1216 e visse in uno dei più tormentati periodi che la Danimarca abbia attraversato. Era stato nominato duca della regione di Sonderjylland nel 1218 ed era stato incoronato re nel 1232, ma cominciò a regnare nel 1241. Uno dei suoi fratelli, Abele, rifiutò di riconoscerlo re e ne nacque una guerra intestina fra i numerosi fratelli durante la quale la più gran parte del Sonderjylland fu devastata. Nel 1249 progettò una crociata in Estonia e per sostenere le spese mise un'imposta su ogni aratro, provocando una sommossa nella Scania, la parte meridionale dell'attuale Svezia, che allora apparteneva alla Danimarca. Da questa imposta gli derivò il soprannome di Plovpennings, con il quale è passato alla storia (da plov = aratro e penning — moneta, danaro). La crociata fu rimandata, ma l'anno dopo Erico entrò improvvisamente nel paese di Abele e costrinse il fratello a sottomettersi. Poco dopo, durante una discussione, Abele fece prendere il fratello a tradimento e lo consegnò ad uno dei suoi nemici mortali, che, fattolo decapitare, ne buttò il cadavere in mare (10 ag. 1250). Quando, il giorno dopo, il cadavere fu trovato da alcuni pescatori, fu sepolto dai « frati neri » (così si chiamavano allora nel Nord i Domenicani) nella loro chiesa. Nel 1257 fu trasportato nella chiesa di Ringsted, dove sono sepolti molti re danesi. La impressionante morte di Erico e la sorte che, come un castigo di Dio, era toccata ai suoi assassini (tutti morirono di morte violenta), fecero sì che il popolo danese lo considerasse come un martire e molte confraternite sorgessero in suo onore e col suo nome. La sorte tragica del re Erico offrì materia al grande poeta danese Ohlenschlager (1779-1850) per un dramma, Enrico ed Abele, scritto nel 1820. La sua festa si celebra il 9 o il 10 agosto.
Primo figlio di Valdemar Sejr e di Berengaria, nacque nel 1216 e visse in uno dei più tormentati periodi che la Danimarca abbia attraversato. Era stato nominato duca della regione di Sonderjylland nel 1218 ed era stato incoronato re nel 1232, ma cominciò a regnare nel 1241. Uno dei suoi fratelli, Abele, rifiutò di riconoscerlo re e ne nacque una guerra intestina fra i numerosi fratelli durante la quale la più gran parte del Sonderjylland fu devastata. Nel 1249 progettò una crociata in Estonia e per sostenere le spese mise un'imposta su ogni aratro, provocando una sommossa nella Scania, la parte meridionale dell'attuale Svezia, che allora apparteneva alla Danimarca. Da questa imposta gli derivò il soprannome di Plovpennings, con il quale è passato alla storia (da plov = aratro e penning — moneta, danaro). La crociata fu rimandata, ma l'anno dopo Erico entrò improvvisamente nel paese di Abele e costrinse il fratello a sottomettersi. Poco dopo, durante una discussione, Abele fece prendere il fratello a tradimento e lo consegnò ad uno dei suoi nemici mortali, che, fattolo decapitare, ne buttò il cadavere in mare (10 ag. 1250). Quando, il giorno dopo, il cadavere fu trovato da alcuni pescatori, fu sepolto dai « frati neri » (così si chiamavano allora nel Nord i Domenicani) nella loro chiesa. Nel 1257 fu trasportato nella chiesa di Ringsted, dove sono sepolti molti re danesi. La impressionante morte di Erico e la sorte che, come un castigo di Dio, era toccata ai suoi assassini (tutti morirono di morte violenta), fecero sì che il popolo danese lo considerasse come un martire e molte confraternite sorgessero in suo onore e col suo nome. La sorte tragica del re Erico offrì materia al grande poeta danese Ohlenschlager (1779-1850) per un dramma, Enrico ed Abele, scritto nel 1820. La sua festa si celebra il 9 o il 10 agosto.
GERAINT II, Santo
Nella Vita di s. Teilo si legge che questi, fuggendo in Armorica per sottrarsi alla peste gialla del 547, passò per il Cornwall e vi fu ricevuto amichevolmente dal re Gerennius (forse nipote di Geraint I), al quale, riconoscente, promise assistenza spirituale in punto di morte. Nel 555 o 556 Teilo tornò dall’Armorica e, sbarcato a Dingerein, si recò da Geraint che trovò in fin di vita: il re ricevette da Teilo l’Eucaristia, morì e fu sepolto nel sarcofago che il santo gli aveva portato in dono (miracolosamente, poiché la pesante pietra aveva navigato trainata da buoi dinanzi alla nave del santo). Geraint morì quindi nel 556 ca. e la voce popolare, forse per i rapporti che lo legavano a Teilo, lo proclamò santo.
La chiesa di St. Gerrans, presso St. Just (indicata nei registri dei vescovi di Exeter come “ecclesia Sti. Gerentis”), nel Roseland, è probabilmente dedicata a lui, dato che Din Gerrein, il palazzo di Geraint, è nel territorio della parrocchia, in cui la festa di Geraint si celebra la seconda domenica di agosto precedentemente il 10 agosto).
Nella Vita di s. Teilo si legge che questi, fuggendo in Armorica per sottrarsi alla peste gialla del 547, passò per il Cornwall e vi fu ricevuto amichevolmente dal re Gerennius (forse nipote di Geraint I), al quale, riconoscente, promise assistenza spirituale in punto di morte. Nel 555 o 556 Teilo tornò dall’Armorica e, sbarcato a Dingerein, si recò da Geraint che trovò in fin di vita: il re ricevette da Teilo l’Eucaristia, morì e fu sepolto nel sarcofago che il santo gli aveva portato in dono (miracolosamente, poiché la pesante pietra aveva navigato trainata da buoi dinanzi alla nave del santo). Geraint morì quindi nel 556 ca. e la voce popolare, forse per i rapporti che lo legavano a Teilo, lo proclamò santo.
La chiesa di St. Gerrans, presso St. Just (indicata nei registri dei vescovi di Exeter come “ecclesia Sti. Gerentis”), nel Roseland, è probabilmente dedicata a lui, dato che Din Gerrein, il palazzo di Geraint, è nel territorio della parrocchia, in cui la festa di Geraint si celebra la seconda domenica di agosto precedentemente il 10 agosto).
IRENEU e AURÉLIO, Santos
Cutigliano (Val di Lima, diocesi e provincia di Pistoia) conserva nella sua chiesa parrocchiale i corpi di questi due martiri. Tolti, come tanti altri, dalle catacombe romane e forse individuati nel nome da un'iscrizione tombale e nella qualità di martiri dalla consueta, non sicura, simbologia di segni in essa incisi o graffiti, ovvero dalla presenza - di valore probativo altrettanto incerto - di presunte ampolle di sangue, essi furono trasferiti lassú nella seconda metà del sec. XVII. Ne ottenne la concessione dal papa Alessandro VIII un giureconsulto oriundo di Cutigliano e dimorante a Roma, I'auditore Pietro Pacioni, fratello minore del piú celebre Giuliano.
Le reliquie dei due presunti martiri ottennero una intensa venerazione nel paese di Cutigliano e in tutta la montagna pistoiese. Un artistico altare in loro onore venne eretto nella nieve. La loro festa si celebrò solennemente ogni anno, il 10 agosto, giorno anniversario della loro traslazione. Con beni donati per testamento dallo stesso Pietro Pacioni, il 1° gennaio 1697 fu istituita un'opera pia, ad essi intitolata, che esercitò per lungo tempo benefica attività, mantenendo nel paese una scuola di grammatica e retorica ed assegnando sussidi a giovani che mostrassero disposizione a frequentare i corsi universitari, ma ne fossero impediti da mancanza di mezzi.
A scopo di culto e di suffragio per i defunti sorse pure, sotto il titolo dei suddetti santi martiri, una confraternita, eretta con decreto vescovile in data 16 novembre 1843 ed arricchita d'indulgenze e privilegi dal pontefice Gregorio XVI con breve del 22 maggio 1844.
La devozione popolare verso questi due santi si è oggi affievolita. Anche la festa annuale, che un tempo si celebrava con notevole concorso di popolo e con manifestazioni devozionali e folkloristiche di vario genere, ha oggi perduto quasi del tutto la sua solennità e le sue originarie caratteristiche.
PIETRO JO SUK e TERESA KWON CHEON-RYE, Beatos
Pietro Jo Suk, detto Myeong-su (“Suk” era il suo nome da adulto, secondo
le consuetudini coreane), nacque a Yanggeun, nel distretto di Gyeonggi,
da una famiglia nobile. Durante la persecuzione Shinyu, esplosa nel
1801, si rifugiò nel distretto di Gangwon, presso l’abitazione di sua
madre.
Crescendo, dimostrò di essere molto intelligente, dotato, gentile e molto maturo per la sua età. Tuttavia, influenzato dall’ambiente circostante, prese a trascurare la religione cattolica cui era stato educato. Tornò alla fede a diciassette anni, quando sposò Teresa Kwon Cheon-rye.
Quest’ultima, nata a Yanggeun nel 1784, era figlia di Francesco Saverio Kwon Il-sin, uno dei primi cattolici coreani, perito durante la persecuzione Sinhae del 1797; sua madre, invece, morì quando lei aveva sei anni.
Sin da bambina si distinse per virtù e per fede. Crescendo, cercava di portare amore e pace tra i suoi familiari con gentilezza e carità, anche in mezzo alla persecuzione Shinyu, esplosa quando aveva diciott’anni.
Rimasta sola al mondo, Teresa decise di trasferirsi a Seul con un nipote e di dedicare la propria verginità a Dio. Tuttavia, i parenti andarono a trovarla e le fecero presente che la società coreana poneva degli ostacoli per una donna sola. A quel punto, accettò la loro proposta e, a vent’anni, venne data in sposa a Pietro Jo Suk.
Il suo proposito, tuttavia, non era un’idea passeggera. La prima notte di nozze, infatti, Teresa consegnò al neo-sposo una lettera, nella quale gli domandava di poter vivere restando vergine lei e celibe lui. Commosso dalla sua determinazione, lui accettò la proposta e ritornò allo zelo di un tempo.
La fede di entrambi si accresceva sempre più. Trascorrevano il loro tempo in preghiera, nella proclamazione del Vangelo e nella quotidiana offerta dei propri sacrifici. Anche se erano poveri di per sé, sapevano dare in elemosina a chi stava peggio di loro. A volte Pietro si sentiva tentato a venir meno al suo impegno di celibato, ma con l’aiuto di Teresa resistette.
Insieme provvidero ad aiutare il compagno di fede Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang) per organizzare un viaggio a Pechino, allo scopo di ottenere dei sacerdoti missionari per il Paese. Lo stesso Paolo, insieme alla vedova Barbara Ko, li aiutava nel loro operato.
Tuttavia nel marzo 1817, proprio mentre lui si trovava a Pechino, la polizia irruppe nell’abitazione: aveva appreso che Pietro era cattolico. Teresa lo seguì volontariamente e fu imprigionata con lui e con Barbara.
L’ufficiale incaricato di sottoporli all’interrogatorio usò tutti i mezzi possibili per far svelare loro dove si trovassero gli altri credenti, ma non ottenne di far aprire loro bocca. Quando fu il turno di Teresa, lei rispose: «Il nostro Signore è il Padre di ogni essere umano e il Padrone di tutte le creature. Come posso rinunciare a Lui? Quando uno tradisce i propri genitori, non può essere perdonato. Quindi, come possiamo tradire Dio che è Padre di tutti?».
Dopo ripetute torture e altri interrogatori, il giudice comprese che non avrebbero cambiato idea e li rimise in prigione. Ogni volta che Pietro si sentiva debole e scoraggiato, Teresa era accanto a lui per chiedergli di restare fedele, cosicché entrambi potessero morire per Dio. Con Barbara al loro fianco, rimasero in carcere per più di due anni, in condizioni miserande, ma incrollabili quanto alla fede.
Infine, un giorno successivo al 10 agosto 1819 (20 giugno per il calendario lunare), Pietro, Teresa e Barbara vennero decapitati. Lui aveva trent’anni, la moglie trentacinque. Un mese dopo, ai fedeli rimasti fu concesso di prelevare i loro cadaveri. Le reliquie, tra le quali c’era una lunga treccia dei capelli di Teresa, conservata in un cesto, vennero custodite in casa di Sebastiano Nam I-gwan. Molti, aprendo il contenitore, affermarono di sentire un dolce profumo.
I due sposi e la loro compagna, insieme al fratello di Teresa, Sebastiano Kwon Sang-mun, che venne martirizzato durante la persecuzione del 1801, sono stati inclusi nei 124 martiri beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud. Paolo Jeong Ha-sang e Sebastiano Nam I-gwan, invece, sono stati canonizzati insieme ad altri 101 credenti coreani da san Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984.
Crescendo, dimostrò di essere molto intelligente, dotato, gentile e molto maturo per la sua età. Tuttavia, influenzato dall’ambiente circostante, prese a trascurare la religione cattolica cui era stato educato. Tornò alla fede a diciassette anni, quando sposò Teresa Kwon Cheon-rye.
Quest’ultima, nata a Yanggeun nel 1784, era figlia di Francesco Saverio Kwon Il-sin, uno dei primi cattolici coreani, perito durante la persecuzione Sinhae del 1797; sua madre, invece, morì quando lei aveva sei anni.
Sin da bambina si distinse per virtù e per fede. Crescendo, cercava di portare amore e pace tra i suoi familiari con gentilezza e carità, anche in mezzo alla persecuzione Shinyu, esplosa quando aveva diciott’anni.
Rimasta sola al mondo, Teresa decise di trasferirsi a Seul con un nipote e di dedicare la propria verginità a Dio. Tuttavia, i parenti andarono a trovarla e le fecero presente che la società coreana poneva degli ostacoli per una donna sola. A quel punto, accettò la loro proposta e, a vent’anni, venne data in sposa a Pietro Jo Suk.
Il suo proposito, tuttavia, non era un’idea passeggera. La prima notte di nozze, infatti, Teresa consegnò al neo-sposo una lettera, nella quale gli domandava di poter vivere restando vergine lei e celibe lui. Commosso dalla sua determinazione, lui accettò la proposta e ritornò allo zelo di un tempo.
La fede di entrambi si accresceva sempre più. Trascorrevano il loro tempo in preghiera, nella proclamazione del Vangelo e nella quotidiana offerta dei propri sacrifici. Anche se erano poveri di per sé, sapevano dare in elemosina a chi stava peggio di loro. A volte Pietro si sentiva tentato a venir meno al suo impegno di celibato, ma con l’aiuto di Teresa resistette.
Insieme provvidero ad aiutare il compagno di fede Paolo Jeong Ha-sang (o Chong Hasang) per organizzare un viaggio a Pechino, allo scopo di ottenere dei sacerdoti missionari per il Paese. Lo stesso Paolo, insieme alla vedova Barbara Ko, li aiutava nel loro operato.
Tuttavia nel marzo 1817, proprio mentre lui si trovava a Pechino, la polizia irruppe nell’abitazione: aveva appreso che Pietro era cattolico. Teresa lo seguì volontariamente e fu imprigionata con lui e con Barbara.
L’ufficiale incaricato di sottoporli all’interrogatorio usò tutti i mezzi possibili per far svelare loro dove si trovassero gli altri credenti, ma non ottenne di far aprire loro bocca. Quando fu il turno di Teresa, lei rispose: «Il nostro Signore è il Padre di ogni essere umano e il Padrone di tutte le creature. Come posso rinunciare a Lui? Quando uno tradisce i propri genitori, non può essere perdonato. Quindi, come possiamo tradire Dio che è Padre di tutti?».
Dopo ripetute torture e altri interrogatori, il giudice comprese che non avrebbero cambiato idea e li rimise in prigione. Ogni volta che Pietro si sentiva debole e scoraggiato, Teresa era accanto a lui per chiedergli di restare fedele, cosicché entrambi potessero morire per Dio. Con Barbara al loro fianco, rimasero in carcere per più di due anni, in condizioni miserande, ma incrollabili quanto alla fede.
Infine, un giorno successivo al 10 agosto 1819 (20 giugno per il calendario lunare), Pietro, Teresa e Barbara vennero decapitati. Lui aveva trent’anni, la moglie trentacinque. Un mese dopo, ai fedeli rimasti fu concesso di prelevare i loro cadaveri. Le reliquie, tra le quali c’era una lunga treccia dei capelli di Teresa, conservata in un cesto, vennero custodite in casa di Sebastiano Nam I-gwan. Molti, aprendo il contenitore, affermarono di sentire un dolce profumo.
I due sposi e la loro compagna, insieme al fratello di Teresa, Sebastiano Kwon Sang-mun, che venne martirizzato durante la persecuzione del 1801, sono stati inclusi nei 124 martiri beatificati da papa Francesco il 16 agosto 2014, durante il suo viaggio apostolico in Corea del Sud. Paolo Jeong Ha-sang e Sebastiano Nam I-gwan, invece, sono stati canonizzati insieme ad altri 101 credenti coreani da san Giovanni Paolo II, il 6 maggio 1984.
PIETTRUDE, Santa
Nacque da una nobile famiglia franca nelle vicinanze di Treviri. Suo padre Ugoberto, parente del santo vescovo Teodardo, divenne, nel 705, vescovo di Maastricht e sua madre fu, come oggi viene generalmente riconosciuto, la b. Irmina, che mori come badessa di Oren ed è presumibilmente sepolta a Weissenburg. Andata sposa al maggiordomo franco Pipino, Plettrude esercitò su di lui un benefico influsso e dal matrimonio nacquero due figli, Drogo e Grimoaldo che morirono precocemente. I suoi rapporti con lo sposo tuttavia furono spesso offuscati dalla presenza di una concubina, Alpaida (Chalpaida), da cui nacque Carlo Martello.
Partecipò in misura determinante alla fondazione nel 697-98 del monastero di Echternach, nell'odierno Lussemburgo, che fu affidato a s. Willibrordo, e a quella di Kaiserswerth con l'aiuto di s. Suitberto. Da questi due centri partirono missionari anglosassoni destinati in particolare alla conversione dei Frisoni.
Dopo la morte di Pipino nel 714, P. affidò la reggenza a Carlo Martello e si ritirò a Colonia, dove fondò una chiesa in onore della Madre di Dio, che più tardi prese il nome di « S. Maria in Capitolio », e una comunità conventuale. Secondo la tradizione mori a Colonia il 10 ag. 725 e vi fu sepolta.
Il culto di Plettrude rimase limitato alla chiesa da lei fondata e al convento di S. Maria in Capitolio dove la sua tomba si trovava nel centro del coro dinanzi all'altare maggiore e dove si conserva ancora il coperchio del sepolcro col ritratto della santa scolpito nel sec. XI.
Le notizie relative a Plettrude derivano anzitutto dalla Chronica Regia del sec. XII, quindi sono tardive, ma la tradizione che la riguarda come fondatrice e come santa è rimasta ininterrotta. Il giorno della sua morte è stato sempre celebrato in S. Maria in Capitolio come « memoria Plektrudis reginae fundatricis huius ecclesiae » e malgrado l'opinione dei Bollandisti, il suo culto è provato senza alcun dubbio. Il Calendario di Essen del sec. XIII o XIV riporta il suo nome, così come le litanie del Liber Capitularis di S. Maria nel sec. XIV. La sua festa veniva celebrata prima il 10, più tardi l'11 ag. ed anche il 18 settembre.
»»»»»»»»»»»»»»»»
&&&&&&&&&&&
Local onde se processa este blogue, na cidade do Porto
Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
In
MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
Blogue: SÃO PAULO (e Vidas de Santos) - http://confernciavicentinadesopaulo.blogspot.com
Sem comentários:
Enviar um comentário
Gostei.
Muito interessante.
Medianamente interessante.
Pouco interessante.
Nada interessante.