Caros Amigos:
Desejo a todos os meus leitores
8º A N O
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São LUÍS IX rei de França, que se tornou célebre pela sua fé activa, quer em tempo de paz quer no decurso da guerra em defesa dos cristãos, pela justa administração do reino, pelo amor aos pobres e pela constância nas adversidades. Contraiu matrimónio e teve onze filhos, a quem deu uma excelente e piedosa educação. Para honrar a cruz, a coroa de espinhos e o sepulcro do Senhor, dedicou todos os seus bens, a sua força e a própria vida, até que, atingido pela peste no acampamento militar, morreu em Túnis, no litoral da África Setentrional. (1270).
JOSÉ DE CALASANZ, Santo
São JOSÉ DE CALASANZ presbitero que, para educar as crianças e os adolescentes no amor e sabedoria do Evangelho, instituiu escolas populares e fundou em Roma a Ordem dos Clérigos Regrantes Pobres da Mãe de Deus das Escolas Pias. (1648)
Na Via Aurélia, a seis milhas de Roma, o sepultamento dos santos EUSÉBIO, PONCIANO, VICENTE e PEREGRINO mártires. (data incerta)
GENS DE ARLES, Santo
Em Arles na Provença, França, São GENS mártir que, ainda catecúmeno, trabalhando no tribunal como notário e recusando-se a transcrever um edito contra os cristãos, tentou salvar-se pondo-se em fuga, mas, capturado pelos soldados foi baoptizado com o seu proprio sangue. (303)
Em Utrecht, na Géldria da Austrásia, hoje Holanda, São GREGÓRIO abade que, ainda adolescente, acompanhou sempre São BONIFÁCIO nas caminhadas missionárias para a conversão da Turíngia e de Hessen e depois, por seu mandato, dirigiu como abade o mosteiro de São Martinho e governou a igreja de Utrecht. (775)
Em Montefiascone, na Toscana hoje no Lácio, Itália, o passamento de São TOMÁS CANTALUPE bispo de Hereford, na Inglaterra, homem de eminente cultura, severo para consigo e largamente generoso para com os pobres. (1282)
MIGUEL CARVALHO, PEDRO VÁSQUEZ, LUÍS SOTELO, LUÍS SASANDA e LUÍS BABA, Beatos
Em Ximabara, no Japão, os beatos mártires MIGUEL CARVALHO da Companhia de Jesus, PEDRO VÁSQUEZ da Ordem dos Pregadores, LUÍS SOTELO e LUÍS SASANDA, presbiteros e LUÍS BABA religioso da Ordem dos Frades Menores, que por Cristo foram queimados vivos. (1624)
PAULO JOÃO CHARLES, Beato
Num barco-prisão ancorado ao largo de Rochefort, França, o Beato PAULO JOÃO CHARLES presbitero e mártir, um prior da Ordem Cisterciense que, durante a perseguição da revolução francesa, foi arrebatado de Sept-Fonts e encarcerado na sórdida galera por causa do seu sacerdócio, onde morreu de inanição e enfermidade. (1749)
MARIA DO TRÂNSITO (Cabanillas) DE JESUS SACRAMENTADO, Beata
Em Valência, Espanha, o Beato LUÍS URBANO LANASPA presbitero da Ordem dos Pregadores e mártir, que superou o glorioso combate por Cristo. (1936)
FLORÊNCIO ALONSO RUIZ, Beato
Em "Palácio del Duque" entre Somió e Cabueñes, nas Astúrias, Espanha, o beato FLORÊNCIO ALONSO RUIZ presbitero da Ordem de Santo Agostinho e mártir. (1936)
ONOFRE (Sálvio Tolosa Alsina), Beato
Na estrada de Llagostera a Vidreras, na Catalunha, Espanha, o Beato ONOFRE (Sálvio Tolosa Alsina) religioso da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs e mártir. (1936)
VICENTE ALVAREZ CIENFUEGOS, Beato
Em Madrid, Espanha, o beato VICENTE ALVAREZ CIENFUEGOS presbitero da Ordem dos Pregadores e mártir. (1936)
MARIA TRONCATTI, Beata
ALESSANDRO DORDI, Beato
Sotto la ruvida scorza del montanaro c’è un uomo dallo stile sbrigativo e senza fronzoli, generoso e disponibile, che non ha paura di “lavorare con le mani” e che ogni giorno si sforza di “credere al Signore che ci manda non per raccogliere, ma per essere suoi testimoni”.
Nasce nel 1931 a Gandellino (Bergamo) e prima ancora di essere prete chiede di entrare nella “Comunità Missionaria del Paradiso”, che prepara i preti per le diocesi che ne sono carenti. Così, subito dopo l’ordinazione, nel 1954 è spedito nel Polesine, che sta faticosamente riemergendo dall’alluvione del 1951 e per questo ha bisogno di riscatto e speranza. Vi resta fino al 1965, quando lo mandano a lavorare tra gli emigrati italiani in Svizzera. Qui resta fino al 1979, facendo anche il prete operaio in una fabbrica di orologi a Le Locle; poi la scelta della missione “ad gentes”: prima strizza l’occhio al Burundi, infine gli preferisce il Perù, che gli sembra il più bisognoso di aiuto. Vi arriva, “con un biglietto aereo di sola andata”, nel 1980, assegnato alla parrocchia del Señor Crucificado a Santa, diocesi di Chimbote: un vasto territorio, poverissimo e sottosviluppato, in cui lui è chiamato a portare pane e Vangelo. Dovendo “decidere quel poco che si può fare per non seminare al vento… “, subito dà priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti.
Crea un Centro per la promozione della donna e anche un’associazione per le madri, fornendo loro gli strumenti per piccoli lavori di taglio e cucito, organizzando anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute. Le cappelline e le case parrocchiali costruite in tutta la valle del fiume Santa sono un modo per far sentire Dio vicino alla gente. Pienamente convinto che “il missionario non è un conquistatore, ma un servitore ed un amico”, si sforza in tutti i modi di non “presentarsi con una stupida superiorità che impedisce di met¬tersi accanto agli altri come uguale e come servitore”. Talmente “uguale”, ricordano i confratelli, che “indossava le abarcas o ojotas, sandali fatti con i copertoni delle macchine e cinghie di gomma perché voleva usare le stesse calzature della gente comune”. È sobrio anche nel mangiare e nel vestire, fino a non voler comprare la pompa per l’acqua ed a non avere in casa né doccia né acqua corrente.
La sua pastorale incentrata sulla famiglia e sul ruolo della donna è, secondo lui, il miglior antidoto contro le intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo perché distribuiscono gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamano la giustizia e la verità del Vangelo. Lo capiscono perfettamente anche i guerriglieri, che poco dopo il suo arrivo già sentenziano “Quello lì o se ne va o lo ammazziamo”. Pur sentendo il loro fiato sul collo, non modifica di una virgola la severità dei suoi giudizi sugli abusi e sui loschi affari dei guerriglieri, che gestiscono traffici di prostituzione e giri di droga, tanto che quando in città compare la scritta “straniero, il Perù sarà la tua tomba”, capisce subito che è indirizzata a lui. “Adesso torno laggiù e mi uccideranno”, dice ai suoi, salutandoli dopo un breve periodo di vacanza in Italia. “La prossima volta non sbaglieremo mira”, gli fanno sapere nei primi mesi del 1991, quando per miracolo sfugge ad un attentato, mentre la macchina su cui viaggia insieme al vescovo viene ridotta ad un colabrodo. I confratelli gli consigliano di tornare in Italia, per aspettare che si calmino le acque e, anche, per curare i suoi polmoni malati, ma pensando ai suoi parrocchiani dice subito: “se li abbandono anch’io, non hanno proprio più nessuno”.
Il 9 agosto 1991 i guerriglieri uccidono due frati polacchi (di cui abbiamo parlato in questa rubrica un paio di mesi fa) a Pariacoto, accusati di "ingannare il popolo con le bibbie e i rosari". Scrive: “La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?». La risposta non si fa attendere a lungo: il 25 agosto i guerriglieri gli tendono un’imboscata mentre ritorna da una celebrazione in un villaggio e si sta dirigendo verso un altro per l’ultima messa della giornata. Risparmiano i due catechisti, mentre a lui sparano alla testa e al cuore.
“È un martire della fede”, ha sentenziato la Chiesa, dopo un’accurata indagine, il 3 febbraio 2015. Don Alessandro (per tutti Sandro) Dordi è stato beatificato a Chimbote il 5 dicembre seguente: primo sacerdote diocesano “fidei donum” (cioè “prestato” ad un’altra diocesi) ad essere beato.
Autore: Gianpiero Pettiti
Alessandro Dordi nacque a Gromo San Marino, frazione del comune di Gandelino, in provincia di Bergamo e alta val Seriana, il 22 gennaio 1931. Fu il secondo di una numerosa famiglia, composta in tutto da nove figli. Cresciuto in una comunità montana, tra poche comodità e grandi sacrifici, in una famiglia di fede, maturò il pensiero di diventare prete.
Entrato quindi nel Seminario diocesano di Bergamo, aderì alla Comunità Missionaria del Paradiso, fondata per sostenere le diocesi con carenza di clero e gli emigranti italiani. Il 12 giugno 1954, per l’imposizione delle mani del vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi, venne ordinato sacerdote.
A breve distanza dall’ordinazione, insieme al confratello don Antonio Locatelli, partì per Porto Viro, nel Polesine, località duramente provata da una terribile alluvione. La gente del luogo ricorda ancora quel giovane sacerdote in bicicletta, con la veste talare, pronto a correre dovunque ci fosse bisogno, si trattasse di costruire condutture o di sostenere chi credeva di aver perso tutto.
In seguito, fu a Taglio di Donada, nella diocesi di Chioggia, dove restò fino al 1958. Il suo successivo incarico fu quello di parroco a Mea di Contarina, dal 1958 al 1964. Contemporaneamente, fino al 1965, fu direttore della scuola professionale San Giuseppe Operaio (fondata dal già menzionato don Locatelli) a Donada. Quello strumento gli servì per fornire lavoro ai giovani del posto, che altrimenti avrebbero faticato a vivere solo di pesca.
Lasciato il delta del Po nel 1965, trascorse quindi tredici anni in Svizzera (dal 1966 al 1979), a Le Locle, come cappellano degli emigrati italiani. La sua successiva terra di missione non fu il Burundi, cui inizialmente aspirava mentre stava per lasciare la Svizzera, ma il Perù, scelto a seguito di un viaggio in America Latina.
Nel 1980 don Sandro, com’era più conosciuto, s’installò nella parrocchia del Señor Crucificado a Santa, nella regione di Áncash, accettando l’invito dell’allora vescovo della diocesi di Chimbote, monsignor Luis Armando Bambarén Gastelumendi. Gli si prospettava un vasto territorio, che comprendeva il paese di Santa e tutta la valle del Rio Santa fino a Vinzos, 24 km a nord-est.
Da subito diede priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti, a costo di percorrere grandi distanze. Grazie all’appoggio di Caritas Spagna, poté attuare un Centro per la promozione della donna e, in seguito, organizzò un’associazione per le madri, per fornire loro gli strumenti per piccoli lavori manuali, taglio e cucito, ma anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute.
Tutte le sue realizzazioni, che compresero anche cappelline e case parrocchiali in tutta la valle del fiume Santa, erano un modo per far sentire Dio vicino a quello che, ormai, considerava il suo popolo. Per avere un aiuto in più, fece venire in parrocchia le Suore di Gesù Buon Pastore, dette Pastorelle (uno dei rami femminili della Famiglia Paolina), che per carisma si occupano proprio di sostenere l’attività pastorale dei parroci nelle situazioni più marginali.
L’insistenza di don Sandro sulla famiglia e sul ruolo della donna era, per lui, la miglior forma di lotta contro intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusavano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo, semplicemente perché distribuivano gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamavano la giustizia e la verità che vengono dal Vangelo.
Quanto a lui, sapeva di essere in pericolo di vita. Nel 1990, lui e monsignor Bambarén si salvarono da una raffica di colpi lungo il fiume Santa, sdraiandosi sul fondo della jeep su cui viaggiavano e facendo velocemente marcia indietro, per allontanarsi dal luogo dell’imboscata. Pochi mesi dopo, gli capitò lo stesso mentre era in casa. L’ultima volta che aveva visitato i suoi, in Italia, li aveva salutati dicendo: «Addio, adesso torno laggiù e mi uccideranno».
Ma il campanello d’allarme più forte, per lui, fu la notizia dell’uccisione dei padri Francescani conventuali Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, il 9 agosto 1991. Così scrisse a un amico sacerdote: «In questi giorni siamo particolarmente angosciati e preoccupati. Sicuramente hai saputo come il 9 di agosto Sendero Luminoso ha ammazzato due sacerdoti della Diocesi di Chimbote. Sono due francescani polacchi che lavoravano in una vallata come la mia: avevano 32 e 34 anni. Puoi immaginare la situazione di ansia in cui viviamo; ci sono inoltre delle minacce chiare di prossime uccisioni. Sendero Luminoso, che con il terrore vuole arrivare al potere, ha preso di mira la Chiesa… La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?».
Quella terribile domanda trovò risposta poco più di quindici giorni dopo, alle 17.15 di domenica 25 agosto 1991. Don Sandro stava tornando in camionetta da Vinzos, un villaggio vicino, dove aveva celebrato Messa e amministrato alcuni battesimi, e stava andando a Rinconada, dove avrebbe celebrato l’ultima Eucaristia di quella domenica. Era accompagnato da due catechisti (nelle prime ricostruzioni dell’accaduto, erroneamente identificati come seminaristi) Gilberto Ávalos Tolentino e Orlando Orué Pantoja. Non interruppe il viaggio finché non si trovò impedito da due grandi rocce che bloccavano la strada. Scese dal mezzo, ma venne fermato da due uomini incappucciati: uno portava un fucile, l’altro una pistola.
I suoi accompagnatori lo sentirono chiedere agli aggressori di non far nulla di male contro di loro. Mentre venivano fatti allontanare, sentirono degli spari: il sacerdote era morto, colpito al viso per tre volte, a pochi passi dalla camionetta. Aveva sessant’anni ed era prete da trentasette. Due ore dopo, una delle Pastorelle telefonò a monsignor Lino Belotti, superiore della Comunità del Paradiso e compagno di Seminario della vittima, per riferirgli l’accaduto. L’uccisione venne subito attribuita, da parte della polizia peruviana, ai guerriglieri di Sendero Luminoso.
La salma venne riportata in Italia nel tardo pomeriggio di domenica 1 settembre 1991. I funerali si tennero prima nella cattedrale di Bergamo, officiati dall’allora vescovo monsignor Giulio Oggioni, poi, il giorno successivo, nella chiesa parrocchiale di Gromo San Marino, intitolata a Santa Maria Nascente; fra i concelebranti, c’era anche monsignor Bambarén. Da allora, i resti mortali di don Alessandro riposano nella tomba di famiglia del cimitero del paese, proprio accanto alla parrocchiale.
Il suo ricordo non è mai venuto meno in nessuna delle comunità che hanno visto il suo passaggio. Nel Polesine gli hanno dedicato una cooperativa sociale e, nel 2011, la sua bicicletta è stata incastonata in una statua di bronzo situata a Taglio di Donada, nella piazza che porta il suo nome.
La causa di beatificazione di don Alessandro Dordi, unita a quella dei sopra citati padri Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, si è svolta nella diocesi di Chimbote dal 9 agosto 1996 al 25 agosto 2002, aperta e chiusa da monsignor Bambarén, che già nel giorno dei funerali ne auspicò l’avvio. In contemporanea, si tennero anche le inchieste rogatorie; quella per il sacerdote bergamasco si svolse nella diocesi d’origine, come d’uso. Convalidato il tutto il 24 ottobre 2003, si lavorò alla “Positio super martyrio”, che il 25 novembre 2011 venne consegnata presso la Congregazione vaticana delle Cause dei Santi.
Eppure i consultori teologi, che esaminarono il contenuto della Positio il 14 novembre 2013, chiesero d’indagare meglio se l’uccisione dei Servi di Dio non fosse avvenuta per motivi politici e se non fossero stati coinvolti in azioni di guerriglia. Alla documentazione del processo venne quindi accluso il Rapporto Finale della Commissione per la Verità e per la Riconciliazione sulle vittime della violenza armata interna, pubblicato dal governo Peruviano il 23 agosto 2003.
Il 3 febbraio 2015 la sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi si è riunita per dichiarare se don Alessandro, padre Michał e padre Zbigniew sono stati effettivamente uccisi in odio alla fede. Nella stessa data, ricevendo in udienza privata il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato a promulgare il decreto che li dichiarava ufficialmente martiri; nello stesso gruppo di decreti, c’era anche quello che confermava il martirio di monsignor Romero.
La data stabilita per la beatificazione dei tre martiri è il 5 dicembre 2015, a Chimbote. Tuttavia, l’attuale vescovo del luogo, monsignor Ángel Francisco Simón, è venuto a sapere il 17 luglio 2015 che due fratelli di don Sandro si sono opposti alla ricognizione canonica dei suoi resti, in quanto non hanno mai ricevuto risposte alle lettere con cui domandavano alle autorità peruviane di sanzionare i colpevoli del suo assassinio. Monsignor Bambarén, di passaggio in Italia a settembre, ha cercato di convincerli a procedere all’esumazione, ma senza nessun risultato. Ciò non ha tuttavia ostacolato la celebrazione del rito con cui don Sandro e i due francescani sono stati dichiarati Beati: come infatti dichiara l’Istruzione «Sanctorum Mater», al n. 141, la ricognizione dei resti mortali in vista della beatificazione o della canonizzazione non è più obbligatoria.
Sacerdote, vicario e tesoriere della comunità e insegnante di scuola elementare di San Pietro Apostolo a Reus (Tarragona). Grave e austero con se stesso, avendo però rispetto e benevolenza con tutti. Costretto a lasciare la scuola, è stato arrestato, "per essere un prete" per sua stessa ammissione, il 27 luglio 1936 e portato alla nave-prigione "Rio Segre," ancorata nel porto di Tarragona. Lì incontrò tre frati della comunità. Dopo un mese di detenzione sulla barca, il 25 agosto 1936, con un camion, con 16 altri colleghi, tra cui tre sacerdoti della comunità, è stato deportato e ucciso a Vila-rodona intorno le ore 10 del giorno stesso. Sue spoglie riposano in un cimitero nello stesso cimitero
FRANCISCO LLACH CANDELL, Beato
Sacerdote, segretario della comunità e della scuola, insegnante di scienze di San Pietro Apostolo di Reus. Aveva una grande preparazione per l'insegnamento, in particolare per la scienza, e possedeva la virtù della pazienza. Imprigionato con altri della comunità religiosa, prima in carcere a Reus, dove ha organizzato un ritiro in preparazione alla morte, il 25 luglio è stato presa alla nave-prigione "Cape Cullera", ancorata nel porto di Tarragona, due giorni dopo nella “Río Segre”." È stato ucciso con 16 altri religiosi a Vila-rodona, il 25 agosto 1936. Sue spoglie riposano nello stesso cimitero
GENÉSIO DE BRESCELLO, Santo
Venerato a Brescello (Reggio Emilia), come vescovo di quell'antica diocesi, sarebbe vissuto tra la fine del IV e gli inizi del V sec., piú o meno contemporaneamente ai grandi vescovi santi delle altre diocesi dell'Emilia occidentale, Savino di Piacenza, Prospero di Reggio, Geminiano di Modena.
Ma nel caso di Genesio tutti i dati derivano da un testo assai sospetto, la Revelatio beati Genesii episcopi, legata alle vicende che determinarono la ricostruzione dell'antica città vescovile, distrutta nel VI sec. durante la guerra gotica. Quando nella seconda metà del X sec. il fondatore della dinastia canossiana, Adalberto Azzo, iniziando la costruzione del castello di Brescello riportò a nuova vita l'antica città, fu naturale rifarsi alle glorie episcopali di un tempo. La Revelatio, composta appunto in quegli anni, intende narrare le fasi di una inventio fatta durante la ricostruzione: il ritrovamento miracoloso del corpo di un dimenticato santo brescellese, la cui santità sarebbe stata dimostrata dai miracoli che precedettero ed accompagnarono l'invenzione, e la cui identità sarebbe stata svelata dall'iscrizione apparsa sulla tomba:
HIC TITUBUS EST VENERABIBIS GENESII
HUIUS BRIXEBEENSIS URBIS EPISCOPI.
Ma troppo sospetto è l'andamento della Revelatio, che non si discosta dai luoghi comuni di mille inventiones di quegli anni, né l'iscrizione può essere antica. Di un Genesio vescovo di Brescello non sappiamo altrimenti nulla, né tanto meno consta un suo culto, antecedente all'inventio. È del resto significativo che i brescellesi siano dovuti ricorrere per il dies natalis al giorno della festa del martire Genesio, il 25 agosto.
Anche l'iscrizione della lamina plumbea già nella chiesa di Brescello, poi—forse nel sec. XVI — passata al Musco Borgiano di Velletri, edita dall'Affò, testimonia unicamente del culto avviato dalla inventio del X sec.
Una grande abbazia benedettina, consacrata a Genesio, sorse comunque allora e fu largamente dotata da Adalberto Azzo e dai suoi successori. Già nel secolo seguente era fiorente e nel 1099 nuove elargizioni in suo favore compì la contessa Matilde in un diploma che ricorda le benevolenze dei suoi avi per la chiesa di S. Genesio.
Nel 1106 Pasquale II assicurò alla fondazione la piú larga immunità con un privilegio che si richiama, nella narratio, alla stessa Revelatio b. Genesii.
Ma nonostante le altissime protezioni e le amplissime elargizioni concesse all'abbazia, il culto per il presunto vescovo di Brescello non ebbe grande fortuna oltre i limiti del territorio brescellese. Nella cittadina emiliana, però, ancora oggi Genesio è venerato come patrono, e le reliquie scoperte nel sec. X vi sono ancora conservate in una cappella della chiesa parrocchiale.
GENÉSIO DE ROMA, Santo
Quando l'imperatore Diocleziano venne a Roma, fu accolto con la più grande magnificenza. Fra le feste, si diedero pure delle rappresentazioni teatrali, in sua presenza. Uno dei comici principali, Genesio, volle mettere in burla le cerimonie del Battesimo dei Cristiani. Era sicuro di far ridere gli spettatori.
Postosi dunque a letto sul palcoscenico si finse ammalato e si cominciò questo dialogo.
– Ah, miei amici, io sento sopra di me un grave peso, e vorrei ben essere liberato!
– Che faremo per toglierti questo peso?
– Quanto siete mai privi di intendimento! Io sono risoluto di morire cristiano affinché Iddio mi riceva nel suo regno, come quelli che, per assicurare la loro salvezza, hanno rinunziato all'idolatria e alla superstizione.
Allora si chiamarono due attori, uno dei quali rappresentava il prete e l'altro l'esorcista. Venuti al capezzale dell'ammalato gli dissero:
– Perché, figlio, ci fai qui venire?
– Perché desidero ricevere la grazia di Gesù Cristo, e di essere rigenerato, onde potermi liberare dai miei peccati.
Genesio venne allora battezzato e rivestito di una veste bianca come solevano fare i Cristiani: e ciò gli attori lo facevano sempre per burla. Intanto continuando la scena, sopravvennero altri attori vestiti da soldati, i quali si impadronirono di Genesio e lo presentarono all'imperatore per essere interrogato nella stessa maniera con cui s'interrogavano i Cristiani. Fin qui si era creduto che fosse una farsa come era stato nell'intenzione di tutti, ma ben presto imperatore, attori e spettatori conobbero che per Genesio non era più una commedia.
Difatti il comico, rivoltosi improvvisamente al popolo che rideva gustosamente, e con tutta naturalezza e serietà disse:
– Signori e voi tutti che siete qui presenti, ascoltate ciò ch'io sto per dire. Io non ho mai udito pronunziare il nome cristiano senza inorridire e detestare anche quei miei parenti che professavano questa religione. Mi sono istruito nei misteri e nei riti del Cristianesimo unicamente per dileggiarli e per farli disprezzare dagli altri; ma in questo istante tosto che l'acqua ebbe lavato il mio capo ed ebbi risposto ch'io credeva a tutte quelle cose su cui venivo interrogato, ho veduto sopra il mio capo una schiera di Angeli splendenti di luce che leggevano in un libro tutti i peccati da me commessi fin dalla fanciullezza; indi immerso questo libro nell'acqua in cui io ero pure immerso, me lo mostrarono più bianco della neve e senza alcuna traccia di scrittura. Voi dunque, o possente imperatore, voi dunque, o romani che mi ascoltate, voi tutti che vi beffavate con me dei misteri del Cristianesimo, credetemi: Gesù Cristo è il vero Dio, che è la luce e la verità, e che da lui solo potete ottenere il perdono dei vostri peccati.
Udendo queste parole, tutti gli spettatori trasecolarono. Diocleziano, credendosi burlato, lo fece flagellare e lo consegnò al prefetto Plauziano.
Genesio disteso sul cavalletto ebbe rotte le costole e da ultimo fu decapitato. In queste sofferenze il martire andava ripetendo: “Non vi è altro Dio all'infuori di quello che io ebbi la fortuna di conoscere. Io non adoro né servo altro che a lui: a lui solo starò sempre unito, dovessi anche soffrire mille morti”.
JÚLIO e ERMETE, Santos
I fedeli della Diocesi Nomentana ed in particolare quelli della città sabina di Eretum veneravano anticamente anche i Santi Giulio ed Ermete.
Pochissime sono le notizie che abbiamo di questi 2 martiri. Esse ci vengono date unicamente dal M. Geronimiano nei suoi tre codici Bernese, Epternacense e Wissemburgense. Nel codice Bernese al 25 agosto c’è scritto: “In cimiterio eiusdem Via Nomentana, milliario XVIII…Romae, Natalis S.ti Genesii martir. Iulii Hermetis”.
La citazione è dunque divisa in due parti: la prima riporta l’indicazione topografica ma è priva di nomi, la seconda invece riporta i nomi dei santi, confusi. Corrispondentemente, negli altri due codici c’è scritto: “E Romae, S.ti Genisi - E Romae, natale S.ti Genesi mart.”.
Dal confronto dei tre documenti del Geronimiano appare subito evidente la confusione dei nomi. Infatti il codice Wissemburghense, nel giorno seguente (26 agosto), assegna San Genesio ad Arles. Il Genesio Romano ed il Genesio Arlesiano sono la stessa persona e cioè il martire della Gallia che ebbe culto anche a Roma, come anche nel resto d’Italia.
Pertanto, Giulio ed Ermete, da non confondersi con altri Santi omonimi, rimangono per Roma ed il codice Bernese, così purificato, può essere così ricostituito: “Romae, in cimiterio Via Nomentana, milliario XVIII, Natalis Iulii et Hermetis” (I. Schuster, Boll. Diocesano uffic. per la Sabina, anno 1917, pag. 191).
Il miglio XVIII è vicinissimo a Eretum ed alla tomba di San Restituto. Molto probabilmente dunque la sepoltura di Giulio ed Ermete si trovava nello stesso posto dove troverà riposo la salma di San Restituto.
Le ossa di Giulio ed Ermete dovettero ben presto essere disperse, per cui venne anche a mancare per loro quella commemorazione liturgica che allora era strettamente sepolcrale. Se così non fosse, non potremo spiegarci mai come in una medesima Basilica sepolcrale si sarebbe sviluppato in maniera rilevante il culto di San Restituto, mentre sui due martiri grava il silenzio più assoluto.
LUIGGI DELLA CONSOLATA (Andrea Bordino), Beato
Bordino era nato da una famiglia di vignaioli a Castellinaldo (Cuneo) il 12 agosto 1922. Più propenso allo sport che allo studio, Andrea (il nome Luigi lo prenderà quando vestirà l’abito religioso), dal fisico atletico, diventa campione di pallone elastico, uno sport molto seguito nelle sue terre e si forma cristianamente fra le mura domestiche, la parrocchia e l’Azione Cattolica. «Tra i filari non sentiva la fatica, nelle gare nessuno riusciva a batterlo e le coetanee non avevano occhi che per lui» ha scritto il giornalista Carlo Cavicchioli.
A Vent’anni Andrea viene reclutato tra gli artiglieri alpini della divisione «Cuneese», destinata al fronte russo. Lui è addetto al vettovagliamento. Ma ecco gli orribili giorni della ritirata (le truppe dell’Armir sono accerchiate dalla controffensiva sul Don) in quell’inferno di ghiaccio e di sovrumano dolore che fu la campagna di Russia. La sconfitta e la resa portarono fame, distruzione e «morte bianca».
Andrea cade prigioniero, insieme a suo fratello Risbaldo, il 26 gennaio 1943. Approda prima agli orrori dei lager siberiani e poi nei campi della Mongolia. Ma non bada a se stesso, bensì agli altri e nel lazzaretto del campo 19/3 di Pactarol si prende cura di infettivi e moribondi. Con i suoi compagni cammina per lande e steppe gelate, su sentieri costeggiati di morti e proprio in quel tempo matura la sua vocazione religiosa.
È fra i pochi a rivedere la sua famiglia, la sua terra e, non più abituato ad un letto, dorme per un po’ sul pavimento: ritornare alla vita non è davvero cosa semplice. Il 23 luglio 1946 bussa alla porta del Cottolengo di Torino. Diventa fratel Luigi della Consolata. Le sue giornate si dipanano nella preghiera e nel servizio ai malati: è l’infermiere più richiesto dal corpo medico e dai pazienti delle corsie, sia per le sue capacità professionali, sia per la sua carica umana, apostolica. Incarna in tutto e per tutto il «Caritas Christi urget nos» del Cottolengo. Il suo atteggiamento verso i malati è lo stesso che ha di fronte all’Eucaristia.
Poi, improvvisa, la malattia. Ha 55 anni quando egli stesso diagnostica la leucemia che lo assale. Inizia un calvario di immane sofferenza, accompagnato dalla sua serena e forte lode a Dio. Morirà il 27 agosto 1977. Il suo biografo, fratel Domenico Carena, nonché vicepostulatore della causa, ha scritto di lui: «Fratel Luigi non ha solo seguito Cristo, ma si è identificato in lui e per questo ne ha irradiato l’amore tra i poveri che ha servito».
La Positio (vita, opere, testimonianze e documenti) è composta da ben 1650 pagine: ad appena 13 anni dalla sua morte (1977) furono interrogati dieci testimoni in 9 sessioni e il 21 gennaio 1991 fu aperto il processo diocesano e vennero interrogati 48 testimoni de visu in 52 sessioni. Fra i testi 6 sacerdoti, 5 religiosi, 10 religiose e 21 laici. Il processo diocesano si è chiuso il 17 novembre 1993 ed è stato approvato il 20 aprile 1994. Papa Giovanni Paolo II il 12 aprile 2003 ha dichiarato Fratel Luigi “Venerabile”. Infine, sabato 2 maggio 2015, a Torino il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ha presieduto la cerimonia di beatificazione. La memoria liturgica del novello Beato Luigi Bordino è stata fissata al 25 agosto, anniversario della nascita al Cielo.
Autore: Cristina Siccardi
Andrea Bordino nacque a Castellinaldo (Cuneo) il 12 agosto 1922, a sette anni ricevette la prima comunione e a 13 anni la cresima, completate le scuole elementari, aiutò il padre nel lavoro delle vigne nelle Langhe; atletico ed esuberante, trascorse la sua adolescenza tra la parrocchia ed il lavoro, si formò cristianamente con l’amicizia del viceparroco di Castellinaldo, il quale visto le ottime doti e disponibilità, lo nominò a 19 anni, presidente dell’Azione Cattolica della parrocchia.
Nel gennaio 1942, a 20 anni fu arruolato nell’artiglieria alpina della ‘Cuneense’, coinvolto anche lui nella grande sconsideratezza della II Guerra Mondiale; dovette partire, insieme al fratello per la tristemente famosa “Campagna di Russia”, dove oltre i pericoli e le sofferenze per l’inadeguatezza delle truppe italiane per quel clima gelido, dovette subire l’umiliazione della prigionia, infatti ad un anno dal loro arrivo i due fratelli furono fatti prigionieri a Valuiki e le loro sorti si divisero.
Andrea Bordino fu inviato in Siberia, nel famigerato “Campo 99”; ridotto ad una larva umana, fra tanta disperazione che provocò la morte di decine di migliaia di alpini, si prodigò per quel che poteva, a dare conforto discreto, umano e cristiano ai morenti, sofferenti e sopravvissuti.
Continuò in quest’opera di carità anche quando fu trasferito nell’Uzbekistan, tra gli ammalati agonizzanti isolati nelle baracche perché infetti; rifiutò per due anni ogni vantaggio personale, confortato dalla presenza del ritrovato fratello anch’egli prigioniero e addetto alle cucine.
Con il cessare della guerra, i due fratelli rientrarono in Italia nell’ottobre 1945; le terribili esperienze e la visione della morte di tanti giovani compatrioti, segnarono per sempre Andrea Bordino, che una volta libero e ripreso le forze sufficienti, decise di dedicarsi proprio alle persone colpite dalla malattia e dal dolore, nel suo cuore sbocciò la vocazione alla carità.
Il 23 luglio 1946, bussa così alla porta della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” cioè al ‘Cottolengo’ di Torino, con l’intento di donarsi agli altri come laico consacrato.
Il 23 luglio 1947 iniziò il noviziato e nel 1948 emise la professione religiosa fra i Fratelli di s. Giuseppe Cottolengo o ‘Fratelli Cottolenghini’, dediti alla cura e all’assistenza dei tanti ricoverati dell’Istituto, fondato nel 1832 da s. Giuseppe Benedetto Cottolengo, affetti dalle più disparate malattie, deformità e disabilità fisiche e psichiche; assumendo il nome di Fratel Luigi della Consolata.
Frequentò negli anni 1950-51 un corso di scuola infermieristica con grande profitto e incominciò a lavorare nel settore ortopedico e chirurgico del ‘Cottolengo’; infermiere e anestesista di eccezionale bravura, fu pioniere tra i donatori di sangue, divise il proprio tempo con gioia, tra i sofferenti ed i disgraziati che lo circondavano in continuazione.
A sera si dedicava ai poveri che venivano dalla città e dintorni, lavando e curando piaghe di ogni tipo, perché in loro, specie i più gravi, vedeva Gesù sofferente. Dal 1959 al 1967 ebbe dai suoi confratelli e dal cardinale Pellegrino, arcivescovo di Torino, cariche di responsabilità fra i ‘Fratelli Cottolenghini’ e nella direzione della stesso ‘Cottolengo’.
Nel giugno 1975, sentendosi poco bene si sottopose a delle analisi, che diagnosticarono una leucemia mieloide, malattia che egli conosceva bene e il cui esito era fatale. Fratel Luigi senza disperazione, benedisse la Provvidenza con la preghiera cottolenghina “Deo gratias”, per due anni gestì la sua dolorosa malattia come fosse di un altro, finché il 25 agosto 1977 chiuse santamente la sua vita e come atto supremo di donazione offrì le cornee a due non vedenti; erano gli unici organi del suo corpo rimasti sani.
Dal 1993 sono in corso i processi di beatificazione. Del 12 aprile 2003 è il titolo di venerabile di questo gigante dell’anima e del corpo, che venuto dal freddo della Siberia, donò la sua intera vita durata 55 anni, a lenire le sofferenze altrui, specie degli ultimi, nello spirito della carità di Cristo.
PATRÍCIA DE CONSTANTINOPLA, Santa
Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che fosse una discendente del grande imperatore Costantino, nata a Costantinopoli. Educata a corte dalla nutrice Aglaia, emise i voti di verginità in giovane età e, per rimanere fedele a quel proposito, fuggì dalla città perché l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le aveva imposto il matrimonio.
Arrivò a Roma insieme ad Aglaia e altre ancelle e, recatasi da papa Liberio, ricevette il velo verginale. Morto il padre, Patrizia ritornò a Costantinopoli: rinunciò a ogni pretesa sulla corona imperiale, distribuì i suoi beni ai poveri e andò in pellegrinaggio verso la Terra Santa. Ma una terribile tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli, precisamente sull’isoletta di Megaride (oggi Castel dell’Ovo). Nel piccolo eremo che vi sorgeva, morì dopo una brevissima malattia.
I funerali, per celeste rivelazione alla nutrice Aglaia, si tennero in modo solenne, con la partecipazione del vescovo, del duca della città e di tanta gente. Il carro col suo corpo, tirato da due torelli senza guida, si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dei padri Basiliani, dedicato ai SS. Nicandro e Marciano: in quel luogo, Patrizia aveva profetizzato tempo addietro che sarebbe stata sepolta. I resti rimasero là, insieme alle compagne che l’avevano seguita e che da lei si chiamarono Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Il monastero, trasferiti i monaci Basiliani in quello di San Sebastiano, fu tenuto dalle suore e sotto la regola benedettina ebbe secoli di vita gloriosa. A causa degli eventi storici e politici, nel 1864 le spoglie furono traslate nel monastero di San Gregorio Armeno: rivestite di cera, sono contenute in un’urna pregiata d’oro e d’argento ornata di gemme, posta alla venerazione dei fedeli in una cappella della navata destra della monumentale chiesa del monastero. Il suo culto è portato avanti dalle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, venute a risiedere nel monastero dopo l’estinzione delle Patriziane.
La popolazione è sempre accorsa numerosa a venerarla, assistendo stupefatta ai prodigi della liquefazione del sangue e a quello della manna. La manna fu vista trasudare dal sepolcro, come nel caso di altri santi: in particolare, una grande effusione si ebbe il 13 settembre di un anno fra il 1198 e il 1214. Il sangue, invece, sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente che un cavaliere romano, per devozione esagerata, aveva strappato al corpo della santa, morta da qualche secolo.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario di notevole pregio. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere, si scioglie lungo le pareti dell’ampolla. Questo miracolo è meno conosciuto dell’altra liquefazione che pure avviene a Napoli, cioè quella di san Gennaro, patrono principale della città.
Santa Patrizia è dal 1625 una dei 51 compatroni di Napoli. La sua festa cade il 25 agosto, mentre il martedì è il giorno della settimana che devozionalmente le è collegato.
PEREGRINO, Santo
Al 25 agosto si celebra la festa dei santi martiri Pellegrino, Eusebio, Ponziano, Vincenzo, uccisi a Roma.
Pertanto la biografia di s. Pellegrino non si isola dagli altri tre martiri, perché le notizie pervenute li accomuna tutti e quattro. Vissero al tempo dell’imperatore Commodo (180-92), convertitosi al Cristianesimo distribuirono ai poveri i loro averi. Quando l’imperatore ordinò un atto pubblico di culto a Giove ed Ercole essi rifiutarono e nel contempo intensificarono la loro diffusione cristiana.
Convertirono anche il senatore Giulio, il quale anch’esso distribuì le sue ricchezze ai poveri ma fu poi condannato a morire di frustate; il gruppo di Eusebio e compagni ne seppellì il corpo con onore, il giudice Vitellio che già aveva condannato Giulio li fece arrestare e sottoporre a crudeli tormenti, ma essi prodigiosamente vennero guariti da un angelo, il fatto visto dal carceriere Antonino, suscitò in questi una conversione che purtroppo finì con la sua condanna a morte. Allora Vitellio ricevuto ordini dall’imperatore, li condannò a morire a colpi di frusta munita di palline di piombo.
Furono seppelliti in una cripta tra la Via Aurelia e quella Trionfale al sesto miglio da Roma.
La loro “Passio” compendiata da Adone e da Usuardo passò nel ‘Martirologio Romano’ al 25 agosto giorno della loro morte. Nel 1196 si ha notizia della deposizione delle loro reliquie insieme a quelle di altri martiri sotto l’altare maggiore della consacranda Basilica di S. Lorenzo in Lucina.
Alcune reliquie dei soli Ponziano ed Eusebio furono poi traslate a Vezelay e a Pothieres in Francia e del solo Ponziano a Lucca nell’omonima chiesa, nel sec. X.
PIETRO DE CALIDIS, Beato
Sollecitato da San Pietro Nolasco adentrare nell'Ordine Mercedario, il BeatoPietro de Calidis, fu un'eminenteredentore del convento di Sant'Antonioabate in Tarragona (Spagna). Inviato ad Algeri in Africa nell'anno 1236liberò una grande quantità di schiavi dalduro giogo dei saraceni e li fortificò nellafede. Morì santamente nel suo convento nel1240.
L'Ordine lo festeggia il 25 agosto
PIETRO VASQUEZ, Beato
Nato nella Galizia in Spagna, entrò nell'Ordine e visse prima a Madrid e poi a Manila. Volle ugualmente trasferirsi in Giappone, nonostante il pericolo di vita, a causa della persecuzione scatenata contro i missionari cattolici stranieri. Il 18 aprile 1623 fu arrestato e imprigionato per aver nascosto il corpo di un suo confratello martire, il b. Ludovico Flòres. Rimase nel carcere di Omura per circa un anno, affrontando con spirito di fede e grande serenità le durissime condizioni della prigionia e i disagi, come appare dalle lettere che scrisse durante questo periodo. Il 25 agosto 1624 fu bruciato vivo
Desejo a todos os meus leitores
UM BOM ANO DE 2016
Nº 2857 - (238 - 2016)
25 DE AGOSTO DE 2016
SANTOS DE CADA DIA
8º A N O
LOUVADO SEJA NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
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Comemorar e lembrar os
Santos de Cada Dia
é dever de todo o católico,
assim como procurar seguir os seus exemplos
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LUÍS IX, Santo
São LUÍS IX rei de França, que se tornou célebre pela sua fé activa, quer em tempo de paz quer no decurso da guerra em defesa dos cristãos, pela justa administração do reino, pelo amor aos pobres e pela constância nas adversidades. Contraiu matrimónio e teve onze filhos, a quem deu uma excelente e piedosa educação. Para honrar a cruz, a coroa de espinhos e o sepulcro do Senhor, dedicou todos os seus bens, a sua força e a própria vida, até que, atingido pela peste no acampamento militar, morreu em Túnis, no litoral da África Setentrional. (1270).
JOSÉ DE CALASANZ, Santo
São JOSÉ DE CALASANZ presbitero que, para educar as crianças e os adolescentes no amor e sabedoria do Evangelho, instituiu escolas populares e fundou em Roma a Ordem dos Clérigos Regrantes Pobres da Mãe de Deus das Escolas Pias. (1648)
EUSÉBIO, PONCIANO, VICENTE e PEREGRINO, Santos
Na Via Aurélia, a seis milhas de Roma, o sepultamento dos santos EUSÉBIO, PONCIANO, VICENTE e PEREGRINO mártires. (data incerta)
GENS DE ARLES, Santo
Em Arles na Provença, França, São GENS mártir que, ainda catecúmeno, trabalhando no tribunal como notário e recusando-se a transcrever um edito contra os cristãos, tentou salvar-se pondo-se em fuga, mas, capturado pelos soldados foi baoptizado com o seu proprio sangue. (303)
GERÔNCIO, Santo
SEVERO, Santo
Em Agde, na Gália Narbonense, hoje França, São SEVERO abade do mosteiro por ele fundado nesta cidade. (séc. V)
MENAS, Santo
Em Constantinopla, hoje Istambul, Turquia, São MENAS bispo que ordenado pelo papa Santo AGAPITO e, restabelecida a comunhão, temporariamente interrompida com o papa VIGÍLIO, dedicou à Divina Sabedoria a grande igreja edificada pelo imperador Justiniano, (552)
ARÉDIO DE LIMOGES, Santo
Em Atane, Limoges, França, Santo ARÉDIO abade que, compôs para o cenóbio que fundara uma excelente regra, fundada nos preceitos de vários institutos de vida monástica. (591)
GREGÓRIO DE UTRECHT, Santo
Em Itálica, hoje Santiponce, perto de Sevilha, Espanha (antes Hispânia Bética) São GERÔNCIO bispo, que se narra ter morrido no cárcere. (séc. IV)
SEVERO, Santo
Em Agde, na Gália Narbonense, hoje França, São SEVERO abade do mosteiro por ele fundado nesta cidade. (séc. V)
MENAS, Santo
Em Constantinopla, hoje Istambul, Turquia, São MENAS bispo que ordenado pelo papa Santo AGAPITO e, restabelecida a comunhão, temporariamente interrompida com o papa VIGÍLIO, dedicou à Divina Sabedoria a grande igreja edificada pelo imperador Justiniano, (552)
ARÉDIO DE LIMOGES, Santo
Em Atane, Limoges, França, Santo ARÉDIO abade que, compôs para o cenóbio que fundara uma excelente regra, fundada nos preceitos de vários institutos de vida monástica. (591)
GREGÓRIO DE UTRECHT, Santo
Em Utrecht, na Géldria da Austrásia, hoje Holanda, São GREGÓRIO abade que, ainda adolescente, acompanhou sempre São BONIFÁCIO nas caminhadas missionárias para a conversão da Turíngia e de Hessen e depois, por seu mandato, dirigiu como abade o mosteiro de São Martinho e governou a igreja de Utrecht. (775)
TOMÁS CANTALUPE, Santo
Em Montefiascone, na Toscana hoje no Lácio, Itália, o passamento de São TOMÁS CANTALUPE bispo de Hereford, na Inglaterra, homem de eminente cultura, severo para consigo e largamente generoso para com os pobres. (1282)
MIGUEL CARVALHO, PEDRO VÁSQUEZ, LUÍS SOTELO, LUÍS SASANDA e LUÍS BABA, Beatos
Em Ximabara, no Japão, os beatos mártires MIGUEL CARVALHO da Companhia de Jesus, PEDRO VÁSQUEZ da Ordem dos Pregadores, LUÍS SOTELO e LUÍS SASANDA, presbiteros e LUÍS BABA religioso da Ordem dos Frades Menores, que por Cristo foram queimados vivos. (1624)
PAULO JOÃO CHARLES, Beato
Num barco-prisão ancorado ao largo de Rochefort, França, o Beato PAULO JOÃO CHARLES presbitero e mártir, um prior da Ordem Cisterciense que, durante a perseguição da revolução francesa, foi arrebatado de Sept-Fonts e encarcerado na sórdida galera por causa do seu sacerdócio, onde morreu de inanição e enfermidade. (1749)
MARIA DO TRÂNSITO (Cabanillas) DE JESUS SACRAMENTADO, Beata
Em Córdova, na Argentina, a Beata MARIA DO TRÂNSITO (Cabanillas) DE JESUS SACRAMENTADO virgem, que se dedicou intensamente à formação cristã da infância pobre e abandonada e instituiu na Argentina a Congregação das Irmãs Missionárias da Ordem Terceira de São Francisco. (1885)
LUÍS URBANO LANASPA, Beato
LUÍS URBANO LANASPA, Beato
Em Valência, Espanha, o Beato LUÍS URBANO LANASPA presbitero da Ordem dos Pregadores e mártir, que superou o glorioso combate por Cristo. (1936)
FLORÊNCIO ALONSO RUIZ, Beato
Em "Palácio del Duque" entre Somió e Cabueñes, nas Astúrias, Espanha, o beato FLORÊNCIO ALONSO RUIZ presbitero da Ordem de Santo Agostinho e mártir. (1936)
ONOFRE (Sálvio Tolosa Alsina), Beato
Na estrada de Llagostera a Vidreras, na Catalunha, Espanha, o Beato ONOFRE (Sálvio Tolosa Alsina) religioso da Congregação dos Irmãos das Escolas Cristãs e mártir. (1936)
VICENTE ALVAREZ CIENFUEGOS, Beato
Em Madrid, Espanha, o beato VICENTE ALVAREZ CIENFUEGOS presbitero da Ordem dos Pregadores e mártir. (1936)
MARIA TRONCATTI, Beata
Em Sucúa, Equador MARIA TRONCATTI virgem da Congregação das Filhas de Maria Auxiliadora que exerceu uma longa e generosa actividade entre os indígenas "Shuar". (1969)
... E AINDA ...
ALESSANDRO DORDI, Beato
Sotto la ruvida scorza del montanaro c’è un uomo dallo stile sbrigativo e senza fronzoli, generoso e disponibile, che non ha paura di “lavorare con le mani” e che ogni giorno si sforza di “credere al Signore che ci manda non per raccogliere, ma per essere suoi testimoni”.
Nasce nel 1931 a Gandellino (Bergamo) e prima ancora di essere prete chiede di entrare nella “Comunità Missionaria del Paradiso”, che prepara i preti per le diocesi che ne sono carenti. Così, subito dopo l’ordinazione, nel 1954 è spedito nel Polesine, che sta faticosamente riemergendo dall’alluvione del 1951 e per questo ha bisogno di riscatto e speranza. Vi resta fino al 1965, quando lo mandano a lavorare tra gli emigrati italiani in Svizzera. Qui resta fino al 1979, facendo anche il prete operaio in una fabbrica di orologi a Le Locle; poi la scelta della missione “ad gentes”: prima strizza l’occhio al Burundi, infine gli preferisce il Perù, che gli sembra il più bisognoso di aiuto. Vi arriva, “con un biglietto aereo di sola andata”, nel 1980, assegnato alla parrocchia del Señor Crucificado a Santa, diocesi di Chimbote: un vasto territorio, poverissimo e sottosviluppato, in cui lui è chiamato a portare pane e Vangelo. Dovendo “decidere quel poco che si può fare per non seminare al vento… “, subito dà priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti.
Crea un Centro per la promozione della donna e anche un’associazione per le madri, fornendo loro gli strumenti per piccoli lavori di taglio e cucito, organizzando anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute. Le cappelline e le case parrocchiali costruite in tutta la valle del fiume Santa sono un modo per far sentire Dio vicino alla gente. Pienamente convinto che “il missionario non è un conquistatore, ma un servitore ed un amico”, si sforza in tutti i modi di non “presentarsi con una stupida superiorità che impedisce di met¬tersi accanto agli altri come uguale e come servitore”. Talmente “uguale”, ricordano i confratelli, che “indossava le abarcas o ojotas, sandali fatti con i copertoni delle macchine e cinghie di gomma perché voleva usare le stesse calzature della gente comune”. È sobrio anche nel mangiare e nel vestire, fino a non voler comprare la pompa per l’acqua ed a non avere in casa né doccia né acqua corrente.
La sua pastorale incentrata sulla famiglia e sul ruolo della donna è, secondo lui, il miglior antidoto contro le intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo perché distribuiscono gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamano la giustizia e la verità del Vangelo. Lo capiscono perfettamente anche i guerriglieri, che poco dopo il suo arrivo già sentenziano “Quello lì o se ne va o lo ammazziamo”. Pur sentendo il loro fiato sul collo, non modifica di una virgola la severità dei suoi giudizi sugli abusi e sui loschi affari dei guerriglieri, che gestiscono traffici di prostituzione e giri di droga, tanto che quando in città compare la scritta “straniero, il Perù sarà la tua tomba”, capisce subito che è indirizzata a lui. “Adesso torno laggiù e mi uccideranno”, dice ai suoi, salutandoli dopo un breve periodo di vacanza in Italia. “La prossima volta non sbaglieremo mira”, gli fanno sapere nei primi mesi del 1991, quando per miracolo sfugge ad un attentato, mentre la macchina su cui viaggia insieme al vescovo viene ridotta ad un colabrodo. I confratelli gli consigliano di tornare in Italia, per aspettare che si calmino le acque e, anche, per curare i suoi polmoni malati, ma pensando ai suoi parrocchiani dice subito: “se li abbandono anch’io, non hanno proprio più nessuno”.
Il 9 agosto 1991 i guerriglieri uccidono due frati polacchi (di cui abbiamo parlato in questa rubrica un paio di mesi fa) a Pariacoto, accusati di "ingannare il popolo con le bibbie e i rosari". Scrive: “La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?». La risposta non si fa attendere a lungo: il 25 agosto i guerriglieri gli tendono un’imboscata mentre ritorna da una celebrazione in un villaggio e si sta dirigendo verso un altro per l’ultima messa della giornata. Risparmiano i due catechisti, mentre a lui sparano alla testa e al cuore.
“È un martire della fede”, ha sentenziato la Chiesa, dopo un’accurata indagine, il 3 febbraio 2015. Don Alessandro (per tutti Sandro) Dordi è stato beatificato a Chimbote il 5 dicembre seguente: primo sacerdote diocesano “fidei donum” (cioè “prestato” ad un’altra diocesi) ad essere beato.
Autore: Gianpiero Pettiti
Alessandro Dordi nacque a Gromo San Marino, frazione del comune di Gandelino, in provincia di Bergamo e alta val Seriana, il 22 gennaio 1931. Fu il secondo di una numerosa famiglia, composta in tutto da nove figli. Cresciuto in una comunità montana, tra poche comodità e grandi sacrifici, in una famiglia di fede, maturò il pensiero di diventare prete.
Entrato quindi nel Seminario diocesano di Bergamo, aderì alla Comunità Missionaria del Paradiso, fondata per sostenere le diocesi con carenza di clero e gli emigranti italiani. Il 12 giugno 1954, per l’imposizione delle mani del vescovo di Bergamo Adriano Bernareggi, venne ordinato sacerdote.
A breve distanza dall’ordinazione, insieme al confratello don Antonio Locatelli, partì per Porto Viro, nel Polesine, località duramente provata da una terribile alluvione. La gente del luogo ricorda ancora quel giovane sacerdote in bicicletta, con la veste talare, pronto a correre dovunque ci fosse bisogno, si trattasse di costruire condutture o di sostenere chi credeva di aver perso tutto.
In seguito, fu a Taglio di Donada, nella diocesi di Chioggia, dove restò fino al 1958. Il suo successivo incarico fu quello di parroco a Mea di Contarina, dal 1958 al 1964. Contemporaneamente, fino al 1965, fu direttore della scuola professionale San Giuseppe Operaio (fondata dal già menzionato don Locatelli) a Donada. Quello strumento gli servì per fornire lavoro ai giovani del posto, che altrimenti avrebbero faticato a vivere solo di pesca.
Lasciato il delta del Po nel 1965, trascorse quindi tredici anni in Svizzera (dal 1966 al 1979), a Le Locle, come cappellano degli emigrati italiani. La sua successiva terra di missione non fu il Burundi, cui inizialmente aspirava mentre stava per lasciare la Svizzera, ma il Perù, scelto a seguito di un viaggio in America Latina.
Nel 1980 don Sandro, com’era più conosciuto, s’installò nella parrocchia del Señor Crucificado a Santa, nella regione di Áncash, accettando l’invito dell’allora vescovo della diocesi di Chimbote, monsignor Luis Armando Bambarén Gastelumendi. Gli si prospettava un vasto territorio, che comprendeva il paese di Santa e tutta la valle del Rio Santa fino a Vinzos, 24 km a nord-est.
Da subito diede priorità alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti, a costo di percorrere grandi distanze. Grazie all’appoggio di Caritas Spagna, poté attuare un Centro per la promozione della donna e, in seguito, organizzò un’associazione per le madri, per fornire loro gli strumenti per piccoli lavori manuali, taglio e cucito, ma anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute.
Tutte le sue realizzazioni, che compresero anche cappelline e case parrocchiali in tutta la valle del fiume Santa, erano un modo per far sentire Dio vicino a quello che, ormai, considerava il suo popolo. Per avere un aiuto in più, fece venire in parrocchia le Suore di Gesù Buon Pastore, dette Pastorelle (uno dei rami femminili della Famiglia Paolina), che per carisma si occupano proprio di sostenere l’attività pastorale dei parroci nelle situazioni più marginali.
L’insistenza di don Sandro sulla famiglia e sul ruolo della donna era, per lui, la miglior forma di lotta contro intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusavano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo, semplicemente perché distribuivano gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamavano la giustizia e la verità che vengono dal Vangelo.
Quanto a lui, sapeva di essere in pericolo di vita. Nel 1990, lui e monsignor Bambarén si salvarono da una raffica di colpi lungo il fiume Santa, sdraiandosi sul fondo della jeep su cui viaggiavano e facendo velocemente marcia indietro, per allontanarsi dal luogo dell’imboscata. Pochi mesi dopo, gli capitò lo stesso mentre era in casa. L’ultima volta che aveva visitato i suoi, in Italia, li aveva salutati dicendo: «Addio, adesso torno laggiù e mi uccideranno».
Ma il campanello d’allarme più forte, per lui, fu la notizia dell’uccisione dei padri Francescani conventuali Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, il 9 agosto 1991. Così scrisse a un amico sacerdote: «In questi giorni siamo particolarmente angosciati e preoccupati. Sicuramente hai saputo come il 9 di agosto Sendero Luminoso ha ammazzato due sacerdoti della Diocesi di Chimbote. Sono due francescani polacchi che lavoravano in una vallata come la mia: avevano 32 e 34 anni. Puoi immaginare la situazione di ansia in cui viviamo; ci sono inoltre delle minacce chiare di prossime uccisioni. Sendero Luminoso, che con il terrore vuole arrivare al potere, ha preso di mira la Chiesa… La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?».
Quella terribile domanda trovò risposta poco più di quindici giorni dopo, alle 17.15 di domenica 25 agosto 1991. Don Sandro stava tornando in camionetta da Vinzos, un villaggio vicino, dove aveva celebrato Messa e amministrato alcuni battesimi, e stava andando a Rinconada, dove avrebbe celebrato l’ultima Eucaristia di quella domenica. Era accompagnato da due catechisti (nelle prime ricostruzioni dell’accaduto, erroneamente identificati come seminaristi) Gilberto Ávalos Tolentino e Orlando Orué Pantoja. Non interruppe il viaggio finché non si trovò impedito da due grandi rocce che bloccavano la strada. Scese dal mezzo, ma venne fermato da due uomini incappucciati: uno portava un fucile, l’altro una pistola.
I suoi accompagnatori lo sentirono chiedere agli aggressori di non far nulla di male contro di loro. Mentre venivano fatti allontanare, sentirono degli spari: il sacerdote era morto, colpito al viso per tre volte, a pochi passi dalla camionetta. Aveva sessant’anni ed era prete da trentasette. Due ore dopo, una delle Pastorelle telefonò a monsignor Lino Belotti, superiore della Comunità del Paradiso e compagno di Seminario della vittima, per riferirgli l’accaduto. L’uccisione venne subito attribuita, da parte della polizia peruviana, ai guerriglieri di Sendero Luminoso.
La salma venne riportata in Italia nel tardo pomeriggio di domenica 1 settembre 1991. I funerali si tennero prima nella cattedrale di Bergamo, officiati dall’allora vescovo monsignor Giulio Oggioni, poi, il giorno successivo, nella chiesa parrocchiale di Gromo San Marino, intitolata a Santa Maria Nascente; fra i concelebranti, c’era anche monsignor Bambarén. Da allora, i resti mortali di don Alessandro riposano nella tomba di famiglia del cimitero del paese, proprio accanto alla parrocchiale.
Il suo ricordo non è mai venuto meno in nessuna delle comunità che hanno visto il suo passaggio. Nel Polesine gli hanno dedicato una cooperativa sociale e, nel 2011, la sua bicicletta è stata incastonata in una statua di bronzo situata a Taglio di Donada, nella piazza che porta il suo nome.
La causa di beatificazione di don Alessandro Dordi, unita a quella dei sopra citati padri Michał Tomaszek e Zbigniew Strzałkowski, si è svolta nella diocesi di Chimbote dal 9 agosto 1996 al 25 agosto 2002, aperta e chiusa da monsignor Bambarén, che già nel giorno dei funerali ne auspicò l’avvio. In contemporanea, si tennero anche le inchieste rogatorie; quella per il sacerdote bergamasco si svolse nella diocesi d’origine, come d’uso. Convalidato il tutto il 24 ottobre 2003, si lavorò alla “Positio super martyrio”, che il 25 novembre 2011 venne consegnata presso la Congregazione vaticana delle Cause dei Santi.
Eppure i consultori teologi, che esaminarono il contenuto della Positio il 14 novembre 2013, chiesero d’indagare meglio se l’uccisione dei Servi di Dio non fosse avvenuta per motivi politici e se non fossero stati coinvolti in azioni di guerriglia. Alla documentazione del processo venne quindi accluso il Rapporto Finale della Commissione per la Verità e per la Riconciliazione sulle vittime della violenza armata interna, pubblicato dal governo Peruviano il 23 agosto 2003.
Il 3 febbraio 2015 la sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi si è riunita per dichiarare se don Alessandro, padre Michał e padre Zbigniew sono stati effettivamente uccisi in odio alla fede. Nella stessa data, ricevendo in udienza privata il Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, cardinal Angelo Amato, papa Francesco ha autorizzato a promulgare il decreto che li dichiarava ufficialmente martiri; nello stesso gruppo di decreti, c’era anche quello che confermava il martirio di monsignor Romero.
La data stabilita per la beatificazione dei tre martiri è il 5 dicembre 2015, a Chimbote. Tuttavia, l’attuale vescovo del luogo, monsignor Ángel Francisco Simón, è venuto a sapere il 17 luglio 2015 che due fratelli di don Sandro si sono opposti alla ricognizione canonica dei suoi resti, in quanto non hanno mai ricevuto risposte alle lettere con cui domandavano alle autorità peruviane di sanzionare i colpevoli del suo assassinio. Monsignor Bambarén, di passaggio in Italia a settembre, ha cercato di convincerli a procedere all’esumazione, ma senza nessun risultato. Ciò non ha tuttavia ostacolato la celebrazione del rito con cui don Sandro e i due francescani sono stati dichiarati Beati: come infatti dichiara l’Istruzione «Sanctorum Mater», al n. 141, la ricognizione dei resti mortali in vista della beatificazione o della canonizzazione non è più obbligatoria.
EBBA DE COLDINGHAM, Santo
La santa Ebba oggi in questione è soprannominata “la vecchia” al fine di non confonderla con una sua omonima, che come lei fu badessa di Coldingham e fu uccisa dai danesi nell’870, detta “la giovane”. Sorella del re di Northumbria Sant’Osvaldo e di Oswy, Ebba “la Vecchia” fuggì in Scozia nel 616 alla morte di suo padre Etelfrith. Oswy tentò allora di combinarne il matrimonio con il sovrano di quel paese, ma lei preferì l’abito religioso. A suo fratello non restò che donarle un terreno, ove ella poté così edificare il monastero di Ebbchester. Trasferitasi poi a Coldingham vi fondò un doppio monastero sul modello di quello di Santa Ilda presso Whitby. Il promontorio su cui sorgeva è tutt’oggi noto come Capo Santa Ebba. Qui la santa non poté che guadagnarsi la fama di donna straordinariamente saggia, anche se dal punto di vista pratico non fu una badessa debitamente efficiente, sia a causa dell’età avanzata che del parecchio tempo trascorso in preghiera. Dopo la morte di Ebba il monastero fu colpito da un grande incendio, a detta dello storico San Beda il Venerabile causato anche dalla distrazione e dalla frivolezza dei suoi abitanti, fattore a sua volta imputabile allo scarso potere esercitato da chi di dovere. Ciò costituisce evidentemente una chiara allusione alla defunta badessa. L’avverarsi dell’incendio profetizzato comportò la scomparsa di tutte le possibili testimonianze relative al primitivo culto di Santa Ebba, anche se i testi riportati dall’Aberdeen Breviari ed i calendari di Durham e Winchcombe sembrano rivelarne un culto abbastanza tardo. Le reliquie della santa vennero rinvenute nell’XI secolo, furono ripartite tra Durham e Coldingham e conseguentemente la sua fama di propagò nei territori di confine tra Scozia ed Inghilterra. Ad Oxford una strada ed una importante chiesa portano ancor oggi il nome di Santa Ebba
La santa Ebba oggi in questione è soprannominata “la vecchia” al fine di non confonderla con una sua omonima, che come lei fu badessa di Coldingham e fu uccisa dai danesi nell’870, detta “la giovane”. Sorella del re di Northumbria Sant’Osvaldo e di Oswy, Ebba “la Vecchia” fuggì in Scozia nel 616 alla morte di suo padre Etelfrith. Oswy tentò allora di combinarne il matrimonio con il sovrano di quel paese, ma lei preferì l’abito religioso. A suo fratello non restò che donarle un terreno, ove ella poté così edificare il monastero di Ebbchester. Trasferitasi poi a Coldingham vi fondò un doppio monastero sul modello di quello di Santa Ilda presso Whitby. Il promontorio su cui sorgeva è tutt’oggi noto come Capo Santa Ebba. Qui la santa non poté che guadagnarsi la fama di donna straordinariamente saggia, anche se dal punto di vista pratico non fu una badessa debitamente efficiente, sia a causa dell’età avanzata che del parecchio tempo trascorso in preghiera. Dopo la morte di Ebba il monastero fu colpito da un grande incendio, a detta dello storico San Beda il Venerabile causato anche dalla distrazione e dalla frivolezza dei suoi abitanti, fattore a sua volta imputabile allo scarso potere esercitato da chi di dovere. Ciò costituisce evidentemente una chiara allusione alla defunta badessa. L’avverarsi dell’incendio profetizzato comportò la scomparsa di tutte le possibili testimonianze relative al primitivo culto di Santa Ebba, anche se i testi riportati dall’Aberdeen Breviari ed i calendari di Durham e Winchcombe sembrano rivelarne un culto abbastanza tardo. Le reliquie della santa vennero rinvenute nell’XI secolo, furono ripartite tra Durham e Coldingham e conseguentemente la sua fama di propagò nei territori di confine tra Scozia ed Inghilterra. Ad Oxford una strada ed una importante chiesa portano ancor oggi il nome di Santa Ebba
EDBERTO (Egberto), Santo
Dopo aver regnato dal 737 al 758, abdicò e si fece religioso nel
monasterodi suo fratello, l’arcivescovo di York, Egberto. Morì il 20
agosto 768. Il Martirologio di Syon ne fa memoria il 25 agosto dello
stesso mese, accennando anche ad una festa a York, dove però non si
conserva alcuna traccia di culto. Dal Martyrologium Anglicanum di Wilson
e dal Menologio di Stanton è commemorato il giorno della morte con la
qualifica di santo
EDUARDO CABANAC MAJEM, Beato
Sacerdote e direttore della congregazione mariana
della scuola San Pietro Apostolo a Reus. Aveva offerto la sua vita e i
suoi beni “por las vocaciones nazarenas”. Tre dei suoi fratelli erano
anche religiosi, il Servo di Dio RAIMONDO CABANACH MAJEM e due gesuiti.
Aveva preso la sua formazione come modello di San Giovanni Berchmans.
Riuscì a portare il Breviario in carcere di Reus e a Tarragona presso la
nave-prigione, dove ha pregato con gli altri religiosi con grande gioia
e beneficio spirituale. Il 25 agosto 1936 è stato preso anche da "Rio
Segre" e, legato mani e piedi con un compagno, è stato ucciso a
Vila-rodona lo stesso giorno. Un monumento ricorda ancora il luogo del
martirio. Sue spoglie riposano nello stesso cimitero
ERMÍNIA (Ermina), Santa
Secondo la Vita, scritta da Radulfo, vice priore di un monastero presso
Reims, Erminia era povera di danaro, ma ricca di pazienza e di umiltà.
Trasferitasi a Reims dalla Piccardia, piacque a Dio ed ebbe diverse
visioni, narrate nei quattro libri della Vita. Morì il 25 agosto 1396.
Sarebbe stata sepolta nella navata della chiesa di S. Paolo, dove si
trova al presente il coro dellc monache, sotto una pietra bianca
portante la sua immagine e una breve iscrizione. Una relazione delle
visioni di Erminia fu inviata da Giovanni Morelli a Parigi, dove fu
esaminata da Pietro d'Ailly, superiore del collegio di Navarra, e dal
Gerson. Costui avrebbe concluso che il culto di Erminia doveva essere
diffuso. La sua festa è ricordata il 25 agosto
FERMÍN MARTORELL VIES, Beato
Sacerdote, vicario e tesoriere della comunità e insegnante di scuola elementare di San Pietro Apostolo a Reus (Tarragona). Grave e austero con se stesso, avendo però rispetto e benevolenza con tutti. Costretto a lasciare la scuola, è stato arrestato, "per essere un prete" per sua stessa ammissione, il 27 luglio 1936 e portato alla nave-prigione "Rio Segre," ancorata nel porto di Tarragona. Lì incontrò tre frati della comunità. Dopo un mese di detenzione sulla barca, il 25 agosto 1936, con un camion, con 16 altri colleghi, tra cui tre sacerdoti della comunità, è stato deportato e ucciso a Vila-rodona intorno le ore 10 del giorno stesso. Sue spoglie riposano in un cimitero nello stesso cimitero
FRANCISCO LLACH CANDELL, Beato
Sacerdote, segretario della comunità e della scuola, insegnante di scienze di San Pietro Apostolo di Reus. Aveva una grande preparazione per l'insegnamento, in particolare per la scienza, e possedeva la virtù della pazienza. Imprigionato con altri della comunità religiosa, prima in carcere a Reus, dove ha organizzato un ritiro in preparazione alla morte, il 25 luglio è stato presa alla nave-prigione "Cape Cullera", ancorata nel porto di Tarragona, due giorni dopo nella “Río Segre”." È stato ucciso con 16 altri religiosi a Vila-rodona, il 25 agosto 1936. Sue spoglie riposano nello stesso cimitero
GENÉSIO DE BRESCELLO, Santo
Venerato a Brescello (Reggio Emilia), come vescovo di quell'antica diocesi, sarebbe vissuto tra la fine del IV e gli inizi del V sec., piú o meno contemporaneamente ai grandi vescovi santi delle altre diocesi dell'Emilia occidentale, Savino di Piacenza, Prospero di Reggio, Geminiano di Modena.
Ma nel caso di Genesio tutti i dati derivano da un testo assai sospetto, la Revelatio beati Genesii episcopi, legata alle vicende che determinarono la ricostruzione dell'antica città vescovile, distrutta nel VI sec. durante la guerra gotica. Quando nella seconda metà del X sec. il fondatore della dinastia canossiana, Adalberto Azzo, iniziando la costruzione del castello di Brescello riportò a nuova vita l'antica città, fu naturale rifarsi alle glorie episcopali di un tempo. La Revelatio, composta appunto in quegli anni, intende narrare le fasi di una inventio fatta durante la ricostruzione: il ritrovamento miracoloso del corpo di un dimenticato santo brescellese, la cui santità sarebbe stata dimostrata dai miracoli che precedettero ed accompagnarono l'invenzione, e la cui identità sarebbe stata svelata dall'iscrizione apparsa sulla tomba:
HIC TITUBUS EST VENERABIBIS GENESII
HUIUS BRIXEBEENSIS URBIS EPISCOPI.
Ma troppo sospetto è l'andamento della Revelatio, che non si discosta dai luoghi comuni di mille inventiones di quegli anni, né l'iscrizione può essere antica. Di un Genesio vescovo di Brescello non sappiamo altrimenti nulla, né tanto meno consta un suo culto, antecedente all'inventio. È del resto significativo che i brescellesi siano dovuti ricorrere per il dies natalis al giorno della festa del martire Genesio, il 25 agosto.
Anche l'iscrizione della lamina plumbea già nella chiesa di Brescello, poi—forse nel sec. XVI — passata al Musco Borgiano di Velletri, edita dall'Affò, testimonia unicamente del culto avviato dalla inventio del X sec.
Una grande abbazia benedettina, consacrata a Genesio, sorse comunque allora e fu largamente dotata da Adalberto Azzo e dai suoi successori. Già nel secolo seguente era fiorente e nel 1099 nuove elargizioni in suo favore compì la contessa Matilde in un diploma che ricorda le benevolenze dei suoi avi per la chiesa di S. Genesio.
Nel 1106 Pasquale II assicurò alla fondazione la piú larga immunità con un privilegio che si richiama, nella narratio, alla stessa Revelatio b. Genesii.
Ma nonostante le altissime protezioni e le amplissime elargizioni concesse all'abbazia, il culto per il presunto vescovo di Brescello non ebbe grande fortuna oltre i limiti del territorio brescellese. Nella cittadina emiliana, però, ancora oggi Genesio è venerato come patrono, e le reliquie scoperte nel sec. X vi sono ancora conservate in una cappella della chiesa parrocchiale.
GENÉSIO DE ROMA, Santo
Quando l'imperatore Diocleziano venne a Roma, fu accolto con la più grande magnificenza. Fra le feste, si diedero pure delle rappresentazioni teatrali, in sua presenza. Uno dei comici principali, Genesio, volle mettere in burla le cerimonie del Battesimo dei Cristiani. Era sicuro di far ridere gli spettatori.
Postosi dunque a letto sul palcoscenico si finse ammalato e si cominciò questo dialogo.
– Ah, miei amici, io sento sopra di me un grave peso, e vorrei ben essere liberato!
– Che faremo per toglierti questo peso?
– Quanto siete mai privi di intendimento! Io sono risoluto di morire cristiano affinché Iddio mi riceva nel suo regno, come quelli che, per assicurare la loro salvezza, hanno rinunziato all'idolatria e alla superstizione.
Allora si chiamarono due attori, uno dei quali rappresentava il prete e l'altro l'esorcista. Venuti al capezzale dell'ammalato gli dissero:
– Perché, figlio, ci fai qui venire?
– Perché desidero ricevere la grazia di Gesù Cristo, e di essere rigenerato, onde potermi liberare dai miei peccati.
Genesio venne allora battezzato e rivestito di una veste bianca come solevano fare i Cristiani: e ciò gli attori lo facevano sempre per burla. Intanto continuando la scena, sopravvennero altri attori vestiti da soldati, i quali si impadronirono di Genesio e lo presentarono all'imperatore per essere interrogato nella stessa maniera con cui s'interrogavano i Cristiani. Fin qui si era creduto che fosse una farsa come era stato nell'intenzione di tutti, ma ben presto imperatore, attori e spettatori conobbero che per Genesio non era più una commedia.
Difatti il comico, rivoltosi improvvisamente al popolo che rideva gustosamente, e con tutta naturalezza e serietà disse:
– Signori e voi tutti che siete qui presenti, ascoltate ciò ch'io sto per dire. Io non ho mai udito pronunziare il nome cristiano senza inorridire e detestare anche quei miei parenti che professavano questa religione. Mi sono istruito nei misteri e nei riti del Cristianesimo unicamente per dileggiarli e per farli disprezzare dagli altri; ma in questo istante tosto che l'acqua ebbe lavato il mio capo ed ebbi risposto ch'io credeva a tutte quelle cose su cui venivo interrogato, ho veduto sopra il mio capo una schiera di Angeli splendenti di luce che leggevano in un libro tutti i peccati da me commessi fin dalla fanciullezza; indi immerso questo libro nell'acqua in cui io ero pure immerso, me lo mostrarono più bianco della neve e senza alcuna traccia di scrittura. Voi dunque, o possente imperatore, voi dunque, o romani che mi ascoltate, voi tutti che vi beffavate con me dei misteri del Cristianesimo, credetemi: Gesù Cristo è il vero Dio, che è la luce e la verità, e che da lui solo potete ottenere il perdono dei vostri peccati.
Udendo queste parole, tutti gli spettatori trasecolarono. Diocleziano, credendosi burlato, lo fece flagellare e lo consegnò al prefetto Plauziano.
Genesio disteso sul cavalletto ebbe rotte le costole e da ultimo fu decapitato. In queste sofferenze il martire andava ripetendo: “Non vi è altro Dio all'infuori di quello che io ebbi la fortuna di conoscere. Io non adoro né servo altro che a lui: a lui solo starò sempre unito, dovessi anche soffrire mille morti”.
JÚLIO e ERMETE, Santos
I fedeli della Diocesi Nomentana ed in particolare quelli della città sabina di Eretum veneravano anticamente anche i Santi Giulio ed Ermete.
Pochissime sono le notizie che abbiamo di questi 2 martiri. Esse ci vengono date unicamente dal M. Geronimiano nei suoi tre codici Bernese, Epternacense e Wissemburgense. Nel codice Bernese al 25 agosto c’è scritto: “In cimiterio eiusdem Via Nomentana, milliario XVIII…Romae, Natalis S.ti Genesii martir. Iulii Hermetis”.
La citazione è dunque divisa in due parti: la prima riporta l’indicazione topografica ma è priva di nomi, la seconda invece riporta i nomi dei santi, confusi. Corrispondentemente, negli altri due codici c’è scritto: “E Romae, S.ti Genisi - E Romae, natale S.ti Genesi mart.”.
Dal confronto dei tre documenti del Geronimiano appare subito evidente la confusione dei nomi. Infatti il codice Wissemburghense, nel giorno seguente (26 agosto), assegna San Genesio ad Arles. Il Genesio Romano ed il Genesio Arlesiano sono la stessa persona e cioè il martire della Gallia che ebbe culto anche a Roma, come anche nel resto d’Italia.
Pertanto, Giulio ed Ermete, da non confondersi con altri Santi omonimi, rimangono per Roma ed il codice Bernese, così purificato, può essere così ricostituito: “Romae, in cimiterio Via Nomentana, milliario XVIII, Natalis Iulii et Hermetis” (I. Schuster, Boll. Diocesano uffic. per la Sabina, anno 1917, pag. 191).
Il miglio XVIII è vicinissimo a Eretum ed alla tomba di San Restituto. Molto probabilmente dunque la sepoltura di Giulio ed Ermete si trovava nello stesso posto dove troverà riposo la salma di San Restituto.
Le ossa di Giulio ed Ermete dovettero ben presto essere disperse, per cui venne anche a mancare per loro quella commemorazione liturgica che allora era strettamente sepolcrale. Se così non fosse, non potremo spiegarci mai come in una medesima Basilica sepolcrale si sarebbe sviluppato in maniera rilevante il culto di San Restituto, mentre sui due martiri grava il silenzio più assoluto.
LUIGGI DELLA CONSOLATA (Andrea Bordino), Beato
Bordino era nato da una famiglia di vignaioli a Castellinaldo (Cuneo) il 12 agosto 1922. Più propenso allo sport che allo studio, Andrea (il nome Luigi lo prenderà quando vestirà l’abito religioso), dal fisico atletico, diventa campione di pallone elastico, uno sport molto seguito nelle sue terre e si forma cristianamente fra le mura domestiche, la parrocchia e l’Azione Cattolica. «Tra i filari non sentiva la fatica, nelle gare nessuno riusciva a batterlo e le coetanee non avevano occhi che per lui» ha scritto il giornalista Carlo Cavicchioli.
A Vent’anni Andrea viene reclutato tra gli artiglieri alpini della divisione «Cuneese», destinata al fronte russo. Lui è addetto al vettovagliamento. Ma ecco gli orribili giorni della ritirata (le truppe dell’Armir sono accerchiate dalla controffensiva sul Don) in quell’inferno di ghiaccio e di sovrumano dolore che fu la campagna di Russia. La sconfitta e la resa portarono fame, distruzione e «morte bianca».
Andrea cade prigioniero, insieme a suo fratello Risbaldo, il 26 gennaio 1943. Approda prima agli orrori dei lager siberiani e poi nei campi della Mongolia. Ma non bada a se stesso, bensì agli altri e nel lazzaretto del campo 19/3 di Pactarol si prende cura di infettivi e moribondi. Con i suoi compagni cammina per lande e steppe gelate, su sentieri costeggiati di morti e proprio in quel tempo matura la sua vocazione religiosa.
È fra i pochi a rivedere la sua famiglia, la sua terra e, non più abituato ad un letto, dorme per un po’ sul pavimento: ritornare alla vita non è davvero cosa semplice. Il 23 luglio 1946 bussa alla porta del Cottolengo di Torino. Diventa fratel Luigi della Consolata. Le sue giornate si dipanano nella preghiera e nel servizio ai malati: è l’infermiere più richiesto dal corpo medico e dai pazienti delle corsie, sia per le sue capacità professionali, sia per la sua carica umana, apostolica. Incarna in tutto e per tutto il «Caritas Christi urget nos» del Cottolengo. Il suo atteggiamento verso i malati è lo stesso che ha di fronte all’Eucaristia.
Poi, improvvisa, la malattia. Ha 55 anni quando egli stesso diagnostica la leucemia che lo assale. Inizia un calvario di immane sofferenza, accompagnato dalla sua serena e forte lode a Dio. Morirà il 27 agosto 1977. Il suo biografo, fratel Domenico Carena, nonché vicepostulatore della causa, ha scritto di lui: «Fratel Luigi non ha solo seguito Cristo, ma si è identificato in lui e per questo ne ha irradiato l’amore tra i poveri che ha servito».
La Positio (vita, opere, testimonianze e documenti) è composta da ben 1650 pagine: ad appena 13 anni dalla sua morte (1977) furono interrogati dieci testimoni in 9 sessioni e il 21 gennaio 1991 fu aperto il processo diocesano e vennero interrogati 48 testimoni de visu in 52 sessioni. Fra i testi 6 sacerdoti, 5 religiosi, 10 religiose e 21 laici. Il processo diocesano si è chiuso il 17 novembre 1993 ed è stato approvato il 20 aprile 1994. Papa Giovanni Paolo II il 12 aprile 2003 ha dichiarato Fratel Luigi “Venerabile”. Infine, sabato 2 maggio 2015, a Torino il Cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, ha presieduto la cerimonia di beatificazione. La memoria liturgica del novello Beato Luigi Bordino è stata fissata al 25 agosto, anniversario della nascita al Cielo.
Autore: Cristina Siccardi
Andrea Bordino nacque a Castellinaldo (Cuneo) il 12 agosto 1922, a sette anni ricevette la prima comunione e a 13 anni la cresima, completate le scuole elementari, aiutò il padre nel lavoro delle vigne nelle Langhe; atletico ed esuberante, trascorse la sua adolescenza tra la parrocchia ed il lavoro, si formò cristianamente con l’amicizia del viceparroco di Castellinaldo, il quale visto le ottime doti e disponibilità, lo nominò a 19 anni, presidente dell’Azione Cattolica della parrocchia.
Nel gennaio 1942, a 20 anni fu arruolato nell’artiglieria alpina della ‘Cuneense’, coinvolto anche lui nella grande sconsideratezza della II Guerra Mondiale; dovette partire, insieme al fratello per la tristemente famosa “Campagna di Russia”, dove oltre i pericoli e le sofferenze per l’inadeguatezza delle truppe italiane per quel clima gelido, dovette subire l’umiliazione della prigionia, infatti ad un anno dal loro arrivo i due fratelli furono fatti prigionieri a Valuiki e le loro sorti si divisero.
Andrea Bordino fu inviato in Siberia, nel famigerato “Campo 99”; ridotto ad una larva umana, fra tanta disperazione che provocò la morte di decine di migliaia di alpini, si prodigò per quel che poteva, a dare conforto discreto, umano e cristiano ai morenti, sofferenti e sopravvissuti.
Continuò in quest’opera di carità anche quando fu trasferito nell’Uzbekistan, tra gli ammalati agonizzanti isolati nelle baracche perché infetti; rifiutò per due anni ogni vantaggio personale, confortato dalla presenza del ritrovato fratello anch’egli prigioniero e addetto alle cucine.
Con il cessare della guerra, i due fratelli rientrarono in Italia nell’ottobre 1945; le terribili esperienze e la visione della morte di tanti giovani compatrioti, segnarono per sempre Andrea Bordino, che una volta libero e ripreso le forze sufficienti, decise di dedicarsi proprio alle persone colpite dalla malattia e dal dolore, nel suo cuore sbocciò la vocazione alla carità.
Il 23 luglio 1946, bussa così alla porta della “Piccola Casa della Divina Provvidenza” cioè al ‘Cottolengo’ di Torino, con l’intento di donarsi agli altri come laico consacrato.
Il 23 luglio 1947 iniziò il noviziato e nel 1948 emise la professione religiosa fra i Fratelli di s. Giuseppe Cottolengo o ‘Fratelli Cottolenghini’, dediti alla cura e all’assistenza dei tanti ricoverati dell’Istituto, fondato nel 1832 da s. Giuseppe Benedetto Cottolengo, affetti dalle più disparate malattie, deformità e disabilità fisiche e psichiche; assumendo il nome di Fratel Luigi della Consolata.
Frequentò negli anni 1950-51 un corso di scuola infermieristica con grande profitto e incominciò a lavorare nel settore ortopedico e chirurgico del ‘Cottolengo’; infermiere e anestesista di eccezionale bravura, fu pioniere tra i donatori di sangue, divise il proprio tempo con gioia, tra i sofferenti ed i disgraziati che lo circondavano in continuazione.
A sera si dedicava ai poveri che venivano dalla città e dintorni, lavando e curando piaghe di ogni tipo, perché in loro, specie i più gravi, vedeva Gesù sofferente. Dal 1959 al 1967 ebbe dai suoi confratelli e dal cardinale Pellegrino, arcivescovo di Torino, cariche di responsabilità fra i ‘Fratelli Cottolenghini’ e nella direzione della stesso ‘Cottolengo’.
Nel giugno 1975, sentendosi poco bene si sottopose a delle analisi, che diagnosticarono una leucemia mieloide, malattia che egli conosceva bene e il cui esito era fatale. Fratel Luigi senza disperazione, benedisse la Provvidenza con la preghiera cottolenghina “Deo gratias”, per due anni gestì la sua dolorosa malattia come fosse di un altro, finché il 25 agosto 1977 chiuse santamente la sua vita e come atto supremo di donazione offrì le cornee a due non vedenti; erano gli unici organi del suo corpo rimasti sani.
Dal 1993 sono in corso i processi di beatificazione. Del 12 aprile 2003 è il titolo di venerabile di questo gigante dell’anima e del corpo, che venuto dal freddo della Siberia, donò la sua intera vita durata 55 anni, a lenire le sofferenze altrui, specie degli ultimi, nello spirito della carità di Cristo.
PATRÍCIA DE CONSTANTINOPLA, Santa
Le fonti sulla vita di santa Patrizia sono perlopiù scarse e leggendarie. La versione più comune è che fosse una discendente del grande imperatore Costantino, nata a Costantinopoli. Educata a corte dalla nutrice Aglaia, emise i voti di verginità in giovane età e, per rimanere fedele a quel proposito, fuggì dalla città perché l’imperatore Costante II (668-685) suo congiunto le aveva imposto il matrimonio.
Arrivò a Roma insieme ad Aglaia e altre ancelle e, recatasi da papa Liberio, ricevette il velo verginale. Morto il padre, Patrizia ritornò a Costantinopoli: rinunciò a ogni pretesa sulla corona imperiale, distribuì i suoi beni ai poveri e andò in pellegrinaggio verso la Terra Santa. Ma una terribile tempesta la fece naufragare sulle coste di Napoli, precisamente sull’isoletta di Megaride (oggi Castel dell’Ovo). Nel piccolo eremo che vi sorgeva, morì dopo una brevissima malattia.
I funerali, per celeste rivelazione alla nutrice Aglaia, si tennero in modo solenne, con la partecipazione del vescovo, del duca della città e di tanta gente. Il carro col suo corpo, tirato da due torelli senza guida, si arrestò davanti al monastero di Caponapoli dei padri Basiliani, dedicato ai SS. Nicandro e Marciano: in quel luogo, Patrizia aveva profetizzato tempo addietro che sarebbe stata sepolta. I resti rimasero là, insieme alle compagne che l’avevano seguita e che da lei si chiamarono Patriziane o Suore di Santa Patrizia.
Il monastero, trasferiti i monaci Basiliani in quello di San Sebastiano, fu tenuto dalle suore e sotto la regola benedettina ebbe secoli di vita gloriosa. A causa degli eventi storici e politici, nel 1864 le spoglie furono traslate nel monastero di San Gregorio Armeno: rivestite di cera, sono contenute in un’urna pregiata d’oro e d’argento ornata di gemme, posta alla venerazione dei fedeli in una cappella della navata destra della monumentale chiesa del monastero. Il suo culto è portato avanti dalle Suore Crocifisse Adoratrici dell’Eucaristia, venute a risiedere nel monastero dopo l’estinzione delle Patriziane.
La popolazione è sempre accorsa numerosa a venerarla, assistendo stupefatta ai prodigi della liquefazione del sangue e a quello della manna. La manna fu vista trasudare dal sepolcro, come nel caso di altri santi: in particolare, una grande effusione si ebbe il 13 settembre di un anno fra il 1198 e il 1214. Il sangue, invece, sarebbe uscito miracolosamente da un alveolo di un dente che un cavaliere romano, per devozione esagerata, aveva strappato al corpo della santa, morta da qualche secolo.
Dente e sangue sono conservati in un reliquiario di notevole pregio. Nei vari secoli lo scioglimento del sangue è avvenuto con modalità e tempi diversi. Attualmente, dopo le preghiere, si scioglie lungo le pareti dell’ampolla. Questo miracolo è meno conosciuto dell’altra liquefazione che pure avviene a Napoli, cioè quella di san Gennaro, patrono principale della città.
Santa Patrizia è dal 1625 una dei 51 compatroni di Napoli. La sua festa cade il 25 agosto, mentre il martedì è il giorno della settimana che devozionalmente le è collegato.
PEREGRINO, Santo
Al 25 agosto si celebra la festa dei santi martiri Pellegrino, Eusebio, Ponziano, Vincenzo, uccisi a Roma.
Pertanto la biografia di s. Pellegrino non si isola dagli altri tre martiri, perché le notizie pervenute li accomuna tutti e quattro. Vissero al tempo dell’imperatore Commodo (180-92), convertitosi al Cristianesimo distribuirono ai poveri i loro averi. Quando l’imperatore ordinò un atto pubblico di culto a Giove ed Ercole essi rifiutarono e nel contempo intensificarono la loro diffusione cristiana.
Convertirono anche il senatore Giulio, il quale anch’esso distribuì le sue ricchezze ai poveri ma fu poi condannato a morire di frustate; il gruppo di Eusebio e compagni ne seppellì il corpo con onore, il giudice Vitellio che già aveva condannato Giulio li fece arrestare e sottoporre a crudeli tormenti, ma essi prodigiosamente vennero guariti da un angelo, il fatto visto dal carceriere Antonino, suscitò in questi una conversione che purtroppo finì con la sua condanna a morte. Allora Vitellio ricevuto ordini dall’imperatore, li condannò a morire a colpi di frusta munita di palline di piombo.
Furono seppelliti in una cripta tra la Via Aurelia e quella Trionfale al sesto miglio da Roma.
La loro “Passio” compendiata da Adone e da Usuardo passò nel ‘Martirologio Romano’ al 25 agosto giorno della loro morte. Nel 1196 si ha notizia della deposizione delle loro reliquie insieme a quelle di altri martiri sotto l’altare maggiore della consacranda Basilica di S. Lorenzo in Lucina.
Alcune reliquie dei soli Ponziano ed Eusebio furono poi traslate a Vezelay e a Pothieres in Francia e del solo Ponziano a Lucca nell’omonima chiesa, nel sec. X.
PIETRO DE CALIDIS, Beato
Sollecitato da San Pietro Nolasco adentrare nell'Ordine Mercedario, il BeatoPietro de Calidis, fu un'eminenteredentore del convento di Sant'Antonioabate in Tarragona (Spagna). Inviato ad Algeri in Africa nell'anno 1236liberò una grande quantità di schiavi dalduro giogo dei saraceni e li fortificò nellafede. Morì santamente nel suo convento nel1240.
L'Ordine lo festeggia il 25 agosto
PIETRO VASQUEZ, Beato
Nato nella Galizia in Spagna, entrò nell'Ordine e visse prima a Madrid e poi a Manila. Volle ugualmente trasferirsi in Giappone, nonostante il pericolo di vita, a causa della persecuzione scatenata contro i missionari cattolici stranieri. Il 18 aprile 1623 fu arrestato e imprigionato per aver nascosto il corpo di un suo confratello martire, il b. Ludovico Flòres. Rimase nel carcere di Omura per circa un anno, affrontando con spirito di fede e grande serenità le durissime condizioni della prigionia e i disagi, come appare dalle lettere che scrisse durante questo periodo. Il 25 agosto 1624 fu bruciato vivo
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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
In
MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e
sites: Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral, e outros
MARTIROLÓGIO ROMANO
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