CAROS AMIGOS:
Igreja da Comunidade de São Paulo do Viso
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Nº 3 3 1 1
Série - 2017 - (nº 3 3 8)
3 de DEZEMBRO de 2017
SANTOS DE CADA DIA
11º A N O
LOUVADO SEJA PARA SEMPRE
NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
E SUA MÃE MARIA SANTÍSSIMA
NOSSO SENHOR JESUS CRISTO
E SUA MÃE MARIA SANTÍSSIMA
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Todos os Católicos com verdadeira Fé,
deverão Comemorar e Lembrar
os Santos e Beatos de cada dia, além de procurar seguir os seus exemplos
deverão Comemorar e Lembrar
os Santos e Beatos de cada dia, além de procurar seguir os seus exemplos
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FRANCISCO XAVIER, Santo
Sofonias, Santo
Comemoração de São SOFONIAS profeta, que nos dias de Josias, rei de Judá, anunciou a ruína dos ímpios no dia da ira do Senhor e fortaleceu os pobres e indigentes na esperança da salvação.
Cassiano de Tânger, Santo
Birino de Winchester, Santo
Em Winchester, na Inglaterra, o sepultamento de São BIRINO que, enviado à Grã-Bretanha pelo Papa HONÓRIO foi o primeiro bispo de Dorchester e difundiu com grande diligência o anúncio da salvação entre os Saxões ocidentais. (650)
Lúcio de Chur, Santo
Em Chur, cidade da Récia, na Helvécia, hoje Suiça, São LÚCIO eremita. (séc. VI)
João Nepomuceno de Tschiderer, Beato
Em Paracuellos del Jarama, Madrid, Espanha, os beatos FRANCISCO FERNÁNDEZ ESCOSURA e MANUEL SANTIAGO SANTIAGO, religiosos da Ordem dos Pregadores e mártires. (1936)
Santi CLAUDIO e ILARIA sposi, GIASONE e MAURO figli
Il gruppo di martiri a cui appartiene Ilaria è composto da quattro santi, Claudio, Ilaria, Giasone e Mauro e sono tutti celebrati dal 'Martirologio Romano' il 3 dicembre.
La notizia del loro martirio proviene dal Martirologio di Adone, che la prese dalla ‘passio’ dei santi Crisanto e Daria; secondo questa ‘passio’ Claudio era un tribuno dell’esercito, che mentre interrogava i martiri Crisanto e Daria, alla vista di un miracolo da loro operato, si convertì al cristianesimo insieme alla moglie Ilaria ed i figli Giasone e Mauro e 70 soldati.
Informato dell’avvenimento, l’imperatore Numeriano (283-284) dispose che Claudio fosse gettato in mare con una pietra al collo, mentre i due figli Giasone e Mauro con i 70 soldati, furono condannati alla decapitazione.
Affranta dal dolore Ilaria, non poté recuperare il corpo del marito, ormai perso in mare e mentre si accingeva a seppellire i corpi dei suoi figli, venne arrestata e prima di essere uccisa, ottenne di fermarsi a pregare; durante la preghiera fu martirizzata.
I sepolcri di Ilaria, Giasone e Mauro esistevano nel VII secolo sulla via Salaria, anche menzionati negli ‘Itinerari’ dell’epoca, quello di Mauro era stato ornato con un carme di papa Damaso.
Queste poche note, forzatamente raccontano solo la fine cruenta ma fulgida, di una famiglia cristiana nell’epoca delle persecuzioni romane, nulla sapendo della loro vita vissuta nella società imperiale.
: Emma = gentile, fraterna, nutrice, dall'antico tedesco
Illustre cavaliere di Montpellier (Francia), il Beato Guglielmo de Bas, fu il secondo Maestro Generale dell'Ordine Mercedario.Designato dalla Madre di Dio come successore di San Pietro Nolasco nella" carica di generalato, fu eletto il 12 giugno 1245 e degnamente svolse tale mansione fino alla fine. Molto compassionevole verso gli schiavi per i quali subì molte pene rimanendo anche in ostaggio per essi, benvoluto da Re e Prìncipi che ne seppe conquistare la loro fiducia con la parola e l'esempio di vita. In età molto avanzata, famoso per la gloria ed i miracoli compiuti, morì all'inizio del 1260 nella città di Barcellona in Spagna.
L'Ordine lo festeggia il 3 dicembre.
Padre Wladyslaw Bukowiński pregava, fra i tormenti dei gulag sovietici, con un Rosario che si era fatto con le molliche di pane e l’11 settembre scorso è stato beatificato nella cattedrale di Karaganda durante una celebrazione eucaristica presieduta, a nome del Papa, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Attraverso i dolorosi passaggi della biografia di Bukowiński – i processi, le detenzioni, i lavori forzati nelle miniere di rame, le messe clandestine e gli aiuti ai più poveri nei villaggi kazaki – il cardinale Amato ha ripercorso nell’omelia i tratti caratteristici della spiritualità del nuovo beato: sacerdote dalla fede «profonda, solida, incrollabile, come quella di Abramo» e «missionario coraggioso di Cristo nei vasti territori dell’Europa orientale, dove allora regnava un’ideologia repressiva, che cercava di estirpare dal cuore dell’uomo ogni sentimento religioso».
Il 2 febbraio del 1930, festa della Purificazione di Maria Vergine, Pio XI nel documento chirografo Ci commuovono, vergato all’indirizzo del Cardinale Basilio Pompilj, riportava parole di profondo dolore sulle «orribili e sacrileghe scelleratezze che si ripetono e si aggravano ogni giorno contro Dio e contro le anime nelle innumerevoli popolazioni della Russia, tutte care al nostro cuore, anche solo per il tanto che soffrono, e alle quali appartengono tanti devoti e generosi figli e ministri di questa santa Chiesa, cattolica, apostolica e romana, devoti e generosi fino all’eroismo e al martirio».
In quella circostanza il Papa parlò della Lega dei senza Dio militanti, fondata nel 1925 e formalmente sciolta nel 1947, che si propose di sradicare, con una violenta e spaventosa repressione, la fede religiosa, estendendo l’ateismo nella società russa con una propaganda invasiva.
Affermava il Pontefice: «gli organizzatori delle campagne d’ateismo e del “fronte antireligioso” vogliono soprattutto pervertire la gioventù, abusare della sua ingenuità e della sua ignoranza, e in luogo di impartirle istruzione, scienza e civiltà – che del resto come l’onestà, la giustizia e il benessere stesso, non possono prosperare e fiorire senza la religione –, l’organizzano nella Lega dei senza Dio militanti, dissimulando la decadenza morale, culturale e anche economica con un’agitazione altrettanto sterile quanto inumana, in cui i figli sono istigati a denunziare i genitori, a distruggere e insozzare gli edifici e gli emblemi religiosi e soprattutto a contaminare le loro anime con tutti i vizi e con le più vergognose aberrazioni materialistiche, i cui promotori, volendo colpire la religione e Dio stesso, procurano la rovina delle intelligenze e della medesima natura umana».
Quando il beato Bukowiński venne imprigionato il 22 giugno 1940 dai bolscevichi, la Lega dei senza Dio militante esisteva ancora. Wladyslaw era nato il 22 dicembre 1904 a Berdyczów, allora Polonia, oggi Ucraina. Era figlio di una famiglia di proprietari terrieri. Studiò a Kiev e mentre sosteneva l’esame di maturità la Polonia venne invasa dai bolscevichi.
Prende la laurea in Giurisprudenza all’Università Jagellonica di Cracovia, intanto matura la vocazione sacerdotale e per tale ragione frequenta la facoltà di Teologia. Colpito da una grave malattia, utilizza quel tempo della prova per approfondire la fede e compiere il passo definitivo. Viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1931 dal Cardinale arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha.
Nel 1936 viene chiamato nella regione polacca di Volinia, dove insegna in Seminario, tiene ritiri parrocchiali, si occupa del catechismo nelle scuole, si adopera per l’Azione Cattolica, scrive per la rivista Vita cattolica e viene nominato direttore dell’Istituto di Scienze religiose. Dal settembre 1939 è parroco della Cattedrale di Luck: qui svolge il proprio ministero con fervore e grande carità, tanto che, quando la città cade sotto il dominio sovietico, presta eroico conforto e soccorso ai polacchi condannati alla deportazione in Siberia.
Il 22 giugno 1940 però viene lui stesso incarcerato. Un giorno, nella prigione sovraffollata, le guardie staliniane decimano i detenuti, sparando a raffica su di loro. Don Wladyslaw esce da quella mattanza miracolosamente illeso. Il Signore lo vuole vivo quale testimone della Sua presenza in tanto orrore. Scarcerato il 26 giugno 1941, soccorre tutti quelli che può: fuggitivi, prigionieri di guerra, bambini, ebrei… Tuttavia nella notte tra il 3 e il 4 gennaio 1945 è nuovamente arrestato, insieme al Vescovo e l’intero Capitolo della Cattedrale.
Viene accusato di essere una spia del Vaticano, pertanto è condannato ai lavori forzati senza processo. Deportato e internato nel campo di Czelabinsk in Siberia, gli ordinano di tagliare legna e scavare fossi. Poi viene trasferito nel campo di Žezkazgan (attuale Kazakistan) ai lavori forzati nelle miniere di rame per dieci ore al giorno. La sua santità emerge come sole luminoso. Mai iracondia, ostilità, rancore nei confronti dei persecutori, mai epiteti escono dalle sue labbra. Anzi, rimangono le testimonianze a raccontarci che egli benediceva i nemici.
Compie la volontà di Dio fino in fondo e allora all’alba, mentre tutti dormono ancora, celebra la Santa Messa su una panca, utilizzando come paramenti liturgici gli indumenti della prigionia. Visita i malati nell’ospedale del gulag, tiene conferenze spirituali, conforta, confessa, comunica. La buona condotta gli permette di essere deportato a Karaganda, nel Kazakistan centro-settentrionale, per assumere la mansione di guardiano di un cantiere edile, proprio nella città dove Monsignor Athanasius Schneider supervisionò i lavori di costruzione (2003-2012) della cattedrale di Nostra Signora di Fatima: un immenso capolavoro di arte e di fede, in stile gotico, costruito sul luogo di uno dei più grandi e terribili campi di concentramento, Karlag.
E a Karaganda, mentre celebra la Santa Messa, arriva la milizia sovietica, ordinandogli perentoriamente di smettere. I militari se ne vanno e don Wladyslaw si rivolge ai fedeli in questi termini: «Chi vuole uscire esca, ma io continuerò». Neppure uno uscì. L’anno seguente gli propongono di fare ritorno nella sua patria, la Polonia. Ma lui no, non accetta, chiede la cittadinanza sovietica per essere libero di muoversi e poter proseguire la sua missione di evangelizzatore.
Sprezzante di ogni pericolo, questo sacerdote secondo il cuore di Dio, va dritto per la sua strada, il Calvario. Il 3 dicembre 1958 viene catturato per la terza volta con l’accusa di aver formato una chiesa illegale, di aver fatto propaganda fra bambini e giovani e di possedere materiale antisovietico. Questa volta subisce un processo i cui esiti potrebbero essere tragici. Don Wladyslaw rifiuta l’avvocato di difesa, che potrebbe essere a suo svantaggio e, memore degli studi giurisprudenziali, si autodifende, tenendo un’arringa di tal valore e forza che i giudici lo lasciano in vita e lo condannano a tre anni di lavori forzati.
L’orazione è la sua àncora e, nonostante i divieti, egli prega continuamente, sgranando migliaia di palline di pane. Ma un giorno un giudice lo coglie sul fatto: «Cosa fai?», «Sto pregando». «Ma è proibito». «Si calmi, in futuro pregherò in modo che lei non se ne accorga». Fatiche, lavoro, sofferenze, soprusi fisici e morali… Tredici anni nei gulag. Ma ancora resiste e ancora esce libero, pronto a proseguire il suo ministero e la sua missione in Kazakistan fino al 1974, quando, il 3 dicembre, sfinito per Nostro Signore, unica ragione della sua vita, prima di ricevere l’estrema unzione, celebra l’ultima Santa Messa. Le sue reliquie corporali sono venerate nella cripta della Cattedrale di Karaganda.
Il suo segreto era la Fede, quella autentica, in grado di dissolvere ogni asprezza dettata dalla paura. Paura che oggi vediamo serpeggiare in ogni dove, in ogni ambiente. Don Wladyslaw non coltivava la paura, occupava il suo tempo a compiere la volontà di Dio: «La Provvidenza agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là dove serviva un prete».
Autore: Cristina Siccardi
Infanzia e primi anni
Nacque il 22 dicembre 1904 a Berdyczów, oggi in Ucraina ma all’epoca in territorio polacco. I suoi genitori, Cyprian Józef Bukowiński e Jadwiga Scipio del Campo, appartenevano a famiglie di proprietari terrieri; era il figlio primogenito. Il 26 dicembre, quattro giorni dopo la nascita, venne prtato al fonte battesimale della chiesa parrocchiale di Santa Bargare a Berdyczów, dove gli fu imposto il nome di Władysław Antoni (ossia Ladislao Antonio).
Trascorse quindi l’infanzia nel villaggio di Hrybienikówka, poi a Opatów, vicino Sandomiersz. Dopo aver ricevuto la prima educazione a casa, a dieci anni iniziò a frequentare il ginnasio a Kiev; proseguì gli studi a Żmerynka e a Płoskirów, dove, nel 1918, morì sua madre. Due anni dopo, mentre la Polonia era oggetto dell’invasione bolscevica, fuggì con la famiglia a Święcica.
Studi e vocazione
Il 24 settembre 1921, Władysław ottenne il diploma di maturità come studente esterno. In seguito frequentò la scuola polacca di Scienze politiche presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Jagellonica di Cracovia, laureandosi con ottimi voti il 24 giugno 1926.
Nei suoi anni universitari, fu anche membro del Circolo Accademico dei Confinanti, del quale facevano parte studenti che, come lui, provenivano dai territori orientali della Polonia e che si occupavano di sostenere materialmente i giovani più poveri.
Formazione al sacerdozio e inizi del ministero
Nel 1926, come detto, terminò gli studi di Giurisprudenza e abbracciò quelli di Teologia, in vista del sacerdozio: entrò infatti nel seminario maggiore di Cracovia e frequentò i corsi alla Jagellonica. Per quasi due anni, tuttavia, il giovane fu molto malato: quell'esperienza gli fece comprendere che la sofferenza poteva essere un modo per approfondire la sua fede. Alla fine venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Cracovia dall’arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha il 28 giugno 1931.
Dal 1° settembre 1931 al 20 giugno 1935 don Władysław prestò servizio come catechista nel ginnasio di Rabka, senza dimenticare gli aspetti caritativi del ministero. L’anno dopo divenne viceparroco a SuchaBeskidzka e catechista nelle scuole di quel paese.
Evangelizzatore nella Polonia orientale
Non aveva dimenticato, però, la regione da cui proveniva e la passione che l’aveva animato negli anni universitari. Il 18 agosto 1936 partì dunque per la Polonia orientale: la sua attività si concentrò in particolare nel voivodato di Volinia. Fu quindi insegnante nel seminario di Łuck e si occupò di curare ritiri parrocchiali, senza dimenticare l’insegnamento del catechismo nei ginnasi. Nel 1938 fu nominato segretario diocesano di Azione Cattolica e direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose. Il suo antico interesse per il giornalismo – prima della laurea aveva infatti lavorato nella redazione di un quotidiano – gli tornò utile quando divenne redattore della rivista di Azione Cattolica e dovette sostituire il redattore della rivista «Vita Cattolica».
Dopo aver ottenuto di essere incardinato nella diocesi di Łuck, diventò parroco della cattedrale nel settembre 1939, poco prima che la città finisse sotto il controllo sovietico. Si mise dunque d’impegno per risollevare le condizioni degli abitanti: andava a visitare gli anziani o quanti erano rimasti soli e si prendeva cura, spesso di notte, dei malati gravi, cui portava anche i Sacramenti. Quando sapeva che c’erano prigionieri polacchi condannati alla deportazione in Siberia, correva alla stazione, per portare loro dei libretti di preghiera e, ancora meglio, confortarli con qualche parola buona.
Prima prigionia
Tutto questo avvenne finché, il 22 giugno 1940, non venne imprigionato dai bolsevichi. Un giorno i soldati della prigione cominciarono a sparare all’impazzata sui detenuti, allo scopo di ridurne il numero.
Per una circostanza che ebbe del miracoloso, don Władysław ne uscì indenne, senza neppure un graffio: sdraiato sul pavimento della prigione, confessò quindi e preparò alla morte i suoi compagni. Scarcerato il 26 giugno 1941, continuò il suo servizio e la sua azione caritativa verso i fuggitivi e i prigionieri di guerra: salvò anche molti bambini, compresi quelli ebrei, e li preparava clandestinamente alla Prima Comunione.
Seconda prigionia
Nella notte tra il 3 e il 4 gennaio 1945 venne nuovamente arrestato insieme al vescovo di Łuck e all’intero capitolo della cattedrale: accusato di essere una spia del Vaticano, venne condannato senza giudizio ai lavori forzati.
Per più di quattro anni fu internato nel campo di lavoro di Czelabinsk in Siberia: doveva tagliare la legna e scavare fossi. Nel 1950 passò in un altro campo a Žezkazgan, nell’attuale Kazakhstan, per lavorare nelle miniere di rame.
Sempre sacerdote
In tutti questi tormenti, non dimenticava mai di essere un sacerdote. Alla mattina presto, mentre gli altri prigionieri erano immersi nel sonno, celebrava la Messa sulla panca dove dormiva. I suoi paramenti erano gli stracci della sua prigionia. Terminato il lavoro che l’occupava per oltre dieci ore, visitava i malati nell’ospedale del campo, impartiva i Sacramenti e teneva conferenze spirituali. Scrisse in seguito: «La Provvidenza divina agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là, dove serve un prete».
Non ebbe mai una parola di lamento verso i suoi persecutori, anzi, li benedisse. Una notte, mentre si recava a ricevere la prima confessione di un detenuto polacco, venne sorpreso da una guardia, che gli sferrò uno schiaffo in faccia. Riflettendo sull’accaduto, don Władysław capì che avrebbe potuto andargli molto peggio, se l’avessero mandato in cella d’isolamento.
Cittadino sovietico per continuare la sua missione
La sua pena venne ridotta a nove anni, sette mesi e sei giorni per buona condotta, venendo liberato il 10 agosto 1954 e deportato a Karaganda, capitale del Kazakhstan. Lì visse come guardiano di un cantiere edile, ma continuò il suo apostolato nascosto.
Nel 1955 gli venne proposto di tornare in Polonia: accolse la notizia con gioia, ma preferì diventare cittadino sovietico, per restare fedele alla sua vocazione e alla sua missione. Dato che la cittadinanza gli permetteva di muoversi liberamente in tutta l’Unione Sovietica, lasciò il lavoro e si occupò esclusivamente dell’apostolato, sia tra i cattolici latini, polacchi e tedeschi, sia tra i greco-cattolici.
Un’autodifesa persuasiva
Il 3 dicembre 1958 venne imprigionato per la terza volta. Le accuse che gli vennero rivolte durante l’udienza processuale del 25 febbraio 1959, furono: aver formato una chiesa illegalmente, aver fatto propaganda tra i bambini e i giovani e di essere in possesso di materiale antisovietico. Don Władysław pensò dunque di far fruttare i suoi studi in Giurisprudenza e proclamò che si sarebbe difeso da sé. La sua arringa colpì a tal punto i giudici che gli vennero comminati tre anni di lavori forzati; era la pena più leggera. Dal 1965 compì molti viaggimissionari, ma dovette spesso tornare in Polonia per curarsi: i periodi di prigionia e il lavoro pastorale l’avevano sfibrato. Fu durante quelle visite che gli accadde d’incontrare il cardinal Karol Wojtyła, molto interessato al suo apostolato in Kazakhstan.
La morte
Nell’ottobre 1974 partì per un periodo di riposo a Wierzbowiec, in casa di un amico sacerdote, e fece i suoi Esercizi spirituali. Rientrò a Karaganda, ma di lì a poco ebbe un crollo fisico: il 25 novembre celebrò la sua ultima Messa, poi ricevette l’Estrema Unzione e venne trasportato in ospedale. La sua morte avvenne il 3 dicembre 1974, suscitando un compianto generale in quanti l’avevano conosciuto.
Il processo di beatificazione
La fase diocesana del suo processo di beatificazione si è svolta a Cracovia, ottenuto il trasferimento dal tribunale ecclesiastico di Karaganda il 28 febbraio 2005 e il nulla osta dalla Santa Sede il 16 maggio 2005. Il processo si è quindi svolto dal 19 giugno 2006 all’8 marzo 2008 ed è stato convalidato il 6 febbraio 2009. Nel 2012 è stata depositata la sua “Positio super virtutibus”.
Il congresso dei consultori teologi, il 22 dicembre 2013, si è pronunciato favorevolmente circa l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte di don Władysław; anche i cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi sono stati di parere positivo. Il 22 gennaio 2015, quindi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che lo dichiarava Venerabile.
Dopo poco più di un anno è stato promulgato anche il decreto circa un miracolo ottenuto per sua intercessione, la cui convalida risaliva al 22 dicembre 2015. La beatificazione si è quindi svolta domenica 11 settembre 2016 nella cattedrale di Nostra Signora di Fatima a Karaganda, presieduta dal cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato del Santo Padre.
I resti mortali del Beato Władysław Bukowiński, già traslati nel 1991 n
Francisco Xavier, Santo
Estátua de São Francisco Xavier, em Lisboa
Memória de São FRANCISCO XAVIER presbitero da Companhia de Jesus, evangelizador das Índias que, nascido em Navarra, foi dos primeiros companheiros de São INÁCIO DE LOYOLA. Movido pelo ardente desejo de propagar o Evangelho, anunciou diligentemente Cristo a inumeráveis povos da Índia, das Molucas e outras ilhas, e depois no Japão, convertendo muitos à fé; finalmente morreu na ilha de Sanchoão, consumido pela enfermidade e pela fadiga. (1552)
Estátua de São Francisco Xavier, em Lisboa
Memória de São FRANCISCO XAVIER presbitero da Companhia de Jesus, evangelizador das Índias que, nascido em Navarra, foi dos primeiros companheiros de São INÁCIO DE LOYOLA. Movido pelo ardente desejo de propagar o Evangelho, anunciou diligentemente Cristo a inumeráveis povos da Índia, das Molucas e outras ilhas, e depois no Japão, convertendo muitos à fé; finalmente morreu na ilha de Sanchoão, consumido pela enfermidade e pela fadiga. (1552)
Texto do livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial A. O., de Braga:
«Não é muito alto nem muito pequeno. O seu porte é nobre sem afectação, e os seus olhos fixos continuamente no céu e humedecidos pelas lágrimas. Aos seus lábios assoma perpétuo sorriso; as suas palavras são poucas, mas comovem até fazerem chorar». Esta é a imagem de XAVIER que mantinha fresca na sua imaginação o Padre BALTAZAR BARRETO ao escrever da Índia no ano de 1548.
Nas profuindidades dos seus olhos negros encerravam-se as aspirações duma alma grande, que no Oriente inteiro encontrou cárcere estreito para as suas ânsias de apostolado.
Tinha nascido FRANCISCO no castelo de Xavier em terça-feira santa, 7 de Abril de 1506 (há 510 anos atrás...) . A infância e primeira juventude passaram para ele entre os duros azares da guerra, que lhe ensinaram nobreza e valentia e, com as suas tristes consequências de lágrimas e pobreza, lhe endureceram o corpo e o acostumaram às privações da vida. Não lhe sorria a carreira das armas, depois dos duros revezes sofridos pelo pai e pelos irmãos. Preferiu a carreira das letras e, em busca da glória, demandou Paris no fim do Verão de 1525. Lá o esperava Deus.
O antigo e experimentado soldado INÁCIO DE LOYOLA que se tinha posto também a caminho de Paris para estudar, soube ganhar o coração do jovem navarro e lançar nela a gota divina do desengano a respeito de todos os ideais humanos. «FRANCISCO, que te aproveita ganhar o mundo inteiro, se vens a perder a tua alma?». Esta sentença do Evangelho, repetida dia após dia, fixou-se bem fundo no espírito de Xavier. No verão de 1533 era ele humilde discipulo de INÁCIO. Pouco depois, fazia os exercícios espirituais e, diante da figura amável de Cristo Rei, ficava para sempre definida a orientação da sua vida. A 15 de Agosto de 1534 pronunciava os seus primeiros votos e alistava-se debaixo das bandeiras do exército missionário, que havia de capitanear.
Passaram-se todavia anos até se concretizar a vocação do Apóstolo do Oriente. Prenúncios teve em sonhos, durante uma viagem pelo Norte de Itália; «Jesus, disse ele ao despertar, como estou cansado! Sabeis em que sonhava? Que levava às costas um índio e o seu peso estava quase a esmagar-me».
Depressa e de maneira providencial realizar-se-ão tais sonhos. Dom João III, rei de Portugal, desejava enviar às suas recém-conquistadas possessões da Índia alguns Padres da Companhia de Jesus. SIMÃO RODRIGUES e BOBADILLA foram os designados no princípio. Mas o homem propõe e Deus dispõe. BOBADILLA caiu doente. Não havia em Roma mais jesuitas senão JAYO, destinado para outra missão em Bagnorca, e FRANCISCO XAVIER. Curta foi a ordem de INÁCIO: «Deus quer servir-se vós, irmão Mestre FRANCISCO. esta é a vossa empresa, a vós toca esta missão». -«Eis-me aqui Padre, estou disposto».
No dia seguinte seguiam para Portugal, no séquito do embaixador Dom Pedro de Mascarenhas, XAVIER e SIMÃO RODRIGUES. Depois do magnifico trabalho dos dois em Lisboa, que lhes mereceu o cognome de «apóstolos», XAVIER deixou a Europa, no dia dos seus anos, 7 de Abril de 1541 (com 35 anos ...) para ser Apóstolo mais longe. Nos treze meses que durou a viagem, XAVIER que levava a nomeação de Legado Pontifício, transformou-se em enfermeiro da pobre tripulação atacada pela peste. Chegou mesmo a lavar no convés a sua roupa e a dos doentes.
No dia 6 de Maio de 1542 desembarcou em Goa e a 2 de Dezembro de 1552 (dez anos depois..:) morreu em Sanchão; às portas da China. Dez anos e sete meses tinha durado o seu apostolado prodigioso. Quanto pode uma vontade enamorada dum grande ideal e posta incondicionalmente nas mãos de Deus!
Logo que pôs os pés em Goa, visitou o Arcebispo, apresentou-lhe os poderes que trazia como Legado Pontifício, mas prometeu que não os usaria sem o beneplácito do Prelado. Os cinco primeiros meses passou-os na capital da Índia Portuguesa: confessava, pregava, visitava os doentes no hospital e percorria as ruas com uma campainha, chamando as crianças para a doutrina.
Por Outubro de 1542 embarcou para costa da Pescaria, onde o esperavam, 20 000 Paravás, que não tinham senão o baptismo e o nome de cristãos. Num mês baptizou mais de 10 000. Os braços causavam-se-lhe e a voz enrouquecia com tanto repetir o Credo e os Mandamentos.
Passado um ano, voltou a Goa, aceitou o Colégio de São Paulo para a formação do clero indígena; e partiu de novo para a costa da Pescaria e avançou até às regiões do Maduré. Percorreu o reino de Travancor e regressou à Pescaria. Falou com o vice-rei Dom João de Castro e, no ano de 1545, evangelizou as ilhas de Ceilão e Manor. A 25 de Maio desembarcava em Malaca, porta do mundo Oriental malaio, que se abria aos seus olhos; as inexploradas ilhas de Samatra e Java, Macasar, do outro lado do Bornéu e, mais para Oriente, nas últimas regiões descobertas, Ambóino e Banda, a famosa terra da noz moscada e, mais para Norte, Ternate nas Molucas, as terras do cravo aromático. Sonhos de Apóstolo que se converteram em realidade entre os anos de 1546 e 1548.
As praias de Cerão, ao Norte de Ambóino, presenciaram historicamente o documentado milagre do caranguejo, que trouxe do fundo do mar o Crucifixo, pouco antes perdido por XAVIER numa tempestade.
De Ambóino passou a Ternate e dali às inóspitas ilhas do Moro. Então compreendeu ele, segundo escreveu: «Aquele latim por vezes tão difícil da palavra evangélica: quem perder a sua vida por Mim, encontrá-la-á». Num rasgo heróico de confiança em Deus, separou-se dos amigos e desprezou os remédios que lhe davam contra o veneno, e sozinho, esperando uma morte certa às mãos daqueles indómitos selvagens, encaminhou-se para as ilhas de Moro.
Deus premiou-o: «Nunca me lembro de ter tantas e tão frequentes consolações espirituais como nestas ilhas. Estão estas ilhas muito dispostas para uma pessoa perder, em poucos anos, a vista dos olhos corporais com a abundância de lágrimas de consolação».
Em Julho de 1547 estava de novo em Malaca. Em fins do mesmo ano trava conhecimento providencial com um japonês chamado Angero e forma o plano de evangelizar o Japão. A 20 de Março de 1548 está em Goa para ordenar o governo interior da Ordem e a 15 de Agosto de 1549 desembarca no Japão.
Lá XAVIER faz-se como criança e começa de novo a aprender a falar, a sentar-se no chão e a comer com pauzinhos. traduz as principais verdades da religião e ensina-as ao povo. Mas a sua pronúncia é incorrecta e excita o riso nos ouvintes.
O seu calvário foi a viagem à capital de então, Meaco. Quinhentos quilómetros a pé e descalço, por caminhos intransitáveis e cobertos de neve, com a troça e o apedrejamento da rapaziada, ardendo com febre e agarrado por vezes à cauda dum cavalo para conseguir andar. E no fim encontrou a indiferença e o nada na corte, tendo de voltar desapontado sem conseguir a entrevista com o Imperador.
Desta vez tinha-o prejudicado a sua pobreza e humildade. Compreendeu que tinha de revestir-se de autoridade e fausto exterior, para ser bem recebido entre os Japoneses. E assim diante do rei de Bungo, apresentou-se como Legado Pontificio, servido por pajens, escoltado por nobres portugueses e carregado de valiosos presentes. O rei concedeu-lhe a ambicionada liberdade para pregar dentro dos seus domínios.
Firando, Facata, Amangúchi e Funai são outros tantos centros da primeira evangelização nipónica. Ao regressar em 1551 ficava solidamente plantada a Igreja com um grupo de 2 000 fiéis em cinco cristandades.
Ainda lhe ficava um sonho, aquele que devia ser o último do seu coração de Apóstolo. Amarga luta teve de sustentar em Malaca contra a posição de Álvaro de Ataíde, até alcançar partir na nau «Santa Cruz», para a ilha de Sanchão.
Ali, diante da costa da China, vendo morrerem as suas esperanças de penetrar em tão enorme império e atravessá-lo até chegar à Europa e recrutar Apóstolos na Sorbona (Universidade de Paris) e voltar como chefe duma legião, enganado pelo chinês que se comprometera a introduzi-lo secretamente em Cantão, abandonado por todos numa pobre choça da ilha deserta, morre consumido pela febre, com os olhos fixos na messe e o nome de Jesus nos lábios. Estava ao seu lado, em Sanchão, apenas o jovem chinês António, que lhe pusera nas mãos o Crucifixo. Era na madrugada de sábado, 3 de Dezembro de 1552 (há 464 anos...).
Algumas semanas depois, vieram de Goa buscar o corpo, que encontraram perfeitamente incorrupto. Levaram-no e jaz em Goa, em esplêndida urna, venerado tanto por católicos como por hindus. Um braço foi-lhe cortado e levado para a Igreja do Gesú, em Roma. Dizem que foi desse corte que resultou ir secando a quase totalidade do corpo, como se vê hoje.
«Ordenadas numa linha, as suas viagens dariam três vezes a volta à terra. O Santo morreu aos 46 anos de idade e só empregou 10 para execução dos seus prodigiosos trabalhos. Foi precisamente o tempo que empregou César para sujeitar e devastar as Gálias. E o mesmo que empregou Alexandre para fundar um império. Sonhou penetrar no coração da Índia e chegar aos mares do Oriente; era pequeno conquistador para empresa tão grande: São FRANCISCO XAVIER sem mais armas do que a sua cruz e o seu breviário, chegou mais além do que os sonhos de Alexandre, Se o guerreiro tivesse podido conhecer o Santo, teria tremido de admiração diante dele; e até o seu mestre, o grande estagírita Aristóteles, teria caído de joelhos para beijar aquela mão que fez chegar o ceptro de Cristo a milhares de homens».
O apostolado de São FRANCISCO XAVIER não se explica pelas suas qualidades puramente humanas. Temos de subir às alturas da graça, que se dá sem limites a quem se entrega docilmente. E a vastidão dos seus espantosos itinerários foi o aproveitamento, para o seu zelo ardentíssimo, das condições criadas, apesar de todos os defeitos, pelos descobrimentos e conquistas de Portugal.
Possuiu num grau singular o dom da profecia. Os milagres eram nele coisa frequente. Vinte ressurreições foram referidas, em público consistório, diante de GREGÓRIO XV. Mas não faltam grandes devotos seus que não aceitam hoje a verdade histórica de tanta ressurreição!
Quantas almas converteu? Na bula de canonização diz-se que baptizou muitas centenas de milhares. Ele próprio escreveu: «É tão grande a multidão dos que se convertem à nossa fé, que muitas vezes acontece cansarem-se os braços de tanto baptizar, e há dias em que baptizo um lugar inteiro».
Já em 1621 foi designado como patrono do reino de Navarra, o que foi ratificado pelas cortes de Espanha três anos depois. BENTO XIV em 1749 declarou-o patrono de todas as missões no oriente. Em 1909, São PIO X escolheu-o como «celestial patrono da Congregação e da Obra da Propagação da Fé». Agora reparte ele com Santa TERESA DO MENINO JESUS esse mesmo padroado universal. E o papa PIO XIII nomeou, em 1952, São FRANCISCO XAVIER padroeiro do Turismo.
Nas profuindidades dos seus olhos negros encerravam-se as aspirações duma alma grande, que no Oriente inteiro encontrou cárcere estreito para as suas ânsias de apostolado.
Tinha nascido FRANCISCO no castelo de Xavier em terça-feira santa, 7 de Abril de 1506 (há 510 anos atrás...) . A infância e primeira juventude passaram para ele entre os duros azares da guerra, que lhe ensinaram nobreza e valentia e, com as suas tristes consequências de lágrimas e pobreza, lhe endureceram o corpo e o acostumaram às privações da vida. Não lhe sorria a carreira das armas, depois dos duros revezes sofridos pelo pai e pelos irmãos. Preferiu a carreira das letras e, em busca da glória, demandou Paris no fim do Verão de 1525. Lá o esperava Deus.
O antigo e experimentado soldado INÁCIO DE LOYOLA que se tinha posto também a caminho de Paris para estudar, soube ganhar o coração do jovem navarro e lançar nela a gota divina do desengano a respeito de todos os ideais humanos. «FRANCISCO, que te aproveita ganhar o mundo inteiro, se vens a perder a tua alma?». Esta sentença do Evangelho, repetida dia após dia, fixou-se bem fundo no espírito de Xavier. No verão de 1533 era ele humilde discipulo de INÁCIO. Pouco depois, fazia os exercícios espirituais e, diante da figura amável de Cristo Rei, ficava para sempre definida a orientação da sua vida. A 15 de Agosto de 1534 pronunciava os seus primeiros votos e alistava-se debaixo das bandeiras do exército missionário, que havia de capitanear.
Passaram-se todavia anos até se concretizar a vocação do Apóstolo do Oriente. Prenúncios teve em sonhos, durante uma viagem pelo Norte de Itália; «Jesus, disse ele ao despertar, como estou cansado! Sabeis em que sonhava? Que levava às costas um índio e o seu peso estava quase a esmagar-me».
Depressa e de maneira providencial realizar-se-ão tais sonhos. Dom João III, rei de Portugal, desejava enviar às suas recém-conquistadas possessões da Índia alguns Padres da Companhia de Jesus. SIMÃO RODRIGUES e BOBADILLA foram os designados no princípio. Mas o homem propõe e Deus dispõe. BOBADILLA caiu doente. Não havia em Roma mais jesuitas senão JAYO, destinado para outra missão em Bagnorca, e FRANCISCO XAVIER. Curta foi a ordem de INÁCIO: «Deus quer servir-se vós, irmão Mestre FRANCISCO. esta é a vossa empresa, a vós toca esta missão». -«Eis-me aqui Padre, estou disposto».
No dia seguinte seguiam para Portugal, no séquito do embaixador Dom Pedro de Mascarenhas, XAVIER e SIMÃO RODRIGUES. Depois do magnifico trabalho dos dois em Lisboa, que lhes mereceu o cognome de «apóstolos», XAVIER deixou a Europa, no dia dos seus anos, 7 de Abril de 1541 (com 35 anos ...) para ser Apóstolo mais longe. Nos treze meses que durou a viagem, XAVIER que levava a nomeação de Legado Pontifício, transformou-se em enfermeiro da pobre tripulação atacada pela peste. Chegou mesmo a lavar no convés a sua roupa e a dos doentes.
No dia 6 de Maio de 1542 desembarcou em Goa e a 2 de Dezembro de 1552 (dez anos depois..:) morreu em Sanchão; às portas da China. Dez anos e sete meses tinha durado o seu apostolado prodigioso. Quanto pode uma vontade enamorada dum grande ideal e posta incondicionalmente nas mãos de Deus!
Logo que pôs os pés em Goa, visitou o Arcebispo, apresentou-lhe os poderes que trazia como Legado Pontifício, mas prometeu que não os usaria sem o beneplácito do Prelado. Os cinco primeiros meses passou-os na capital da Índia Portuguesa: confessava, pregava, visitava os doentes no hospital e percorria as ruas com uma campainha, chamando as crianças para a doutrina.
Por Outubro de 1542 embarcou para costa da Pescaria, onde o esperavam, 20 000 Paravás, que não tinham senão o baptismo e o nome de cristãos. Num mês baptizou mais de 10 000. Os braços causavam-se-lhe e a voz enrouquecia com tanto repetir o Credo e os Mandamentos.
Passado um ano, voltou a Goa, aceitou o Colégio de São Paulo para a formação do clero indígena; e partiu de novo para a costa da Pescaria e avançou até às regiões do Maduré. Percorreu o reino de Travancor e regressou à Pescaria. Falou com o vice-rei Dom João de Castro e, no ano de 1545, evangelizou as ilhas de Ceilão e Manor. A 25 de Maio desembarcava em Malaca, porta do mundo Oriental malaio, que se abria aos seus olhos; as inexploradas ilhas de Samatra e Java, Macasar, do outro lado do Bornéu e, mais para Oriente, nas últimas regiões descobertas, Ambóino e Banda, a famosa terra da noz moscada e, mais para Norte, Ternate nas Molucas, as terras do cravo aromático. Sonhos de Apóstolo que se converteram em realidade entre os anos de 1546 e 1548.
As praias de Cerão, ao Norte de Ambóino, presenciaram historicamente o documentado milagre do caranguejo, que trouxe do fundo do mar o Crucifixo, pouco antes perdido por XAVIER numa tempestade.
De Ambóino passou a Ternate e dali às inóspitas ilhas do Moro. Então compreendeu ele, segundo escreveu: «Aquele latim por vezes tão difícil da palavra evangélica: quem perder a sua vida por Mim, encontrá-la-á». Num rasgo heróico de confiança em Deus, separou-se dos amigos e desprezou os remédios que lhe davam contra o veneno, e sozinho, esperando uma morte certa às mãos daqueles indómitos selvagens, encaminhou-se para as ilhas de Moro.
Deus premiou-o: «Nunca me lembro de ter tantas e tão frequentes consolações espirituais como nestas ilhas. Estão estas ilhas muito dispostas para uma pessoa perder, em poucos anos, a vista dos olhos corporais com a abundância de lágrimas de consolação».
Em Julho de 1547 estava de novo em Malaca. Em fins do mesmo ano trava conhecimento providencial com um japonês chamado Angero e forma o plano de evangelizar o Japão. A 20 de Março de 1548 está em Goa para ordenar o governo interior da Ordem e a 15 de Agosto de 1549 desembarca no Japão.
Lá XAVIER faz-se como criança e começa de novo a aprender a falar, a sentar-se no chão e a comer com pauzinhos. traduz as principais verdades da religião e ensina-as ao povo. Mas a sua pronúncia é incorrecta e excita o riso nos ouvintes.
O seu calvário foi a viagem à capital de então, Meaco. Quinhentos quilómetros a pé e descalço, por caminhos intransitáveis e cobertos de neve, com a troça e o apedrejamento da rapaziada, ardendo com febre e agarrado por vezes à cauda dum cavalo para conseguir andar. E no fim encontrou a indiferença e o nada na corte, tendo de voltar desapontado sem conseguir a entrevista com o Imperador.
Desta vez tinha-o prejudicado a sua pobreza e humildade. Compreendeu que tinha de revestir-se de autoridade e fausto exterior, para ser bem recebido entre os Japoneses. E assim diante do rei de Bungo, apresentou-se como Legado Pontificio, servido por pajens, escoltado por nobres portugueses e carregado de valiosos presentes. O rei concedeu-lhe a ambicionada liberdade para pregar dentro dos seus domínios.
Firando, Facata, Amangúchi e Funai são outros tantos centros da primeira evangelização nipónica. Ao regressar em 1551 ficava solidamente plantada a Igreja com um grupo de 2 000 fiéis em cinco cristandades.
Ainda lhe ficava um sonho, aquele que devia ser o último do seu coração de Apóstolo. Amarga luta teve de sustentar em Malaca contra a posição de Álvaro de Ataíde, até alcançar partir na nau «Santa Cruz», para a ilha de Sanchão.
Ali, diante da costa da China, vendo morrerem as suas esperanças de penetrar em tão enorme império e atravessá-lo até chegar à Europa e recrutar Apóstolos na Sorbona (Universidade de Paris) e voltar como chefe duma legião, enganado pelo chinês que se comprometera a introduzi-lo secretamente em Cantão, abandonado por todos numa pobre choça da ilha deserta, morre consumido pela febre, com os olhos fixos na messe e o nome de Jesus nos lábios. Estava ao seu lado, em Sanchão, apenas o jovem chinês António, que lhe pusera nas mãos o Crucifixo. Era na madrugada de sábado, 3 de Dezembro de 1552 (há 464 anos...).
Algumas semanas depois, vieram de Goa buscar o corpo, que encontraram perfeitamente incorrupto. Levaram-no e jaz em Goa, em esplêndida urna, venerado tanto por católicos como por hindus. Um braço foi-lhe cortado e levado para a Igreja do Gesú, em Roma. Dizem que foi desse corte que resultou ir secando a quase totalidade do corpo, como se vê hoje.
«Ordenadas numa linha, as suas viagens dariam três vezes a volta à terra. O Santo morreu aos 46 anos de idade e só empregou 10 para execução dos seus prodigiosos trabalhos. Foi precisamente o tempo que empregou César para sujeitar e devastar as Gálias. E o mesmo que empregou Alexandre para fundar um império. Sonhou penetrar no coração da Índia e chegar aos mares do Oriente; era pequeno conquistador para empresa tão grande: São FRANCISCO XAVIER sem mais armas do que a sua cruz e o seu breviário, chegou mais além do que os sonhos de Alexandre, Se o guerreiro tivesse podido conhecer o Santo, teria tremido de admiração diante dele; e até o seu mestre, o grande estagírita Aristóteles, teria caído de joelhos para beijar aquela mão que fez chegar o ceptro de Cristo a milhares de homens».
O apostolado de São FRANCISCO XAVIER não se explica pelas suas qualidades puramente humanas. Temos de subir às alturas da graça, que se dá sem limites a quem se entrega docilmente. E a vastidão dos seus espantosos itinerários foi o aproveitamento, para o seu zelo ardentíssimo, das condições criadas, apesar de todos os defeitos, pelos descobrimentos e conquistas de Portugal.
Possuiu num grau singular o dom da profecia. Os milagres eram nele coisa frequente. Vinte ressurreições foram referidas, em público consistório, diante de GREGÓRIO XV. Mas não faltam grandes devotos seus que não aceitam hoje a verdade histórica de tanta ressurreição!
Quantas almas converteu? Na bula de canonização diz-se que baptizou muitas centenas de milhares. Ele próprio escreveu: «É tão grande a multidão dos que se convertem à nossa fé, que muitas vezes acontece cansarem-se os braços de tanto baptizar, e há dias em que baptizo um lugar inteiro».
Já em 1621 foi designado como patrono do reino de Navarra, o que foi ratificado pelas cortes de Espanha três anos depois. BENTO XIV em 1749 declarou-o patrono de todas as missões no oriente. Em 1909, São PIO X escolheu-o como «celestial patrono da Congregação e da Obra da Propagação da Fé». Agora reparte ele com Santa TERESA DO MENINO JESUS esse mesmo padroado universal. E o papa PIO XIII nomeou, em 1952, São FRANCISCO XAVIER padroeiro do Turismo.
EDUARDO COLEMAN, Beato
Em Londres, na Inglaterra, o beato EDUARDO COLEMAN mártir que por ter abraçado a fé católica que falsamente acusado de conspiração contra o rei Carlos II, por ter abraçado a fé católica, foi enforcado em Tyburn e, ainda com vida, esquartejado. (1678)
Texto do livro SANTOS DE CADA DIA da Editorial A. O. de Braga:
Política e religião levaram-mo à morte pela sua fé. Filho dum eclesiástico anglicano com um benefício no Suffolk, estudou em Cambridge (1651-1659). Ignoramos as circunstâncias da sua conversão ao catolicismo. Veio a ser secretário da duquesa de Iorque, Maria Módena. Os tempos eram difíceis para os católicos. O rei vira-se obrigado a revogar as concessões outorgadas, diante duma agitação cada vez maior: o papismo era a causa de todas as dificuldades, segundo se dizia, e não faltavam pessoas graves a sugerir que se fizesse dele o bode expiatório.
Temos uma carta de COLEMAN a um agente de Módena em Paris (Maio de 1674). Esboça a maquinação que pretende cercar o rei, contra o duque de Iorque e o catolicismo. COLEMAN tinha ido a Bruxelas encontrar-se com o núncio Albani; sem dúvida, procurava obter subvenções para o rei; era, em parte, a falta de dinheiro que o tornava acessível à intriga. A correspondência de COLEMAN sobre este assunto estende-se até 1676. Não se pode dizer, lendo-a, que são «cartas edificantes», sobretudo se examinarmos as dirigidas a COLEMAN ; mas seria injusto incluí-lo por isso nesse «montão de homens perdidos por dívidas e crimes», de que fala Corneille em Cinna, pelo fim de 1640. Cinco cartas de COLEMAN são dirigidas aos confessores de Luís XIV, em especial ao Padre La Chaize, que teve cuidado da consciência régia de 1675 a 1709. Elas expressam desejo de dinheiro, que permitisse ao rei libertar-se das maquinações e convocar novo parlamento mais flexível, melhor disposto quanto aos católicos. Era quando Luís XIV comprava os homens políticos da Inglaterra, compreendido o rei Carlos. COLEMAN figurava com 300 libras na lista das generosidades do embaixador francês.
COLEMAN não conseguiu quase nada, mas, sem desanimar, experimentava novos planos, tentava promover a paz entre os países católicos, França e Espanha. Em 1674, fez abortar o projecto de alguns católicos ingleses: de prestarem juramento de obediência para obter maior liberdade. Tendo um apóstata atacado o pregador da duquesa de Iorque, COLEMAN teve de comparecer no tribunal: mas defendeu-se tão bem que foi absolvido. Em 1676 numa discussão entre católicos e protestantes, converteu uma senhora inglesa. O duque de Iorque, a instâncias do bispo de Londres, teve de despedir do seu serviço COLEMAN em 1677, sem contudo este se afastar de Londres.
No ano seguinte, foi descoberta a conspiração papista forjada por Titus Oates. Ficando o rei Carlos II (Stuart) céptico, Oates foi fazer a sua deposição diante dum magistrado. Godfrey, que avisou COLEMAN para prevenir o duque de Iorque. Este aconselhou o seu ex-secretário a que destruísse os papéis perigosos que pudesse ter: COLEMAN figurava na lista dos conjurados. Mas a polícia tomou-lhe esses papéis. A seguir, jogando franco e julgando criar presunção de inocência, COLEMAN entregou-se a 30 de Setembro. Oates acusou-o expressamente, sem grande resultado. Mas depressa a morte de Godfrey - verosivelmente suicídio - foi explorada como sinal de uma matança urdida contra os protestantes. Fingiu-se acreditar em Oates e o processo contra COLEMAN abriu-se numa atmosfera de terror. Titus Oates, que fingia ter sido o intermediário de COLEMAN, acusava-o de ter recebido 10 000 libras do Padre La Chaize para mandar matar o rei; de o geral dos jesuitas ter prometido a COLEMAN a secretaria de estado; e de COLEMAN estar a entender-se com o arcebispo de Dublin para sublevar a Irlanda.
COLEMAN repeliu facilmente as mentiras de Titus Oates. Mas existiam as suas cartas autênticas ao Padre La Chaize em que se encontravam frases obscuras e desajeitadas. COLEMAN reconheceu as suas extravagâncias e imprudências. Mas afinal que deseja ele ? A liberdade de consciência para os católicos e por meios legais. Fazer um peditório no estrangeiro, para realizar isto, era crime? O juiz teve por crime querer mudar a religião estabelecida, mesmo não usando a violência: reconheceu alta traição e sentenciou a morte. Mas foi oferecida a liberdade a COLEMAN se confessasse e denunciasse os cúmplices.
Foi supliciado em Tyburn, perto do actual Hyde Park, de Londres, a 3 de Dezembro de 1678. Proclamou antes de morrer que abominava o regicídio e que estava inocente de qualquer acção contra o estado ou os indivíduos.
PIO XII beatificou-o em Dezembro de 1929.
Em Londres, na Inglaterra, o beato EDUARDO COLEMAN mártir que por ter abraçado a fé católica que falsamente acusado de conspiração contra o rei Carlos II, por ter abraçado a fé católica, foi enforcado em Tyburn e, ainda com vida, esquartejado. (1678)
Texto do livro SANTOS DE CADA DIA da Editorial A. O. de Braga:
Política e religião levaram-mo à morte pela sua fé. Filho dum eclesiástico anglicano com um benefício no Suffolk, estudou em Cambridge (1651-1659). Ignoramos as circunstâncias da sua conversão ao catolicismo. Veio a ser secretário da duquesa de Iorque, Maria Módena. Os tempos eram difíceis para os católicos. O rei vira-se obrigado a revogar as concessões outorgadas, diante duma agitação cada vez maior: o papismo era a causa de todas as dificuldades, segundo se dizia, e não faltavam pessoas graves a sugerir que se fizesse dele o bode expiatório.
Temos uma carta de COLEMAN a um agente de Módena em Paris (Maio de 1674). Esboça a maquinação que pretende cercar o rei, contra o duque de Iorque e o catolicismo. COLEMAN tinha ido a Bruxelas encontrar-se com o núncio Albani; sem dúvida, procurava obter subvenções para o rei; era, em parte, a falta de dinheiro que o tornava acessível à intriga. A correspondência de COLEMAN sobre este assunto estende-se até 1676. Não se pode dizer, lendo-a, que são «cartas edificantes», sobretudo se examinarmos as dirigidas a COLEMAN ; mas seria injusto incluí-lo por isso nesse «montão de homens perdidos por dívidas e crimes», de que fala Corneille em Cinna, pelo fim de 1640. Cinco cartas de COLEMAN são dirigidas aos confessores de Luís XIV, em especial ao Padre La Chaize, que teve cuidado da consciência régia de 1675 a 1709. Elas expressam desejo de dinheiro, que permitisse ao rei libertar-se das maquinações e convocar novo parlamento mais flexível, melhor disposto quanto aos católicos. Era quando Luís XIV comprava os homens políticos da Inglaterra, compreendido o rei Carlos. COLEMAN figurava com 300 libras na lista das generosidades do embaixador francês.
COLEMAN não conseguiu quase nada, mas, sem desanimar, experimentava novos planos, tentava promover a paz entre os países católicos, França e Espanha. Em 1674, fez abortar o projecto de alguns católicos ingleses: de prestarem juramento de obediência para obter maior liberdade. Tendo um apóstata atacado o pregador da duquesa de Iorque, COLEMAN teve de comparecer no tribunal: mas defendeu-se tão bem que foi absolvido. Em 1676 numa discussão entre católicos e protestantes, converteu uma senhora inglesa. O duque de Iorque, a instâncias do bispo de Londres, teve de despedir do seu serviço COLEMAN em 1677, sem contudo este se afastar de Londres.
No ano seguinte, foi descoberta a conspiração papista forjada por Titus Oates. Ficando o rei Carlos II (Stuart) céptico, Oates foi fazer a sua deposição diante dum magistrado. Godfrey, que avisou COLEMAN para prevenir o duque de Iorque. Este aconselhou o seu ex-secretário a que destruísse os papéis perigosos que pudesse ter: COLEMAN figurava na lista dos conjurados. Mas a polícia tomou-lhe esses papéis. A seguir, jogando franco e julgando criar presunção de inocência, COLEMAN entregou-se a 30 de Setembro. Oates acusou-o expressamente, sem grande resultado. Mas depressa a morte de Godfrey - verosivelmente suicídio - foi explorada como sinal de uma matança urdida contra os protestantes. Fingiu-se acreditar em Oates e o processo contra COLEMAN abriu-se numa atmosfera de terror. Titus Oates, que fingia ter sido o intermediário de COLEMAN, acusava-o de ter recebido 10 000 libras do Padre La Chaize para mandar matar o rei; de o geral dos jesuitas ter prometido a COLEMAN a secretaria de estado; e de COLEMAN estar a entender-se com o arcebispo de Dublin para sublevar a Irlanda.
COLEMAN repeliu facilmente as mentiras de Titus Oates. Mas existiam as suas cartas autênticas ao Padre La Chaize em que se encontravam frases obscuras e desajeitadas. COLEMAN reconheceu as suas extravagâncias e imprudências. Mas afinal que deseja ele ? A liberdade de consciência para os católicos e por meios legais. Fazer um peditório no estrangeiro, para realizar isto, era crime? O juiz teve por crime querer mudar a religião estabelecida, mesmo não usando a violência: reconheceu alta traição e sentenciou a morte. Mas foi oferecida a liberdade a COLEMAN se confessasse e denunciasse os cúmplices.
Foi supliciado em Tyburn, perto do actual Hyde Park, de Londres, a 3 de Dezembro de 1678. Proclamou antes de morrer que abominava o regicídio e que estava inocente de qualquer acção contra o estado ou os indivíduos.
PIO XII beatificou-o em Dezembro de 1929.
Sofonias, Santo
Comemoração de São SOFONIAS profeta, que nos dias de Josias, rei de Judá, anunciou a ruína dos ímpios no dia da ira do Senhor e fortaleceu os pobres e indigentes na esperança da salvação.
Cassiano de Tânger, Santo
Em Tânger na Mauritânia, hoje Marrocos, São CASSIANO mártir. (300)
Birino de Winchester, Santo
Em Winchester, na Inglaterra, o sepultamento de São BIRINO que, enviado à Grã-Bretanha pelo Papa HONÓRIO foi o primeiro bispo de Dorchester e difundiu com grande diligência o anúncio da salvação entre os Saxões ocidentais. (650)
Lúcio de Chur, Santo
Em Chur, cidade da Récia, na Helvécia, hoje Suiça, São LÚCIO eremita. (séc. VI)
João Nepomuceno de Tschiderer, Beato
Em Trento, na região do Véneto, Itália, o Beato JOÃO NEPOMUCENO DE TSCHIDERER bispo que administrou com evangélico ardor de fé e trato cordial de, em tempo de tribulação, deu à sua grei um admirável testemunho de amor. (1860)
Francisco Fernández Escosura e
Manuel Santiago Santiago, Beatos
Manuel Santiago Santiago, Beatos
Em Paracuellos del Jarama, Madrid, Espanha, os beatos FRANCISCO FERNÁNDEZ ESCOSURA e MANUEL SANTIAGO SANTIAGO, religiosos da Ordem dos Pregadores e mártires. (1936)
Manuel Lozano Garrido "Lolo", Beato
Em Linares, perto de Jaén, na Andaluzia, Espanha, o beato MANUEL LOZANO GARRIDO "Lolo". (1971
Cláudio, Ilaria, Giasone e Mauro, Santos
Em Linares, perto de Jaén, na Andaluzia, Espanha, o beato MANUEL LOZANO GARRIDO "Lolo". (1971
... e, A i n d a ...
Cláudio, Ilaria, Giasone e Mauro, Santos
Santi CLAUDIO e ILARIA sposi, GIASONE e MAURO figli
Il gruppo di martiri a cui appartiene Ilaria è composto da quattro santi, Claudio, Ilaria, Giasone e Mauro e sono tutti celebrati dal 'Martirologio Romano' il 3 dicembre.
La notizia del loro martirio proviene dal Martirologio di Adone, che la prese dalla ‘passio’ dei santi Crisanto e Daria; secondo questa ‘passio’ Claudio era un tribuno dell’esercito, che mentre interrogava i martiri Crisanto e Daria, alla vista di un miracolo da loro operato, si convertì al cristianesimo insieme alla moglie Ilaria ed i figli Giasone e Mauro e 70 soldati.
Informato dell’avvenimento, l’imperatore Numeriano (283-284) dispose che Claudio fosse gettato in mare con una pietra al collo, mentre i due figli Giasone e Mauro con i 70 soldati, furono condannati alla decapitazione.
Affranta dal dolore Ilaria, non poté recuperare il corpo del marito, ormai perso in mare e mentre si accingeva a seppellire i corpi dei suoi figli, venne arrestata e prima di essere uccisa, ottenne di fermarsi a pregare; durante la preghiera fu martirizzata.
I sepolcri di Ilaria, Giasone e Mauro esistevano nel VII secolo sulla via Salaria, anche menzionati negli ‘Itinerari’ dell’epoca, quello di Mauro era stato ornato con un carme di papa Damaso.
Queste poche note, forzatamente raccontano solo la fine cruenta ma fulgida, di una famiglia cristiana nell’epoca delle persecuzioni romane, nulla sapendo della loro vita vissuta nella società imperiale.
Corrado e VII companheiros, Beatos
Francescani, furono uccisi, in odio alla fede, dai Saraceni nel 1269. La leggenda parla di prodigi avvenuti nel luogo del loro martirio. Sono commemorati nel Martirologio Francescano al 3 dicembre
Emma de Losum, Santa
: Emma = gentile, fraterna, nutrice, dall'antico tedesco
Guglielmo de Bas, Beato
Illustre cavaliere di Montpellier (Francia), il Beato Guglielmo de Bas, fu il secondo Maestro Generale dell'Ordine Mercedario.Designato dalla Madre di Dio come successore di San Pietro Nolasco nella" carica di generalato, fu eletto il 12 giugno 1245 e degnamente svolse tale mansione fino alla fine. Molto compassionevole verso gli schiavi per i quali subì molte pene rimanendo anche in ostaggio per essi, benvoluto da Re e Prìncipi che ne seppe conquistare la loro fiducia con la parola e l'esempio di vita. In età molto avanzata, famoso per la gloria ed i miracoli compiuti, morì all'inizio del 1260 nella città di Barcellona in Spagna.
L'Ordine lo festeggia il 3 dicembre.
Ladislau Bukowinski, Santo
Padre Wladyslaw Bukowiński pregava, fra i tormenti dei gulag sovietici, con un Rosario che si era fatto con le molliche di pane e l’11 settembre scorso è stato beatificato nella cattedrale di Karaganda durante una celebrazione eucaristica presieduta, a nome del Papa, dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi.
Attraverso i dolorosi passaggi della biografia di Bukowiński – i processi, le detenzioni, i lavori forzati nelle miniere di rame, le messe clandestine e gli aiuti ai più poveri nei villaggi kazaki – il cardinale Amato ha ripercorso nell’omelia i tratti caratteristici della spiritualità del nuovo beato: sacerdote dalla fede «profonda, solida, incrollabile, come quella di Abramo» e «missionario coraggioso di Cristo nei vasti territori dell’Europa orientale, dove allora regnava un’ideologia repressiva, che cercava di estirpare dal cuore dell’uomo ogni sentimento religioso».
Il 2 febbraio del 1930, festa della Purificazione di Maria Vergine, Pio XI nel documento chirografo Ci commuovono, vergato all’indirizzo del Cardinale Basilio Pompilj, riportava parole di profondo dolore sulle «orribili e sacrileghe scelleratezze che si ripetono e si aggravano ogni giorno contro Dio e contro le anime nelle innumerevoli popolazioni della Russia, tutte care al nostro cuore, anche solo per il tanto che soffrono, e alle quali appartengono tanti devoti e generosi figli e ministri di questa santa Chiesa, cattolica, apostolica e romana, devoti e generosi fino all’eroismo e al martirio».
In quella circostanza il Papa parlò della Lega dei senza Dio militanti, fondata nel 1925 e formalmente sciolta nel 1947, che si propose di sradicare, con una violenta e spaventosa repressione, la fede religiosa, estendendo l’ateismo nella società russa con una propaganda invasiva.
Affermava il Pontefice: «gli organizzatori delle campagne d’ateismo e del “fronte antireligioso” vogliono soprattutto pervertire la gioventù, abusare della sua ingenuità e della sua ignoranza, e in luogo di impartirle istruzione, scienza e civiltà – che del resto come l’onestà, la giustizia e il benessere stesso, non possono prosperare e fiorire senza la religione –, l’organizzano nella Lega dei senza Dio militanti, dissimulando la decadenza morale, culturale e anche economica con un’agitazione altrettanto sterile quanto inumana, in cui i figli sono istigati a denunziare i genitori, a distruggere e insozzare gli edifici e gli emblemi religiosi e soprattutto a contaminare le loro anime con tutti i vizi e con le più vergognose aberrazioni materialistiche, i cui promotori, volendo colpire la religione e Dio stesso, procurano la rovina delle intelligenze e della medesima natura umana».
Quando il beato Bukowiński venne imprigionato il 22 giugno 1940 dai bolscevichi, la Lega dei senza Dio militante esisteva ancora. Wladyslaw era nato il 22 dicembre 1904 a Berdyczów, allora Polonia, oggi Ucraina. Era figlio di una famiglia di proprietari terrieri. Studiò a Kiev e mentre sosteneva l’esame di maturità la Polonia venne invasa dai bolscevichi.
Prende la laurea in Giurisprudenza all’Università Jagellonica di Cracovia, intanto matura la vocazione sacerdotale e per tale ragione frequenta la facoltà di Teologia. Colpito da una grave malattia, utilizza quel tempo della prova per approfondire la fede e compiere il passo definitivo. Viene ordinato sacerdote il 28 giugno 1931 dal Cardinale arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha.
Nel 1936 viene chiamato nella regione polacca di Volinia, dove insegna in Seminario, tiene ritiri parrocchiali, si occupa del catechismo nelle scuole, si adopera per l’Azione Cattolica, scrive per la rivista Vita cattolica e viene nominato direttore dell’Istituto di Scienze religiose. Dal settembre 1939 è parroco della Cattedrale di Luck: qui svolge il proprio ministero con fervore e grande carità, tanto che, quando la città cade sotto il dominio sovietico, presta eroico conforto e soccorso ai polacchi condannati alla deportazione in Siberia.
Il 22 giugno 1940 però viene lui stesso incarcerato. Un giorno, nella prigione sovraffollata, le guardie staliniane decimano i detenuti, sparando a raffica su di loro. Don Wladyslaw esce da quella mattanza miracolosamente illeso. Il Signore lo vuole vivo quale testimone della Sua presenza in tanto orrore. Scarcerato il 26 giugno 1941, soccorre tutti quelli che può: fuggitivi, prigionieri di guerra, bambini, ebrei… Tuttavia nella notte tra il 3 e il 4 gennaio 1945 è nuovamente arrestato, insieme al Vescovo e l’intero Capitolo della Cattedrale.
Viene accusato di essere una spia del Vaticano, pertanto è condannato ai lavori forzati senza processo. Deportato e internato nel campo di Czelabinsk in Siberia, gli ordinano di tagliare legna e scavare fossi. Poi viene trasferito nel campo di Žezkazgan (attuale Kazakistan) ai lavori forzati nelle miniere di rame per dieci ore al giorno. La sua santità emerge come sole luminoso. Mai iracondia, ostilità, rancore nei confronti dei persecutori, mai epiteti escono dalle sue labbra. Anzi, rimangono le testimonianze a raccontarci che egli benediceva i nemici.
Compie la volontà di Dio fino in fondo e allora all’alba, mentre tutti dormono ancora, celebra la Santa Messa su una panca, utilizzando come paramenti liturgici gli indumenti della prigionia. Visita i malati nell’ospedale del gulag, tiene conferenze spirituali, conforta, confessa, comunica. La buona condotta gli permette di essere deportato a Karaganda, nel Kazakistan centro-settentrionale, per assumere la mansione di guardiano di un cantiere edile, proprio nella città dove Monsignor Athanasius Schneider supervisionò i lavori di costruzione (2003-2012) della cattedrale di Nostra Signora di Fatima: un immenso capolavoro di arte e di fede, in stile gotico, costruito sul luogo di uno dei più grandi e terribili campi di concentramento, Karlag.
E a Karaganda, mentre celebra la Santa Messa, arriva la milizia sovietica, ordinandogli perentoriamente di smettere. I militari se ne vanno e don Wladyslaw si rivolge ai fedeli in questi termini: «Chi vuole uscire esca, ma io continuerò». Neppure uno uscì. L’anno seguente gli propongono di fare ritorno nella sua patria, la Polonia. Ma lui no, non accetta, chiede la cittadinanza sovietica per essere libero di muoversi e poter proseguire la sua missione di evangelizzatore.
Sprezzante di ogni pericolo, questo sacerdote secondo il cuore di Dio, va dritto per la sua strada, il Calvario. Il 3 dicembre 1958 viene catturato per la terza volta con l’accusa di aver formato una chiesa illegale, di aver fatto propaganda fra bambini e giovani e di possedere materiale antisovietico. Questa volta subisce un processo i cui esiti potrebbero essere tragici. Don Wladyslaw rifiuta l’avvocato di difesa, che potrebbe essere a suo svantaggio e, memore degli studi giurisprudenziali, si autodifende, tenendo un’arringa di tal valore e forza che i giudici lo lasciano in vita e lo condannano a tre anni di lavori forzati.
L’orazione è la sua àncora e, nonostante i divieti, egli prega continuamente, sgranando migliaia di palline di pane. Ma un giorno un giudice lo coglie sul fatto: «Cosa fai?», «Sto pregando». «Ma è proibito». «Si calmi, in futuro pregherò in modo che lei non se ne accorga». Fatiche, lavoro, sofferenze, soprusi fisici e morali… Tredici anni nei gulag. Ma ancora resiste e ancora esce libero, pronto a proseguire il suo ministero e la sua missione in Kazakistan fino al 1974, quando, il 3 dicembre, sfinito per Nostro Signore, unica ragione della sua vita, prima di ricevere l’estrema unzione, celebra l’ultima Santa Messa. Le sue reliquie corporali sono venerate nella cripta della Cattedrale di Karaganda.
Il suo segreto era la Fede, quella autentica, in grado di dissolvere ogni asprezza dettata dalla paura. Paura che oggi vediamo serpeggiare in ogni dove, in ogni ambiente. Don Wladyslaw non coltivava la paura, occupava il suo tempo a compiere la volontà di Dio: «La Provvidenza agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là dove serviva un prete».
Autore: Cristina Siccardi
Infanzia e primi anni
Nacque il 22 dicembre 1904 a Berdyczów, oggi in Ucraina ma all’epoca in territorio polacco. I suoi genitori, Cyprian Józef Bukowiński e Jadwiga Scipio del Campo, appartenevano a famiglie di proprietari terrieri; era il figlio primogenito. Il 26 dicembre, quattro giorni dopo la nascita, venne prtato al fonte battesimale della chiesa parrocchiale di Santa Bargare a Berdyczów, dove gli fu imposto il nome di Władysław Antoni (ossia Ladislao Antonio).
Trascorse quindi l’infanzia nel villaggio di Hrybienikówka, poi a Opatów, vicino Sandomiersz. Dopo aver ricevuto la prima educazione a casa, a dieci anni iniziò a frequentare il ginnasio a Kiev; proseguì gli studi a Żmerynka e a Płoskirów, dove, nel 1918, morì sua madre. Due anni dopo, mentre la Polonia era oggetto dell’invasione bolscevica, fuggì con la famiglia a Święcica.
Studi e vocazione
Il 24 settembre 1921, Władysław ottenne il diploma di maturità come studente esterno. In seguito frequentò la scuola polacca di Scienze politiche presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Jagellonica di Cracovia, laureandosi con ottimi voti il 24 giugno 1926.
Nei suoi anni universitari, fu anche membro del Circolo Accademico dei Confinanti, del quale facevano parte studenti che, come lui, provenivano dai territori orientali della Polonia e che si occupavano di sostenere materialmente i giovani più poveri.
Formazione al sacerdozio e inizi del ministero
Nel 1926, come detto, terminò gli studi di Giurisprudenza e abbracciò quelli di Teologia, in vista del sacerdozio: entrò infatti nel seminario maggiore di Cracovia e frequentò i corsi alla Jagellonica. Per quasi due anni, tuttavia, il giovane fu molto malato: quell'esperienza gli fece comprendere che la sofferenza poteva essere un modo per approfondire la sua fede. Alla fine venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Cracovia dall’arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha il 28 giugno 1931.
Dal 1° settembre 1931 al 20 giugno 1935 don Władysław prestò servizio come catechista nel ginnasio di Rabka, senza dimenticare gli aspetti caritativi del ministero. L’anno dopo divenne viceparroco a SuchaBeskidzka e catechista nelle scuole di quel paese.
Evangelizzatore nella Polonia orientale
Non aveva dimenticato, però, la regione da cui proveniva e la passione che l’aveva animato negli anni universitari. Il 18 agosto 1936 partì dunque per la Polonia orientale: la sua attività si concentrò in particolare nel voivodato di Volinia. Fu quindi insegnante nel seminario di Łuck e si occupò di curare ritiri parrocchiali, senza dimenticare l’insegnamento del catechismo nei ginnasi. Nel 1938 fu nominato segretario diocesano di Azione Cattolica e direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose. Il suo antico interesse per il giornalismo – prima della laurea aveva infatti lavorato nella redazione di un quotidiano – gli tornò utile quando divenne redattore della rivista di Azione Cattolica e dovette sostituire il redattore della rivista «Vita Cattolica».
Dopo aver ottenuto di essere incardinato nella diocesi di Łuck, diventò parroco della cattedrale nel settembre 1939, poco prima che la città finisse sotto il controllo sovietico. Si mise dunque d’impegno per risollevare le condizioni degli abitanti: andava a visitare gli anziani o quanti erano rimasti soli e si prendeva cura, spesso di notte, dei malati gravi, cui portava anche i Sacramenti. Quando sapeva che c’erano prigionieri polacchi condannati alla deportazione in Siberia, correva alla stazione, per portare loro dei libretti di preghiera e, ancora meglio, confortarli con qualche parola buona.
Prima prigionia
Tutto questo avvenne finché, il 22 giugno 1940, non venne imprigionato dai bolsevichi. Un giorno i soldati della prigione cominciarono a sparare all’impazzata sui detenuti, allo scopo di ridurne il numero.
Per una circostanza che ebbe del miracoloso, don Władysław ne uscì indenne, senza neppure un graffio: sdraiato sul pavimento della prigione, confessò quindi e preparò alla morte i suoi compagni. Scarcerato il 26 giugno 1941, continuò il suo servizio e la sua azione caritativa verso i fuggitivi e i prigionieri di guerra: salvò anche molti bambini, compresi quelli ebrei, e li preparava clandestinamente alla Prima Comunione.
Seconda prigionia
Nella notte tra il 3 e il 4 gennaio 1945 venne nuovamente arrestato insieme al vescovo di Łuck e all’intero capitolo della cattedrale: accusato di essere una spia del Vaticano, venne condannato senza giudizio ai lavori forzati.
Per più di quattro anni fu internato nel campo di lavoro di Czelabinsk in Siberia: doveva tagliare la legna e scavare fossi. Nel 1950 passò in un altro campo a Žezkazgan, nell’attuale Kazakhstan, per lavorare nelle miniere di rame.
Sempre sacerdote
In tutti questi tormenti, non dimenticava mai di essere un sacerdote. Alla mattina presto, mentre gli altri prigionieri erano immersi nel sonno, celebrava la Messa sulla panca dove dormiva. I suoi paramenti erano gli stracci della sua prigionia. Terminato il lavoro che l’occupava per oltre dieci ore, visitava i malati nell’ospedale del campo, impartiva i Sacramenti e teneva conferenze spirituali. Scrisse in seguito: «La Provvidenza divina agisce talvolta anche attraverso gli atei, che mi hanno mandato là, dove serve un prete».
Non ebbe mai una parola di lamento verso i suoi persecutori, anzi, li benedisse. Una notte, mentre si recava a ricevere la prima confessione di un detenuto polacco, venne sorpreso da una guardia, che gli sferrò uno schiaffo in faccia. Riflettendo sull’accaduto, don Władysław capì che avrebbe potuto andargli molto peggio, se l’avessero mandato in cella d’isolamento.
Cittadino sovietico per continuare la sua missione
La sua pena venne ridotta a nove anni, sette mesi e sei giorni per buona condotta, venendo liberato il 10 agosto 1954 e deportato a Karaganda, capitale del Kazakhstan. Lì visse come guardiano di un cantiere edile, ma continuò il suo apostolato nascosto.
Nel 1955 gli venne proposto di tornare in Polonia: accolse la notizia con gioia, ma preferì diventare cittadino sovietico, per restare fedele alla sua vocazione e alla sua missione. Dato che la cittadinanza gli permetteva di muoversi liberamente in tutta l’Unione Sovietica, lasciò il lavoro e si occupò esclusivamente dell’apostolato, sia tra i cattolici latini, polacchi e tedeschi, sia tra i greco-cattolici.
Un’autodifesa persuasiva
Il 3 dicembre 1958 venne imprigionato per la terza volta. Le accuse che gli vennero rivolte durante l’udienza processuale del 25 febbraio 1959, furono: aver formato una chiesa illegalmente, aver fatto propaganda tra i bambini e i giovani e di essere in possesso di materiale antisovietico. Don Władysław pensò dunque di far fruttare i suoi studi in Giurisprudenza e proclamò che si sarebbe difeso da sé. La sua arringa colpì a tal punto i giudici che gli vennero comminati tre anni di lavori forzati; era la pena più leggera. Dal 1965 compì molti viaggimissionari, ma dovette spesso tornare in Polonia per curarsi: i periodi di prigionia e il lavoro pastorale l’avevano sfibrato. Fu durante quelle visite che gli accadde d’incontrare il cardinal Karol Wojtyła, molto interessato al suo apostolato in Kazakhstan.
La morte
Nell’ottobre 1974 partì per un periodo di riposo a Wierzbowiec, in casa di un amico sacerdote, e fece i suoi Esercizi spirituali. Rientrò a Karaganda, ma di lì a poco ebbe un crollo fisico: il 25 novembre celebrò la sua ultima Messa, poi ricevette l’Estrema Unzione e venne trasportato in ospedale. La sua morte avvenne il 3 dicembre 1974, suscitando un compianto generale in quanti l’avevano conosciuto.
Il processo di beatificazione
La fase diocesana del suo processo di beatificazione si è svolta a Cracovia, ottenuto il trasferimento dal tribunale ecclesiastico di Karaganda il 28 febbraio 2005 e il nulla osta dalla Santa Sede il 16 maggio 2005. Il processo si è quindi svolto dal 19 giugno 2006 all’8 marzo 2008 ed è stato convalidato il 6 febbraio 2009. Nel 2012 è stata depositata la sua “Positio super virtutibus”.
Il congresso dei consultori teologi, il 22 dicembre 2013, si è pronunciato favorevolmente circa l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte di don Władysław; anche i cardinali e vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi sono stati di parere positivo. Il 22 gennaio 2015, quindi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che lo dichiarava Venerabile.
Dopo poco più di un anno è stato promulgato anche il decreto circa un miracolo ottenuto per sua intercessione, la cui convalida risaliva al 22 dicembre 2015. La beatificazione si è quindi svolta domenica 11 settembre 2016 nella cattedrale di Nostra Signora di Fatima a Karaganda, presieduta dal cardinal Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, come inviato del Santo Padre.
I resti mortali del Beato Władysław Bukowiński, già traslati nel 1991 n
Luigi Gallo, Beato
Redentore mercedario, il Beato Luigi Gallo, fu inviato in Marocco per redenzione, venne catturato dai mori mentre predicava il vangelo e spiegava le eresie dei mussulmani. Per la difesa della religione di Cristo subì molte pene e prigionia, in ostaggio per gli schiavi più volte venne flagellato ed infine ricevette gloriosamente il martirio fra le fiamme di un rogo nell’anno 1258. L’Ordine lo festeggia il 3 dicembre
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Local onde se processa este blogue, na cidade do Porto
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Os meus cumprimentos e agradecimentos pela atenção que me dispensarem.
Textos recolhidos
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In
MARTIROLÓGIO ROMANO
Ed. Conferência Episcopal Portuguesa - MMXIII
e através dos sites:
Wikipédia.org; Santiebeati.it; es.catholic.net/santoral,
e do Livro SANTOS DE CADA DIA, da Editorial de Braga, além de outros, eventualmente
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Também no que se refere às imagens que aparecem aqui no fim das mensagens diárias, são recolhidas aleatoriamente ou através de fotos próprias que vou obtendo, ou transferindo-as das redes sociais e que creio, serem livres.
Quanto às de minha autoria, não coloco quaisquer entraves para quem quiser copiá-las
Blogue:
SÃO PAULO (e Vidas de Santos) http://confernciavicentinadesopaulo.blogspot.com
Desde 7 de Novembro de 2006,
entrando pois no Décimo Primeiro ano de publicação diária
exceptuando algumas (poucas) interrupções técnicas
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